di Gianni Lannes
I fatti (repetita iuvant). Premessa: la mia inchiesta sul campo (mare, archivi di ogni genere, testimonianze dirette), durata 4 anni, ha consentito di scovare 203 navi dei veleni nel Mediterraneo ed un migliaio di containers, ed altro ancora. Nonostante impedimenti istituzionali, attentati e minacce di morte. Come avevamo sempre intuito e scritto in tempi non sospetti, il capitano Natale De Grazia non è morto d'infarto, ma è stato avvelenato la notte tra il 12 ed il 13 dicembre 1995. Ora ad avvalorare la tesi arrivano i risultati di una perizia
sulla documentazione medica esistente disposta dalla Commissione bicamerale sul
ciclo dei rifiuti che ha rilevato come nel corpo del Capitano vi siano delle
tracce tossiche. Natale De Grazia stava indagando - per conto della magistratura - su 180 inabissamenti dolosi.
Il comandante De Grazia aveva tracciato una mappa delle navi imbottite di rifiuti tossici affondate nel Tirreno, nello Jonio e nell'Adriatico. Con elaboraziopni sulle mappe nautiche era persino riuscito a tracciare le
coordinate dove presumibilmente era affondata la Rigel, al largo di Capo Spartivento. E l'aveva comunicato telefonicamente al giudice Nicola Maria Pace (deceduto recentemente).
Oggi il Capitano Natale De Grazia avrebbe 56 anni e ancora non è stata portata a termine dalla magistratura italiana la sua scottante
indagine.
Il perito, professor
Giovanni Arcudi, ha indicato gli elementi da cui deduce l’avvelenamento del capitano
Natale De Grazia. L’ufficiale era partito verso sera, il 12 dicembre 1995, da Reggio Calabria per
La Spezia, assieme a due carabinieri. A tarda sera si erano fermati per mangiare, fuori dall’autostrada, in un ristorante della zona di Salerno. Una
rapida cena, per ripartire subito verso la Liguria.
Meno di mezz’ora dopo gli eventi precipitano. Li descrive Arcudi, il consulente della Commissione parlamentare sui rifiuti: «Il capitano De Grazia», scrive il perito, «subito
dopo aver mangiato e messosi in macchina ha cominciato a dormire e quindi a
russare in modo strano; a un certo punto reclina la testa sulla spalla e per
questo viene scosso dall’occupante il sedile posteriore dell’autovettura; a
questa sollecitazione reagisce sollevando il capo ma non svegliandosi e senza
dire alcunché se non emettendo un suono indefinito; quindi poco dopo reclina
definitivamente la testa e non risponde più alle sollecitazioni».
Viene aperta un’inchiesta dal pm Giancarlo Russo
della Procura di Nocera Inferiore, che ordina l’autopsia, affidata alla
dottoressa Simona Del Vecchio, medico legale di Roma. Il referto? «Morte
improvvisa dell’adulto». La Procura archivia il fascicolo nel 1996:
nessun mistero, morte naturale.
La famiglia del capitano De Grazia non è affatto convinta
dei risultati dell’autopsia e dell’inchiesta. Nel 1997 la vedova, Annamaria
Vespia, presenta un esposto, chiedendo una seconda perizia sul corpo del
marito. Il pubblico ministero Russo, decide per la riesumazione del
cadavere e incarica dei nuovi accertamenti – fatto piuttosto singolare – la
stessa dottoressa Del Vecchio. La quale conferma i risultati
della prima autopsia: morte naturale per arresto cardio-circolatorio. Nel
luglio 1998 l’inchiesta viene archiviata per la seconda volta.
Nel frattempo, alla
capitaneria de La Spezia le stanze dell’archivio dove si trovavano i documenti cercati
da De Grazia hanno subito un improvviso allagamento. Tutto è andato perduto. Medesimo copione alla direzione marittima di Ravenna, dove De Grazia aveva chiesto una marea di carte. Sembrano eventi con un'unica regia.
Adesso la nuova perizia attesta inequivocabilmente: «L’indagine medico legale condotta dalla
dottoressa Del Vecchio», scrive Arcudi, «si è conclusa con una diagnosi di
morte improvvisa dell’adulto, facendo intendere che vi fossero in quel quadro
anatomo e istopatologico elementi concreti che potevano ben sostenere detta
diagnosi. Questo non corrisponde alla verità scientifica. Ho evidenziato»,
sottolinea il professor Arcudi, «come la lettura dei preparati istologici
effettuata in questa sede smentisca quella della dott.ssa Del Vecchio».
«Questo significa», continua, «che, allo stato, non c’è
nell’intera indagine alcun dato certo che possa supportare la morte improvvisa
dell’adulto; diagnosi causale di morte, questa, che deve essere ritenuta non
provata e nemmeno connotata da apprezzabili probabilità. Se noi qui dobbiamo
fare una conclusione al termine di questa indagine dobbiamo dire che il
capitano De Grazia non è morto di morte improvvisa mancando qualsivoglia
elemento che possa in qualche modo rappresentare fattore di rischio per il
verificarsi di tale evento. Si trattava infatti di soggetto in giovane età, in
buona salute, senza precedenti anamnestici deponenti per patologie pregresse,
che conduceva una vita attiva e, come militare in servizio, era sottoposto alle
periodiche visite di controllo dalle quali non sembra siano emersi trascorsi
patologici».
«L’esame necroscopico», specifica il perito, «al contrario
di quanto è stato prospettato attraverso una analisi non attenta e piuttosto
superficiale dei reperti anatomo ed istopatologici, non ha evidenziato nessuna
situazione organo funzionale che potesse costituire potenziale elemento di
rischio di morte improvvisa. E nemmeno quanto riferito dalle persone che erano
presenti alla morte e che ne seguirono le fasi immediatamente precedenti, si
accorda con una ipotesi di morte cardiaca improvvisa».
Ed ecco le conclusioni cui arriva il professor Arcudi: «Morte cardiaca
secondaria a insufficienza respiratoria da depressione del sistema nervoso
centrale, come suggestivamente depone il quadro di edema polmonare così
massivo, incompatibile quasi con un arresto cardiaco improvviso del tutto
asintomatico; come suggestivamente depongono le manifestazioni sintomatologiche
riferite da chi ha potuto osservare il sonno precoce, il russare rumoroso,
quasi un brontolo, la risposta allo stimolo come in dormiveglia, il vomito».
Tutti questi sintomi si possono accordare unicamente alla
«sola causa tossica». Che tuttavia non è, e non sarà mai più individuabile:
«Purtroppo è stata irreversibilmente dispersa la possibilità di indagare
seriamente sul versante tossicologico, da una parte per superficialità e forse
inesperienza di chi aveva posto i quesiti con scarsa puntualità e poco
finalizzati; dall’altra per l’insipienza della indagine medico legale che ha
ritenuto trovarsi di fronte ad una banale morte naturale ed inopinatamente si è
subito indirizzata, trascurando l’indagine globale, alla esclusiva ricerca di
droghe di abuso in un caso nel quale, se c’era una ipotesi se non da scartare
subito almeno da considerare per ultima, era proprio quella di una morte per
abuso di sostanze stupefacenti; e pervicacemente ha insistito sulla stessa
linea anche nella seconda indagine necroscopica».
L'esperto Arcudi, inoltre, fa riferimento a superficialità e insipienza. Ma è evidente
che la condotta della Procura e della anatomo-patologa lasciano aperte altre
domande inquietanti.
Anche perché le stranezze che circondano le
inchieste dei magistrati Francesco Neri (Reggio Calabria) e Nicola Maria Pace (Matera) sul nucleare di Stato (Cnen-Enea), sono numerose: oltre all’omicidio del capitano De Grazia, c’è la scomparsa di alcuni faldoni sottratti dagli
archivi della Procura di Reggio Calabria.
Ed inoltre, il tentativo di delegittimazione nei confronti
del giudice Neri da parte dell’allora presidente della Commissione Alpi-Hrovatin, l'avvocato
Carlo Taormina (già sottosegretario di Forza Italia), che cercò di far aprire contro di lui un’inchiesta da parte
della Procura di Roma (archiviata).
Infine: non esiste più anche la cartella sanitaria del capitano
De Grazia. Il 18 giugno 2012 il comando del dipartimento marittimo militare di
Taranto ha comunicato alla Commissione parlamentare che «la cartella Sanitaria
dell’Ufficiale superiore nominato in argomento è stata distrutta in data 15
febbraio 2011». Naturalmente «in ottemperanza alle norme in vigore che
prevedono la distruzione delle pratiche personali riservate e ordinarie di
Ammiragli/Ufficiali deceduti da oltre 10 anni».
Natale De Grazia è stato fermato appena in tempo, prima che arrivasse troppo
lontano. Vale a dire, troppo in alto.
Ecomafie di Stato - Dagli atti della Commissione parlamentare di inchiesta sull'omicidio di
Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, il dottor
Marcello Fulvi, dirigente
della Digos di Roma, in un'informativa del 3 febbraio 1995 cita il
sopraddetto Marocchino (consulente della Commissione parlamentare presieduta da Taormina) e scrive: «si comunica che [...] personale di
questo ufficio ha avuto un incontro con una fonte di provata
attendibilità, la quale ha confidato che mandante sarebbe il noto
Marocchino Giancarlo, il quale avrebbe ordinato l'uccisione della
giornalista». Lo stesso imprenditore racconta alla Commissione
parlamentare d'inchiesta di essere accorso per primo a Mogadiscio sul
luogo dell'omicidio.
Giancarlo Marocchino non risulta, ad oggi, essere mai stato indagato
né per l'omicidio della troupe italiana né per l'attività illecita di
traffico di rifiuti tossici.
Ilaria Alpi e
Miran Hrovatin furono uccisi, il 20 marzo 1994, mentre
si trovavano a Mogadiscio come inviati del TG3 per seguire la guerra
civile somala e per indagare su un traffico d'armi e di rifiuti tossici
illegali in cui probabilmente la stessa Alpi aveva scoperto che erano
coinvolti anche l'esercito ed altre istituzioni italiane.
Il sopraccitato documento elenca inoltre numerosi casi di
esportazione illegale di rifiuti. Da questo dossier emergerebbe poi come
il traffico illegale di rifiuti pericolosi si sia evoluto e ramificato:
da attività individuali, si è organizzato in una «rete», in cui i nomi
di persone e imprese sono stati segnalati più volte da investigatori e
magistrati ricorrendo con cupa frequenza;
Emerge altresì un ulteriore elemento di novità in merito alla
ricerca in mare, nel 2009, del relitto della «
Cunski», al largo
di Cetraro (dove ci sono almeno 6 relitti di navi, di cui una coperta dal segreto di Stato), che si aggiunge agli altri già evidenziati a febbraio 2010. Nell'ottobre dell'annno 2009 l'allora ministro per l'Ambiente
Prestigiacomo ed il procuratore nazionale antimafia
Grasso, già beneficiato dal governo
Berlusconi (appena candidato al parlamento nel PD) insabbiarono maldestramente la vicenda, ma furono da me smascherati il 9 febbraio 2010. Nell'archivio Rai del Tg 3 di Roma, è presente il video della conferenza stampa nella sede della Cgil di Cosenza. In quell'occasione, prove alla mano, ho dimostrato inequivocabilmente che nave Catania non è affondata come sostenevano Prestigiacomo e Grasso senza produrre uno straccio di prova, al largo di Cetraro nel 1917, bensì, come attestano i documenti tratti dall'Archivio storico della Marina Militare italiana, nel 1943 al largo del Golfo di Napoli. Ergo: la stessa nave Catania non può essere scambiata per la Cunski (piena di scorie radioattive).
Per le indagini della Procura della Repubblica di Paola (in provincia di Cosenza), nell'ottobre del 2009 il
Governo italiano ha utilizzato una nave per le ricerche sottomarine denominata
«
Mare Oceano», di proprietà della famiglia
Attanasio.
Diego Attanasio è un armatore napoletano con una flotta di sette
navi oceanografiche e teste centrale dell'affaire «Mills-Berlusconi».
A suo tempo, il Ministero britannico della difesa ha offerto
mezzi e personale qualificato a un prezzo inferiore rispetto a quello
proposto dai proprietari di Mare Oceano; non sono tuttavia note le
ragioni per cui l'offerta britannica sarebbe stata rifiutata così come i
termini del contratto tra la nave «Mare Oceano» e il Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
L'Agenzia europea dell'ambiente in un rapporto del 2009, ha chiarito
come il traffico illegale di rifiuti tossici sia un problema rilevante e
non sanato e che il divieto dell'export di rifiuti tossici tra Paesi
OCSE e non-OCSE sancito dalla convenzione di Basilea, sia ben lontano
dall'essere pienamente applicato.
Da operazioni investigative effettuate dalla magistratura e da
indagini delle forze dell'ordine emerge l'esistenza di decine di
«relitti sospetti». Il loro numero varia da cinquantacinque (deposizione
dall'ammiraglio Bruno Branciforte al Copasir: come riferita dal
quotidiano Calabria Ora, 26 settembre 2009), a quarantaquattro
(comunicazione trasmessa dalla direzione marittima di Reggio Calabria
alla Commissione antimafia il 27 ottobre 2009) a trentanove (per il
periodo 1979-1995: relazione conclusiva del 25 ottobre 2000 della
Commissione bicamerale sui rifiuti).
Infine: il TG 1 della Rai, mi aveva chiesto un'intervista che prontamente ho rilasciato ma che non è mai andata in onda. Almeno in Italia, perché in Finlandia la televisione ha realizzato addirittura un documentario sulla gigantesca discarica nucleare italiana. Ho chiesto conto al collega della radiotelevisione italiana. La risposta è stata imbarazzante: il servizio erà già pronto quando è giunto un ordine dalla direzione di viale Mazzini di sospendere la messa in onda.