20.5.21

SEQUESTRO MORO: MENZOGNE UFFICIALI!

 

lo statista Aldo Moro ed il criminale del Bilderberg Group Henry Kissinger

Un dedalo di percorsi e di luoghi. Via Fani, via Montalcini, via Gradoli, con una puntata 'fuori porta', tra Palidoro e Palo Laziale, sul litorale della capitale. Roma tra il 16 marzo ed il 9 maggio del 1978 era presidiata dalle forze dell'ordine, con fuorvianti posti di blocco. 43 anni dopo le menzogne telecomandate delle brigate rosse previo accordo con i vertici dello Stato tricolore, sono ancora aperti gli interrogativi su cosa sia davvero successo. Una cosa è certa: Moro non fu volutamente liberato per volontà di un certo ministro Cossiga (in seguito anche sullo sfondo della strage di Ustica). E ancora: Kissinger aveva in precedenza minacciato di morte proprio Aldo Moro. Per i partiti di governo è «inammissibile un cedimento alle ragioni dei terroristi», nonostante l’appello dello stesso Moro, contenuto in una delle prime lettere inviate dal leader DC al ministro dell’interno Cossiga: «Il sacrificio degli innocenti in nome di un astratto principio di legalità, mentre un indiscutibile stato di necessità dovrebbe indurre a salvarli, è inammissibile». Un fatto è certo: dopo tanti anni vige ancora il segreto di Stato su questa orrenda vicenda. 

La strage ed il rapimento si consumano in via Fani, angolo con via Stresa, la mattina del 16 marzo, intorno alle 9. Un commando di terroristi (ma c'erano solo loro? E quanti in realtà?) apre il fuoco sulla scorta del presidente della Dc, Aldo Moro (partito dalla sua casa in via del Forte Trionfale 79 per andare alla Camera a votare la fiducia al quarto governo Andreotti), uccidendo i cinque agenti: Oreste Leonardi e Domenico Ricci a bordo della Fiat 130 di Moro; Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi sull'altra vettura. Moro viene prelevato e sistemato a bordo di una Fiat 132 blu che riparte a tutta velocità verso via Trionfale, preceduta e seguita da altre due auto dei componenti del commando. Secondo le inverosimili ricostruzioni fornite successivamente dai brigatisti, le tre auto vengono abbandonate tutte insieme nella vicina via Licinio Calvo.

In via Montalcini (Quartiere Portuense). Al numero 8, interno 1, nella zona della Magliana, secondo quanto emerso dai processi, sarebbe stato tenuto sotto sequestro per 55 giorni il presidente democristiano. La cosiddetta 'prigione del popolo' era in un territorio all'epoca capillarmente controllato dalla banda della Magliana che, a sua volta, ha legami solidi con apparati dello Stato deviati. Alcuni esponenti del gruppo criminale - da Danilo Abbruciati ad Antonio Mancini - abitano a pochi passi dal numero 8 di via Montalcini. L'appartamento è intestato alla brigatista Anna Laura Braghetti. Dentro ci sono anche Prospero Gallinari e Germano Maccari. Per gli 'interrogatori' arriva Mario Moretti, che parte da un altro luogo simbolo: via Gradoli 96. Tanti i dubbi sul covo: c'è chi ipotizza che lo statista sia stato prigioniero in altre zone. Addirittura sul litorale, in una zona più appartata e tranquilla rispetto a Roma, tra Focene e Palidoro, come indicherebbero i sedimenti trovati sugli indumenti del politico.

Via Gradoli: in questa traversa della Cassia, zona Nord, in una palazzina al numero 96, c'è Mario Moretti, sotto l'alias 'ingegner Borghi', con la compagna Barbara Balzerani. La Polizia, in occasione dei controlli fatti due giorni dopo la strage di via Fani, va in via Gradoli, come in altre strade del quartiere, ma non in quell'appartamento. Il 'covo di Stato' (secondo Sergio Flamigni) viene scoperto casualmente dai vigili del fuoco solo il 18 aprile 1978, in seguito ad una perdita d'acqua segnalata dall'inquilina del piano di sotto. Si apprenderà poi che nella palazzina ci sono ben 24 case di società immobiliari intestate a fiduciari del Sisde. Altra stranezza: nel settembre del '79 il funzionario del Viminale Vincenzo Parisi compra un appartamento al numero 75, stesso stabile dove Moretti, prima e durante il sequestro, disponeva di un box auto. Tra l'81 e l'85 Parisi - nel frattempo diventato vicedirettore e poi direttore del Sisde - prosegue con gli acquisti al numero 75 ed anche al 96. Parisi diventa poi capo della polizia.

Il sequestro si conclude con l'ultimo atto, addirittura al centro di Roma: in via Caetani - dietro Botteghe Oscure, sede del Pci e poco distante da piazza del Gesù, sede della Dc - dove la mattina del 9 maggio viene fatta trovare una Renault 4 amaranto con il cadavere dello statista nel portabagagli. È davvero improbabile che i brigatisti quella mattina abbiano attraversato tutta la città per arrivare da via Montalcini al centro storico, con quell'ingombrante carico. C'è chi ipotizza che il prigioniero si trovava in realtà in un covo nei dintorni di via Caetani. L'informato Mino Pecorelli, assassinato un anno dopo, scrive il 17 ottobre 1978: «Il ministro di Polizia (Cossiga, ndr.) sapeva tutto, sapeva persino dove era tenuto prigioniero: dalle parti del ghetto». Un dettaglio: via Caetani costeggia due palazzi storici, Palazzo Caetani e Palazzo Antici Mattei. In quest'ultimo il Sismi fa degli accertamenti dopo via Fani identificando il direttore d'orchestra russo, naturalizzato italiano, Igor Markevitch e la moglie, Topazia Caetani. Markevitch venne poi indicato come possibile intermediario nella trattativa per liberare Moro e, da alcuni, addirittura come colui che condusse gli interrogatori sul politico. Successivamente, il Sisde installerà un ufficio nella piccola via alle porte del ghetto. L'ennesimo enigma di una storia ancora nebulosa.

Riferimenti:

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=moro

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