di Carlo Mamone Capria*
Cari amici, collaboratori e "compagni di strada",
come diversi di voi – compresi visitatori del sito che non avevo mai sentito prima – hanno prontamente notato, l’indirizzo del sito Scienza e Democrazia/Science and Democracy non è più attivo da alcuni giorni. La spiegazione è quella che potete immaginarvi, ma merita che ci spenda qualche parola. L'atmosfera dell'università è diventata in questi due anni sempre più asfissiante, con l'introduzione di una serie di regole e vincoli burocratici come non si erano mai visti prima. In particolare quest'anno, per la prima volta in vent'anni di esistenza del sito (la norma ai applica ad ogni sito di membro dell'università di Perugia, ma ce ne sono pochi, e per ampiezza e durata il mio era unico), avrei dovuto chiedere al mio Consiglio di Dipartimento di approvare la continuazione del sito, spiegando le ragioni per cui ritengo che le sue finalità erano in armonia con quelle dell’università. Già che questo andasse esplicitato fa capire in che stato si trovi oggi l’università italiana. Ora, può anche darsi che con una serie di contatti personali diretti avrei potuto ottenere una votazione favorevole, ma sarebbe stata comunque un'autorizzazione vigilata – il contrario di ciò che il sito era stato da sempre e il contrario dello spirito dell'università come essa è stata nei suoi momenti migliori. Inoltre, devo dire che i miei cosiddetti colleghi hanno dato prova in questo biennio di un conformismo e appiattimento alle follie governative così impermeabile a ogni argomento che ottenere una loro approvazione mi avrebbe procurato una crisi di identità. Pertanto ho scelto di spostare il sito, tale e quale, come "canale" del sito della Fondazione Hans Ruesch per una Medicina senza Vivisezione, di cui sono presidente da un quindicennio. Penso che i visitatori del sito guadagnino a scoprire materiale collegato e affine (compresi diversi miei articoli che non avevo ripubblicato su Scienza e Democrazia). In pratica al posto dell'indirizzo http://www.dmi.unipg.it/mamone/sci-dem adesso l'indirizzo è http://www.hansruesch.net/sci- dem e ogni link a un articolo del vecchio sito passa da: http://www.dmi.unipg.it/ mamone/sci-dem/ [+++] a http://www.hansruesch.net/sci- dem/[+++] che ha anche il pregio di essere più semplice e più breve. I due siti hanno sempre avuto molto in comune (oltre alla segnalazione reciproca), e non è un caso che la problematica del danno vaccinale sia stata esplorata in convegni di Scienza e Democrazia nel 2003, 2005, 2008 e 2011. All’ultimo di questi convegni intervenne il dottor Dario Miedico, recentemente radiato con una “sentenza” dell’Ordine dei medici che resterà una eterna macchia per l’intera professione, e che era stato relatore (insieme ad altri studiosi e attivisti che sono diventati meglio noti al pubblico nel biennio successivo) al convegno “Il punto sui vaccini – verso le elezioni europee” che con la Fondazione avevo organizzato nel 2019. Aggiungo che uno studioso statunitense che oggi è meritatamente noto a livello internazionale per i suoi articoli sulla trasparenza dei dati e i conflitti di interesse nella ricerca medica – sto parlando di Peter Doshi – fece una delle sue prime apparizioni pubbliche al convegno di Scienza e Democrazia a Napoli nel 2005. In quell’occasione presentò un ottimo intervento sulla questione delle statistiche dell’influenza, poi apparso anche, in forma abbreviata, sul British Medical Journal (oggi BMJ) di cui è adesso un caporedattore. È da allora, per inciso, che ho cominciato a occuparmi sistematicamente della questione, ed ecco come mai quando si è cominciato a parlare di covid-19 non sono affatto stato colto di sorpresa, e ho sentito il dovere di intervenire in varie sedi contro l’abuso della credulità popolare e la sua strumentalizzazione a fini autoritari che ha soffocato l’intera vita civile, in Italia e altrove -- ma in Italia più che altrove -- negli ultimi due anni. È chiaro che una certa consapevolezza della reale natura della presunta “pandemia” si è diffusa, ma non starei a scrivere questa lettera se avessimo già vinto la battaglia delle idee a livello di opinione pubblica e di pubblica amministrazione. Una testimonianza personale. In data 16 febbraio la mia amministrazione (università di Perugia) mi ha comunicato «l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati». In pratica, per «inadempimento dell’obbligo vaccinale» (nel mio caso *totalmente irrilevante dal punto di vista sanitario*, non dovendo io accedere per nessuna parte del mio lavoro alle strutture universitarie), mi tagliano lo stipendio, per di più assumendo assurdamente che qualcosa che la Costituzione riconosce esplicitamente come diritto-dovere – quello al lavoro, appunto – *possa essere sospeso*: di fatto un cittadino italiano, rimanendo tale, non potrebbe rinunciarvi nemmeno se lo volesse! L'inevitabile domanda è: è possibile che un errore così fondamentale dal punto di vista del diritto costituzionale e dello statuto dei lavoratori possa essere commesso a fini repressivi dalla pubblica amministrazione, e non certo solo quella della mia università? La risposta, oggi, è: purtroppo sì, è possibile, anche se spero che chi l’ha commesso e continua a commetterlo – consapevolmente e per complicità con governi illegittimi che emanano da due anni norme palesemente incostituzionali – ne debba pagare le conseguenze in un giorno non tanto lontano. Di sicuro il diversivo della questione ucraina non aiuterà a far risvegliare una cittadinanza per la maggior parte inebetita e abulica. Devo aggiungere una precisazione. Sono perfettamente consapevole che mi sarebbe bastato sottopormi a un po’ di tamponi per risultare prima “malato” e poi “guarito” dal covid-19, ed evitare quindi, almeno per alcuni mesi, il provvedimento da cui sono stato colpito. Conosco parecchie persone che hanno fatto del loro meglio -- per così dire -- per risultare “positivi” e poi “negativizzarsi”, eludendo quindi per qualche mese la vaccinazione e la sospensione dello stipendio. Non critico questo modo di guadagnare tempo (e non impoverirsi) nell’attesa di tempi migliori, e in molti casi individuali penso che sia stata una scelta doverosa o quasi. Per quanto riguarda il mio caso, però, dato ciò che penso e ho argomentato in dettaglio a proposito della fragilità scientifica dei tamponi, mi sarebbe sembrato come presentare un certificato astrologico su una congiunzione planetaria favorevole al mio tema natale – e questo per poter vedere riconosciuto economicamente un lavoro che è mio diritto-dovere svolgere, che *continuo a svolgere*, e che nessuno potrà sospendermi finché avrò voglia e possibilità materiale di svolgerlo. Ha detto un moralista francese del XVII secolo che l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù. L’Italia oggi sta morendo anche di ipocrisia, e penso che, in generale ma soprattutto tra i lavoratori della conoscenza, chi può permetterselo, e fintanto che può, dovrebbe evitare di contribuirvi. Con i migliori saluti,
Marco Mamone Capria*
*docente di matematica all'Università degli Studi di Perugia, (studioso di storia e filosofia della scienza e presidente della "Fondazione Hans Ruesch per una medicina senza violenza").
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