15.2.17

UNA STRAGE ITALIANA DI CRISTIANI





di Gianni Lannes

Le armi chimiche proibite dalla Convenzione di Ginevra del 1925 (iprite e fosgene fabbricate a Rho e Bussi sul Tirino, infine a Foggia) sono state usate dall’Italia per l’aggressione coloniale dell’ Etiopia, dopo le stragi nel Mezzogiorno d’Italia sancite dalla legge Pica nel 1863 numero 1409 ("Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Provincie infette").  

Erano trascorsi meno di dieci mesi dall’occupazione dell’Abissinia, quando i Savoia avevano affidato quel territorio africano a un regime militare che praticava lo sterminio della popolazione locale, la liquidazione dei capi ribelli, la persecuzione della classe dirigente autoctona e la discriminazione razziale. La normalizzazione era guidata dal maresciallo Graziani, già distintosi quanto a ferocia per aver represso la rivolta della Cirenaica deportando nei campi di concentramento migliaia di civili libici, comprese donne e bambini. Il ras fascista era affiancato sul campo militare dal duca Amedeo D'Aosta.
 
  

Due oppositori eritrei il 19 febbraio 1937 lanciarono bombe a mano durante una cerimonia del regime fascista, provocando 7 morti e numerosi feriti. Subito dopo si scatenò una barbara caccia all’uomo e il massacro di innocenti. Per le fonti etiopi le vittime furono decine di migliaia, almeno 3 mila accertate secondo lo storico Angelo del Boca. Era soltanto l’inizio di una vendetta che culminerà in una strage finale del clero copto.

Tre mesi dopo l’attentato al macellaio impunito Graziani, a freddo le truppe del generale Pietro Maletti vengono inviate a regolare i conti con i vertici della chiesa nazionale, attaccando il grande monastero di Debra Libanos (in aramaico “Monte Libano”). Il 19 maggio di 80 anni fa i monaci vengono imprigionati nella chiesa; il giorno dopo sono trasferiti a gruppi, con i camion in una località scelta appositamente per l’eccidio; qui allineati, coperti da teloni, vengono fucilati, quindi finiti con il colpo di grazia alla testa. La medesima sorte tocca poi a tutti i giovani diaconi. Mai prima un massacro è stato altrettanto chiaramente documentato. Di esso resta nell'Ufficio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito a Roma, lo scambio di telegrammi e dispacci fra Maletti, Graziani e Mussolini. I medesimi massacratori forniranno di 449 fucilati. Ricerche successive hanno attestato che le vittime furono molte di più. La memoria dimenticata in Italia è stata comunque rievocata nel documentario “Debre Libanos” di Antonello Carvignani, a cura di Dolores Gangi e per la regia di Andrea Tramontano.

riferimenti: 

https://www.youtube.com/watch?v=NKSBN_0fMmI 

https://www.youtube.com/watch?v=WZt3hDBS0lA 

http://www.assemblea.emr.it/cittadinanza/documentazione/formazione-pdc/viaggio-visivo/lideologia-nazista-e-il-razzismo-fascista/il-razzismo-fascista/limpiego-dei-gas-in-etiopia/approfondimenti/i-telegrammi-di-mussolini 

http://www.italia-resistenza.it/wp-content/uploads/ic/RAV0053532_1975_118-121_01.pdf 

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2016/05/debre-libanos-il-massacro-italiano.html 

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2014/04/armi-chimiche-due-fabbriche-segrete.html 

Post scriptum

 
Il primo autorizzato all’uso dei gas fu, nel 1935, il generale Graziani.
Il 27 ottobre 1935, mentre si apprestava ad attaccare la piazzaforte di Gorrahei, ricevete un telegramma da Mussolini: “Sta bene per azione giorno 29. Autorizzato impiego gas come ultima ratio per sopraffare resistenza nemico o in caso di contrattacco” ma non furono necessari. Il 15 dicembre, per fermare ras Destà Damteù, che si avvicinava alle fortificazioni italiane di Dolo, Graziani chiese a Mussolini libertà d’impiego di gas asfissianti, per rallentare l’avversario. Il 24 dicembre, Graziani, inviò tre Caproni 101 bis ad Areri, per attaccare il ras Destà, in sosta con i suoi uomini, usando i gas di Fosgene e Iprite. Altri attacchi aerei continuarono il 25, 28, 30, 31, per un lancio totale di 125-bombe. Il 10 gennaio 1936 Graziani, telegrafò al generale Bernasconi, comandante dell’aviazione in Somalia, per magnificare l’uso dei gas e ricordare il telegramma n. 333 che autorizzava da parte di Mussolini all’uso dei gas.

Sul fronte nord, a partire dal 22 dicembre 1935, dopo che le avanguardie di ras Immirù avevano massacrato il gruppo delle Bande del maggiore Criniti,  vennero usati i gas. Badoglio per fermare l’offensiva abissina nello Scirè, utilizzò tutta l’aviazione dell’Eritrea, sui guadi del Tacazzè e del Golimà e su Mai Timcher e Passo Agumbertà.
Per la prima volta, nella “campagna d’Etiopia” vennero gettate sulle masse abissine in movimento, le micidiali bombe c.500 T, contenenti 212 Kg d’Iprite con un meccanismo a tempo che si aprivano a 250 m. dal suolo, spargendo una pioggia mortale. Tra il 22 e il 27 dicembre 1935 ne vennero lanciate 74 e tra il 2 e il 7 gennaio 1936 altre 117 che quando toccavano terra o l’acqua dei fiumi si aprivano e spargevano intorno un liquido incolore che al contatto con la pelle, formava su questa delle vesciche, causando un grande dolore a uomini e bestiame, alcuni che bevvero l’acqua del fiume, morirono tra atroci dolori.  

Complessivamente, dal 22 dicembre 1935 al 29 marzo 1936, vennero sganciate sul fronte Nord 1020 bombe c.500T, per 300 tonnellate d’Iprite. Sul fronte Sud, dal 24 dicembre 1935 al 27 aprile 1936, furono sganciate 95 bombe c.500T, 186 bombe da 21 Kg all’Iprite e 325 bombe al Fosgene da 41 Kg, per un totale di 44 tonnellate. Il 5 gennaio 1936, Mussolini telegrafò a Badoglio di “sospendere l’impiego dei gas sino alla riunione ginevrina, a meno che non sia reso necessario da supreme necessità offesa o difesa, darò ulteriori istruzioni al riguardo”, ma Badoglio ignorò il telegramma e le utilizzò nei giorni 6 – 7 gennaio, irrorando d’Iprite la cittadina di Abbi Addi, i guadi dei torrenti Segalò e Rassi. Mussolini redarguì Badoglio per gli insuccessi, ma Badoglio che non sopportava rimproveri cercò aiuto dal Ministro delle Colonie, Alessandro Lessona, mandandogli un telegramma: “Impiego Iprite si è dimostrato molto efficace specie verso zona Tacazzè. Circolano voci di terrore per l’impiego dei gas. Certamente la sospensione rappresenta grave svantaggio per noi”.
Senza attendere autorizzazione del duce, Badoglio, riprendeva i bombardamenti, fra il 12 e il 18 gennaio, 76 bombe C.500t e il 19 gennaio arrivò il via libera da Mussolini: “Autorizzo vostra eccelenza a impiegare tutti i mezzi di guerra, dico tutti,, sia dall’alto come da terra. Massima decisione”.  Dal 21 gennaio i bombardamenti all’Iprite, nella battaglia del Tembien, erano giornalieri. Dal 22 dicembre 1935 al 29 maggio 1936, sul fronte Norde, furono sganciate 1.020 bombe da C.500t per 300 tonnellate d’Iprite. Sul fronte Sud, dal 24 dicembre 1935 al 27 aprile 1936, 95 bombe C500t , 186 bombe da 21 Kg all’Iprite, 325 bombe a Fosgene da 41 Kg, per 44 tonnellate e durante la battaglia dell’Amba Aradam, autorizzò 1367 colpi d’artiglieria caricati ad Arsine, per un totale di 350 tonnellate di aggressivi chimici!

Il 7 febbraio 1996, il ministro della Difesa, generale Domenico Corcione, in risposta ad interrogazioni parlamentari, ammise che in Etiopia furono usate bombe d’aereo e proiettili di artiglieria caricati ad Iprite e Arsine e di questo ne era al corrente Badoglio che firmò alcune relazioni e comunicazioni in merito.
Grazie alla censura, il regime fascista, riuscì a nascondere agli italiani l’utilizzo, in Etiopia dei gas, solo la stampa internazionale ne dava i resoconti. Questo silenzio dei crimini fascisti è durato per decenni anche nell’Italia democratica, tacciando di “anti Italiano” coloro che cercavano di forzare il blocco censorio per portare alla luce fatti e responsabilità.

Per Mussolini l’uso dei gas era insufficiente e per accelerare la sconfitta dei suoi avversari che definiva: “… abbissini tagliatori di teste; selvaggi razziatori” alla fine del 1936 pensò all’uso della “guerra batteriologica” (mai usata da nessuno al mondo) e se questo non avvenne, fu perché Badoglio espresse parere contrario, in quanto l’uso degli aggressivi chimici avrebbe alienato le simpatie delle popolazioni del Corno d’Africa, oltre le ripercussioni internazionali. Il 20 febbraio 1936, Mussolini, telegrafò a Badoglio: “Concordo con quanto osserva V.E. circa l’impiego della guerra batteriologica”.
A Mussolini interessava poco vincere, voleva sterminare gli avversari, accanendosi contro popolazioni inermi facendo ipritare gli esseri umani ed il loro bestiame, i raccolti, i fiumi, i laghi; non rispettando i contrassegni della “Croce Rossa”, anzi, distruggendo 17 istallazioni mediche, tra cui gli ospedali da campo di Melka Did, dell’Amba Aradam, di Quoram. Per questo scopo, Mussolini consentì che contro l’Etiopia si facesse uso dei libici musulmani della divisione Libia, comandata dal generale Guglielmo Nasi, queste truppe, inviate nel fronte Sud, per la totalità islamiche, combatterono contro gli etiopi (in gran parte cristiani) consentendogli di vendicarsi per le violenze subite per 20 anni ad opera dei battaglioni amhara eritrei. La divisione Libia entrò in azione il 15 aprile 1936; partecipò nell’Ogaden con Graziani, dimostrando tutto il suo valore guerriero. Gli scontri più sanguinosi si svolsero lungo il corso dell’Uadi Corràc, ricco di caverne e apprestamenti difensivi, inutilmente colpiti dall’aviazione, dalle artiglierie, dai lanciafiamme e da proiettili di Irsine. Le ultime resistenze etiopi, furono sconfitte dai libici del 1° e 7° battaglione, che fecero scempio degli avversari, 3.000 morti. Lo stesso Graziani disse “prigionieri pochi, secondo il costume delle truppe libiche”. Purtroppo, l’odio religioso, sul quale l’Italia fascista aveva puntato, continuò con la mattanza dei prigionieri ai pozzi di Bircùr, a Segàg, a Dagamedò, a Dagahbùr. I massacri di prigionieri continuarono anche a guerra finita.

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