14.4.20

CORONAVIRUS: WESCHOOL, BANCHE, TRAFFICO DI ARMI E VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI...





di Gianni Lannes

Bullismo di Stato? Se la scuola è maestra di vita dov'è l'etica in questo caso particolare che investe tanti bambini e ragazzini, segregati in casa in base a decreti incostituzionali, ossia fuorilegge? Sull'onda dell'emergenza dettata dal nuovo coronavirus, dopo la chiusura forzata della scuola in Italia (5 marzo 2020), è spuntata dal nulla la piattaforma digitale WeSchool, propinata a molti alunni da docenti e dirigenti scolastici spesso all'oscuro del traffico di armi e delle sue implicazioni, nonché dei diritti umani violati nel mondo da banche e multinazionali petrolifere, col favore e l'indirizzamento addirittura del Miur. Dov'è la coerenza deontologica di docenti e dirigenti scolastici? Gli esempi etici sono ben altro che la subordinazione al peggio o la sottomissione all'autoritarismo istituzionale. Don Lorenzo Milani docet: "L'obbedienza non è più una virtù".


WeSchhol che peraltro come già evidenziato in un precedente approfondimento giornalistico, traccia il profilo di chiunque (registrando i dati sensibili, in barba alle normative europee sulla privacy), minori inclusi, vanta come suoi partners addirittura la banca Unicredit e la multinazionale Snam.

Sui crimini commessi dall'ENI (Snam) in Africa o ad esempio in Nigeria, è sufficiente leggere con attenzione i rapporti di Amnesty International, o giornali nazionali ed internazionali degli ultimi 10 anni.

Alla luce di fatti oggettivi ed inequivocabili, dal punto di vista morale, come possono insegnanti, presidi e Miur promuovere collaborazioni con la piattaforma WeSchool che vanta simili soci come fiore all'occhiello e coinvolgere alunni e studenti?




 

Tema: operazioni bancarie di appoggio all’export di armamenti nel mondo. Dall'ultima relazione (di dominio pubblico) del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), nel 2018 risultano transazioni bancarie attinenti ad operazioni di esportazione di armamenti per un valore complessivo di 4.855.463.428 euro di “importi segnalati” e di 3.213.552.154 per “importi accessori segnalati”. Nella Relazione non è spiegata la differenza concettuale e pratica tra questi due importi. La Relazione, inoltre, segnala in modo generico operazioni di “Intermediazioni per Aziende” per “vendita/incasso” per un valore complessivo di 973.091.454 euro di cui 968.266.061 euro da attribuirsi al gruppo Leonardo (ex Finmeccanica). Le maggiori operazioni per esportazioni di sistemi militari sono state svolte da tre gruppi bancari: UniCredit che riporta “importi segnalati” per 1.345.377.931 euro a cui vanno aggiunti gli “importi segnalati” da UniCredit Factoring del valore di 568.327.577 euro; Deutsche Bank che riporta “importi segnalati” per 643.359.977 euro e Intesa Sanpaolo che riporta “importi segnalati” per 550.000.173 euro. Una nota della Relazione del MEF segnala che «l'importo complessivo attribuito ad Intesa Sanpaolo ed UniCredit ricomprende anche transazioni dove la stessa banca è intervenuta come banca agente con funzioni amministrative per conto di un pool di istituti bancari». 
 
Necessità di conformare le decisioni su export militare ai principi delle norme nazionali ed internazionali.


La Rete Italiana per il Disarmo come già fatto negli anni passati rinnova anche al Governo Conte l’invito a migliorare gli standard di trasparenza sui dati relativi all’export militare poiché la modalità attuale di pubblicazione impedisce che Parlamento ed opinione pubblica possano esercitare un concreto controllo su un ambito così delicato. L’esportazione di materiali di armamento non ha solo aspetti economici o tecnologici, ma impatta direttamente sui conflitti e la sicurezza internazionale e la stessa legge (oltre che le norme internazionali cui l’Italia ha aderito) ne sottolinea la valenza fondamentale per politica estera e sopratutto per il rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario. Rete Italiana per il Disarmo rinnova dunque il proprio invito a conformare le decisioni sulle autorizzazioni all’export ai principi e alle prescrizioni delle norme italiane ed internazionali, e sollecita il Parlamento ad intraprendere un approfondito dibattito sulla questione e sugli ultimi dati trasmessi dal Governo. 

  
A tutt'oggi (14 aprile 2020) il Governo del Conte bis - in evidente violazione della normativa vigente - non ha ancora inviato al Parlamento la relazione 2019 sull'export di armi dall''Italia nel mondo. Gli indaffarati deputati e senatori della Repubblica tricolore, però, non se ne sono proprio accorti.

Una parte delle bombe piovute in testa ai curdi siriani sono made in Italy. Negli ultimi quattro anni le forniture di armi ad Ankara sono state un crescendo: 128,8 milioni nel 2015; 133,4 nel 2016; 266,1 nel 2017 e 362,3 nel 2018. Elicotteri da guerra, sistemi di precisione, bombe, razzi, missili e armi da fuoco per un totale di 890,6 milioni. La Turchia è nella NATO, è un forte partner commerciale e politico dell’Europa, non è sottoposta ad alcun embargo e compra i nostri armamenti. Tutto legale Conte?

La legge 185 del 9 luglio 1990 (e successive modifiche e integrazioni) vieta l’esportazione e il transito di materiali di armamento verso Paesi in conflitto, a meno che non siano stati aggrediti da altri Paesi (come stabilisce l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite), verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione e verso Paesi i cui governi siano responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate Onu, Ue o Consiglio d’Europa. Che Ankara violi sistematicamente i diritti umani è un fatto, come lo è l’eterno conflitto con il popolo curdo al confine sud della Turchia. Insomma, non dovremmo vendergli armi da guerra, eppure lo facciamo insieme a Germania, Francia, e Olanda. Per caso quello della Turchia è un caso isolato?

Il nostro Paese, ad esempio, viola il Trattato ONU sul commercio delle armi. L’articolo 13, infatti, prevede che ciascun Stato presenti annualmente un rapporto sulle autorizzazioni o effettive esportazioni e importazioni. Bene, l’Italia ha presentato i propri dati all’agenzia dell’Onu Unroca fino al 2009. Da allora risultano solo i rapporti2013 e 2014. Siamo, insieme al Lussemburgo il paese europeo più inadempiente. A livello globale siamo in ottima compagnia, visto che nel 2018 solo 31 Stati hanno inviato il loro rapporto. Nel 2006 lo presentarono in 113. Questo dimostra che i trattati si firmano, e poi non si rispettano. L’unica documentazione che il Governo italiano presenta pubblicamente ogni anno, obbligatoria per legge, è la «Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento» e l’ultima è quella relativa all’anno 2018 (volume I, volume II). Cosa attesta questa relazione? A chi vendiamo e quanto, ma non «cosa» vendiamo. Negli ultimi quattro anni (2015-2018) sono stati autorizzati trasferimenti di armi per 36,81 miliardi, cioè oltre 2 volte e mezzo in più rispetto ai 14,23 miliardi autorizzati nei quattro anni precedenti (2011-2014). Nella classifica per importi troviamo il Qatar (1,92 miliardi), Pakistan (682 milioni), Turchia (362 milioni) ed Emirati Arabi uniti (220 milioni), poi c’è l’Egitto, l’Afganistan, l’Iraq, il Marocco, la Nigeria.

Rete Disarmo - unitamente a Mwatana ed ECCHR - ha denunciato all'Autorità giudiziaria italiana l’illegalità di tali forniture in quanto bombe italiane sono sicuramente state utilizzate anche in operazioni di attacco a civili risultanti in morti di uomini, donne, bambini. Nonostante diverse risoluzioni del Parlamento Europeo (la Risoluzione del 13 settembre 2017 sull’esportazione di armi e la Risoluzione del 4 ottobre 2018 relativa allo Yemen) abbiano chiesto agli Stati membri di porre un embargo sulle forniture militari all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti in considerazione delle gravi violazioni del diritto umanitario, a differenza di altri paesi europei, il governo italiano non ha posto in atto alcuna sospensione ed anzi ha continuato a fornire armamenti e munizionamento militare all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti a cui, nel 2018, sono state autorizzate esportazioni militari per oltre 220 milioni di euro. Il presidente del Consiglio pro tempore, Giuseppe Conte, nella conferenza stampa del 28 dicembre 2018 ha affermato che «Il governo italiano è contrario alla vendita di armi all’Arabia Saudita per il ruolo che sta svolgendo nella guerra in Yemen. Adesso si tratta solamente di formalizzare questa posizione e di trarne delle conseguenze». Nella Relazione, tuttavia, non risulta alcuna iniziativa intrapresa dal Governo italiano in questo senso. Al contrario, per promuovere nuovi ordinativi militari con i paesi del Golfo Persico, la Difesa italiana ha promosso la “campagna navale” della fregata FREMM Carlo Margottini. Salpata il 17 gennaio 2019 dal porto della Spezia, la fregata Margottini ha partecipato al “Naval Defence Exhibition” (NAVDEX 2019) di Abu Dhabi per promuovere le attività dell’industria militare italiana e successivamente ha fatto scalo a Kuwait City (Kuwait), a Damman (Arabia Saudita) e a Muscat (Oman), ritornando a Gedda (Arabia Saudita) alla fine di aprile 2019. Nel 2018 sono invece state autorizzate per l’Egitto 6 esportazioni di sistemi militari del valore di 69.131.310 euro che fanno del Paese del generale Al-Sisi il terzo acquirente di armamenti italiani tra gli Stati non appartenenti all’UE o alla NATO. Sono inoltre state svolte, anche sulla base di licenze rilasciate negli anni scorsi, 61 esportazioni di sistemi militari del valore complessivo di 31.400.207 euro. Dalla Relazione non è possibile conoscere gli specifici modelli degli armamenti esportati, ma è documentata l’autorizzazione per l’esportazione nel 2018 di “armi e armi automatiche di calibro uguale o inferiore a 12,7 mm.”, di “bombe, siluri, razzi, missili ed accessori”, di “apparecchiature per la direzione del tiro”, di “apparecchiature elettroniche” e di “software”.

A tale proposito va ricordato che il 21 agosto 2013, il Consiglio degli Affari esteri dell’UE ha annunciato che gli Stati membri avevano deciso di “sospendere le licenze di esportazione all’Egitto di ogni tipo di materiale che possa essere utilizzato per la repressione interna”, di rivalutare le licenze di esportazione per attrezzature militari e di rivedere la loro assistenza per la sicurezza in Egitto. Nonostante il Consiglio non abbia emesso un regolamento in grado di rendere la decisione giuridicamente vincolante, queste misure rappresentano un impegno politico che non è mai stato revocato da parte del Consiglio degli Affari esteri. È l'omicidio di Giulio Regeni in Egitto? Già dimenticato dalle autorità nostrane?