26.10.23

USTICA E BOLOGNA: CHI SONO STATI?

  


di Gianni Lannes

Norberto Bobbio ha scritto che la strage è, fra «tutte le azioni delittuose, quella che più si avvicina al male radicale: è il massimo delitto, l'omicidio, diretto consapevolmente contro gli innocenti».

Segreti di Stati. 166 persone sacrificate nell'estate dell'anno 1980 da una presunta "s-ragione" di nazioni alleate, La verità è indicibile. Il movente è nucleare: un gigantesco affare in cambio di petroldollari e armi, combinato da Parigi e Roma, contro gli ordini di Washington e il diktat di Tel Aviv. Israele è intoccabile?

Ecco, dopo 43 anni le prime ammissioni in ambito politico (mai indagato dalla magistratura):

«Nessuno aveva interesse a scoperchiare un segreto coperto dalla ragion di Stato o di Stati: la tragedia di Ustica era stato un atto di guerra in tempo di pace in un paese a sovranità nazionale limitata...»: parola di Giuliano Amato (la Repubblica, 5 settembre, 2023, pagina 3, “Il mio bisogno di verità e quell'appello per dire: adesso chi sa parli”).

    L'ipotesi che Giuliano Amato, due volte primo ministro e poi ministro, nonché per anni sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nel rilasciare l'intervista a Repubblica il 2 settembre 2023, disponesse di informazioni nuove e ulteriori sulla tragedia di Ustica, o meglio di Ponza, e sulla guerra aerea intorno al DC9 Itavia, ammarato la sera del 27 giugno 1980, era l'unica che avrebbe potuto spiegare per quale motivo, mai neppure una delle sue odierne certezze fosse presente tra la verità, su cui aveva giurato nel 2001, dinanzi al giudice cui rendeva testimonianza. Nel 2007 Francesco Cossiga dichiarò pubblicamente che lui e Amato erano stati informati in passato dall'ammiraglio Fulvio Martini a capo del Sismi.

    Ma ora il “dottor sottile” spiega che lui non sa nulla più di quanto sapesse decenni fa. Vale a dire quando, chissà perché, riteneva appunto di non sottoporre alla cognizione dei magistrati le informazioni e le valutazioni di cui va certo adesso e di cui - come ha ribadito - disponeva anche allora.

    Se il presidente emerito della Corte costituzionale vuole davvero fare chiarezza sul passato, parli allora dei suoi legami con Mps. Infatti, la storia della banca salvata dallo Stato con denaro dell'ignaro contribuente, è intrecciata alla carriera sfolgorante proprio del tennista Amato che nottetempo da inquilino di Palazzo Chigi mise le mani sui conti correnti degli italiani. Dalla privatizzazione avviata con una sua legge nel 1990, all'amicizia col gran capo Giuseppe Mussari, all'elezione alla Camera  (anno 1992) nel collegio senese e così via, fino al ruolo di D'Alema, Fassino e altri.

    Ci sono anche altre interviste rilasciate al quotidiano la Repubblica, che Amato potrebbe rettificare, come quando a gennaio si era detto preoccupato dalle minacce del sovranismo mondiale a libertà e dissenso, dimenticando che lui stesso occupava lo scranno alla Consulta, quando i giudici costituzionali decisero che i “dpcm” di Conte (meri provvedimenti amministrativi) erano legittimi: in quel caso i diritti costituzionali e universali delle persone non si tennero proprio in conto.

    I soliti due partiti: bomba e missile. La sera del 27 giugno 1980 ammarò nel Mar Tirreno il velivolo DC9 Itavia I-TIGI in servizio sulla rotta Bologna-Palermo, con la morte di tutte le 81 persone a bordo; ad oggi non risultano identificati gli esecutori materiali e i mandanti dell'attentato e della morte delle 81 persone.

    Il 23 luglio 1994 il Collegio Peritale d'Ufficio, nominato dal giudice istruttore Rosario Priore, composto dai massimi esperti internazionali e presieduto da Aurelio Misiti, concluse individuando nell'esplosione di una bomba collocata nella toilette posteriore del velivolo.

    La sentenza numero 37/2005 pronunciata dalla Corte di Assise di Appello di Roma, in seguito confermata dalla sentenza 9174/2007 della Prima sezione penale della Suprema Corte di cassazione, ritengono destituito di ogni fondamento l'impianto accusatorio di Rosario Priore incentrato sulla battaglia aerea, nelle sue diverse varianti di missile e/o quasi collisione, stabilendo tra l'altro nelle motivazioni d'appello che «nell'ora e nel luogo del disastro non vi erano velivoli di alcun genere» e definendo l'accusa «la trama di un libro di spionaggio ma non un argomento degno di una pronuncia giudiziale», «fantapolitica o romanzo che potrebbero anche risultare interessanti se non vi fossero coinvolte 81 vittime innocenti».

    Gli organi inquirenti hanno ritenuto di svolgere indagini esclusivamente nella direzione delle diverse varianti della battaglia aerea, ritenute infondate nel processo penale.

    Il 25 giugno 2022 Giuliana de Faveri Tron, in qualità di erede di Anna Pelliccioni, madre deceduta nel disastro aereo del 27 giugno 1980, e Flavia Bartolucci, in qualità di Presidente della Associazione per la verità sul disastro aereo di Ustica, hanno presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Bologna nel quale si chiede di accertare mandanti ed autori dell'attentato terroristico che provocò la caduta del DC9 Itavia.

    La Procura di Bologna, individuata in quanto luogo di partenza dell'aereo, ha trasmesso il fascicolo alla Procura della Repubblica di Roma dove esso è stato iscritto al numero 107589/22 r.g.n.r. Ignoti: secondo quanto si è appreso, il procedimento è stato assegnato al sostituto procuratore dottor Erminio Amelio, che è stato coautore del libro dal titolo «IH870. Il volo spezzato. Strage di Ustica: le storie, i misteri, il depistaggio, il processo.», pubblicato nel 2005, alla vigilia dell'apertura del dibattimento davanti alla Corte di Appello.

    In tale volume il dottor Amelio si confermava uno dei maggiori sostenitori del cosiddetto «Partito della battaglia aerea». Considerato che, avendo la Procura di Roma affidato l'incarico di ricercare autori e mandanti dell'attentato di Ustica ad un magistrato che in passato ha dimostrato di non aver mai concordato con la tesi dell'esplosione interna causata da una bomba, è stata depositata ad agosto 2022 presso la Procura della Repubblica di Roma una richiesta di astensione e/o di revoca della designazione del PM. Il dottor Erminio Amelio ha poi trasmesso la richiesta di astensione al Procuratore della Repubblica ricevendo in risposta la conferma dell'assegnazione del fascicolo.

    Le verità che le autorità non hanno mai voluto dire? Anche il giudice istruttore Rosario Priore ha pubblicato un testo sull'argomento (Intrigo internazionale) che smentisce la sua stessa indagine e riporta parecchie inesattezze (relative alla morte nel disastro di Ramstein dei piloti Naldini e Nutarelli - precisamente al loro interrogatorio - che la sera del 27 giugno 1980 erano a bordo dell'intercettore biposto F-104 di stanza a Grosseto).

    Alle 10.25 di sabato 2 agosto 1980 un ordigno ad altissimo potenziale esplose nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione ferroviaria di Bologna, provocando il crollo della struttura sovrastante le sale d'aspetto e di trenta metri della pensilina, e investendo anche due vetture di un treno in sosta al primo binario. La vittima più piccola aveva solo 3 anni, la più anziana 86.

    Le vittime erano persone comuni, provenivano da 50 città diverse d'Italia, tra loro anche diversi stranieri. Lavoratori comuni, giovani turisti, coppie, studenti e familiari in attesa di parenti con cui condividere quell'afosa estate. «Semplicemente persone che non avevano nessun connotato politico, se non quello di essere i bersagli pianificati dalla folle strategia neofascista della strage indiscriminata», come ha scritto Paolo Bolognesi, Presidente della «Associazione Familiari Vittime della Strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980», associazione costituitasi per tenere viva la memoria di quella tragedia e il ricordo delle vittime oltre che per «ottenere con tutte le iniziative possibili la giustizia dovuta».

    Le conseguenze dell'esplosione furono di terrificante gravità, anche a causa dell'affollamento della stazione in un giorno prefestivo di agosto: rimasero uccise ottantacinque persone, oltre duecento furono gravemente ferite.

    Quel giorno cominciò anche una delle più difficili indagini della storia giudiziaria; ad oggi, infatti, l'iter processuale, che pur ha già registrato condanne definitive, non è ancora concluso.

    Nel 2016, in occasione del trentaseiesimo anniversario della strage di Bologna, nel suo messaggio all'Associazione dei familiari delle vittime, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ribadito che «permangono ancora domande senza risposta e la memoria è anche sostegno a non dimettere gli sforzi per andare avanti e raggiungere quella piena verità, che è premessa di giustizia».

    L'immagine della stazione ferroviaria con l'orologio fermo al minuto della tremenda esplosione è divenuta simbolo della disumanità del terrorismo, dell'attacco sferrato al cuore della democrazia italiana.

    Ad oggi, sono stati condannati in via definitiva come esecutori materiali i terroristi neofascisti dei Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar) Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, e per attività di depistaggio il «Gran Maestro» della loggia massonica P2, Licio Gelli, gli ufficiali dei servizi segreti Pietro Musumeci (P2) e Giuseppe Belmonte e il faccendiere Francesco Pazienza. Fioravanti e Mambro, nonostante 17 ergastoli e altre pene cumulative sono liberi da anni, grazie allo sconto dello Stato tricolore.

    Con un'altra sentenza precedente (Corte d'assise di Bologna, sentenza del 9 gennaio 2020, depositata il 7 gennaio 2021) è stato condannato all'ergastolo, colpevole di concorso nel reato di strage, Gilberto Cavallini dei Nar.

    Mercoledì 5 aprile 2023, sono state depositate le motivazioni della sentenza pronunciata il 6 aprile 2022, dalla Corte di assise di Bologna, del cosiddetto processo ai mandanti per la strage alla stazione di Bologna, che ha condannato all'ergastolo Paolo Bellini, a sei anni Piergiorgio Segatel, l'ex capitano dei Carabinieri, accusato di depistaggio, e a quattro anni Domenico Catracchia, accusato di false informazioni al pubblico ministero al fine di sviare le indagini, ex amministratore di condomini di via Gradoli a Roma, dove i Nar nel 1981 avevano ben due covi, ai numeri civici 65 e 96, lo stesso civico dove ha vissuto il capo delle BR Mario Moretti durante il sequestro Moro, nel 1978.

    Si tratta di sentenze di primo grado ma supportate da elementi probatori importanti che hanno permesso di fare luce su alcuni aspetti cruciali della vicenda. «Si è finalmente giunti – si legge nella sentenza a pagina 1069 – a porre un punto fermo che considera la strage del 2 agosto 1980 a Bologna come il momento conclusivo, sia pure sui generis ed atipico rispetto ai momenti precedenti della cosiddetta strategia della tensione. È ormai appurato ... che la compagine degli esecutori materiali non agiva nel vuoto di strategia e fuori da contesti politici nazionali e probabilmente internazionali. Gli esecutori erano strettamente collegati a chi la strage aveva deciso, agevolato e finanziato, attraverso una fitta rete di legami e di mediazioni, di cui tuttavia si intravede ora il vertice, come è stato per le stragi politiche dei primi anni Settanta ...».

    La sentenza collega la bomba alla stazione di Bologna alla strategia della tensione inaugurata in Piazza Fontana a Milano nel 1969, cambia il quadro generale, i riferimenti politici ma non il progetto eversivo finalizzato all'instaurazione di uno Stato autoritario.

    La sentenza smonta la teoria della strage frutto della semplice azione dello «spontaneismo armato» di un gruppo armato di neofascisti. «Se ne è tratta la ragionevole conclusione che nella strage del 2 agosto 1980 furono coinvolti personaggi di almeno tre formazioni della destra eversiva: i Nuclei Armati Rivoluzionari, Terza Posizione e Ordine Nuovo» (pagina 930 della sentenza). È la «strategia dell'arcipelago»: i gruppi non perdono autonomia e identità ma si raccordano in funzione di una politica comune.

    Il processo si è concluso con la condanna del neofascista Paolo Bellini, oltre a due imputati (Luigi Segatel e Domenico Catracchia) per avere sviato le indagini, ma alla base stava la cosiddetta «inchiesta mandanti»: le indagini sul livello superiore rispetto a quello degli esecutori materiali della strage. «La strage di Bologna ha avuto dei “mandanti” tra i soggetti indicati nel capo d'imputazione, non una generica indicazione concettuale, ma nomi e cognomi nei confronti dei quali il quadro indiziario è talmente corposo da giustificare l'assunzione di uno scenario politico, caratterizzato dalle attività e dai ruoli svolti nella politica interna e internazionale da quelle figure, quale contesto, operativo della strage di Bologna» (pagina 1070 della sentenza).

    I soggetti indicati nel capo d'imputazione sono: Licio Gelli, il capo della P2 e il suo braccio destro Umberto Ortolani, in qualità di mandanti finanziatori; Federico Umberto d'Amato, il potentissimo capo dell'Ufficio affari riservati del Viminale e il senatore Mario Tedeschi, il primo in qualità di mandante organizzatore, il secondo principalmente per l'attività di depistaggio. Costoro sono tutti morti, «sono quindi non imputabili, nei loro confronti non è possibile elevare alcuna imputazione formale», pur essendo possibile richiamarne il ruolo nel contesto di un'imputazione riguardante altri, in quanto la posizione semplicemente «storica» rilevi nella ricostruzione e nell'accertamento delle responsabilità dei giudicabili, valutazione incidentale e indiretta, «storica», esclusa ogni valutazione di responsabilità giuridica (così in nota alla pagina 781). Ancora meno questa circostanza può rimuovere il dovere di preservare la memoria di quei tragici fatti e delle responsabilità di quanto accaduto.

    La sentenza oltre ad illuminare il secondo livello della strage neofascista, ricostruisce l'efficace rete di protezione costruita intorno a Paolo Bellini, uomo di raccordo tra esecutori materiali e mandanti-organizzatori-finanziatori.

    Nella sentenza viene ampiamente ricostruito il ruolo svolto da Mario Tedeschi (onorevole Msi) dal lontano 1965, con l'operazione «manifesti cinesi» fino al 1980. Si ricorda, tra l'altro, il tentativo di depistaggio con la pista palestinese, sostenuta con gli articoli apparsi sul giornale «Il Borghese» a firma dello stesso Tedeschi e in qualche modo «sponsorizzata» anche da Licio Gelli.

    Per consentire la ricostruzione dei gravissimi eventi che, negli anni compresi tra il 1969 ed il 1984, hanno segnato la storia del nostro Paese, il Presidente del Consiglio dei ministri, con direttiva del 22 aprile 2014 ha disposto la declassifica e il versamento anticipato all'Archivio centrale dello Stato e agli Archivi di Stato, da parte di tutte le amministrazioni dello Stato interessate, ivi compresi gli organismi di informazione per la sicurezza, della documentazione da questi detenuta relativa agli eventi di Piazza Fontana a Milano (1969), di Gioia Tauro (1970), di Peteano (1972), della Questura di Milano (1973), di Piazza della Loggia a Brescia (1974), dell'Italicus (1974), di Ustica (1980), della stazione di Bologna (1980), del Rapido 904 (1984).

    Al fine di estendere l'ambito oggettivo di applicazione della direttiva del 2014, è stata adottata la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri, del 2 agosto 2021, con la quale si è stabilito di ampliare i criteri di individuazione della documentazione da sottoporre a desecretazione, comprendendovi documenti relativi ad altre tematiche oltre quelle già oggetto della precedente direttiva. In particolare, con la nuova direttiva si rende consultabile la documentazione concernente l'organizzazione Gladio e quella relativa alla loggia massonica P2, «corrispondendo in tal modo ad un'esigenza assai avvertita anche dall'opinione pubblica».

    Dal 1946 ad oggi, nel periodo storico definito Guerra fredda, l'Italia è stata terreno di scontro tra le grandi potenze globali nonché di singoli Stati o realtà politico-territoriali non allineate, implicate o comunque coinvolte nelle varie dinamiche della guerra a bassa intensità tra Est e Ovest e, in modo particolare, interessate al ruolo strategico peculiare della nostra Nazione in Europa e soprattutto nel bacino del Mediterraneo e alle sue specificità socio-politico-economiche.

    Tale aspetto era già emerso, in particolare, grazie al lavoro svolto dalle Commissioni parlamentari di inchiesta succedutesi nel corso degli anni, quali la Commissione Stragi e la Commissione Mitrokhin, che hanno raccolto una serie di riscontri probatori in tal senso: da un lato, semplici contatti e collaborazione tattica o strategica tra organizzazioni terroristiche di analogo orientamento politico operanti in diversi Stati; da un altro lato, rapporti con apparati di potenze straniere e persino sostegno o vera e propria etero-direzione da parte di essi.

    Nelle Commissioni parlamentari è emerso come il cosiddetto «lodo Moro», ossia l'accordo extra legem tra la cosiddetta diplomazia parallela italiana (affidata a settori dei servizi di informazione e sicurezza) e la dirigenza palestinese, maturato in ambito politico-istituzionale agli inizi degli anni Settanta (in seguito alla strage palestinese alle Olimpiadi di Monaco del 1972) per tutelare gli interessi italiani dalla minaccia di attentati, sia il cuore di molte vicende storico-giudiziarie: occorre, pertanto, che ne siano finalmente chiariti sia le esatte finalità sia i modi di applicazione e le conseguenze che questo patto extra legem determinò sul piano nazionale e nei rapporti internazionali con l'Alleanza atlantica.

    Nella relazione sull'attività svolta dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro (Doc. XXIII, n. 29, della XVII Legislatura), presieduta dal parlamentare del PD Giuseppe Fioroni, si legge: «Una delle principali acquisizioni è giunta dagli approfondimenti sulla dimensione “mediterranea” della vicenda Moro, con particolare riferimento agli accordi politici e di intelligence che fondavano la politica italiana, in particolare nei riguardi del Medio Oriente, della Libia e della questione israelo-palestinese. Gli approfondimenti sul ruolo dei movimenti palestinesi e del centro SISMI di Beirut hanno consentito di gettare nuova luce sulla vicenda delle trattative per una liberazione di Moro e sul tema dei canali di comunicazione con i brigatisti, ma anche di cogliere i condizionamenti che poterono derivare dalla collocazione internazionale del nostro Paese e dal suo essere crocevia di traffici di armi con il Medio Oriente, spesso tollerati per ragioni geopolitiche e di sicurezza nazionale».

    Già il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, nella Relazione sull'attività svolta dal 1° gennaio 2021 al 9 febbraio 2022, trasmessa alle Presidenze il 10 febbraio 2022 (Doc. XXXIV, n. 8), ha evidenziato che «Uno dei limiti che sembra emergere è quello di una consultabilità ed accessibilità rese ardue dalla necessità di atti amministrativi costitutivi espressi ai quali la richiesta è subordinata. Per questo motivo, occorrerebbe in qualche modo invertire i termini della procedura attualmente seguita, recependo il contenuto, ad esempio, del disegno di legge (atto Senato n. 2018 della XVIII legislatura), presentato dal Presidente della Commissione Biblioteca e Archivio storico del Senato, senatore del Partito democratico Gianni Marilotti, che propone una rivoluzione copernicana: stabilita una durata per la segretezza del documento – trenta o quaranta anni – se questa è superata, la consultazione dovrà essere automaticamente consentita. In aderenza a questa possibile modifica di rango legislativo appare apprezzabile la stessa iniziativa del senatore Marilotti, in qualità di Presidente della predetta Commissione, che ha emanato linee di indirizzo per la declassifica del segreto eteronomo sugli atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi, con lo scopo di venire incontro all'alta mole di richieste di consultabilità pervenute all'Archivio storico del Senato. Analogamente, si segnala l'ordine del giorno presentato dallo stesso senatore ed accolto dal Governo durante l'esame della legge di bilancio per il 2022 da parte della Commissione istruzione pubblica e beni culturali del Senato (seduta del 23 novembre 2021) che impegna il Governo, tra l'altro, a rendere accessibili e consultabili, alle condizioni poste dall'articolo 122 del Codice Urbani e salva soltanto l'apposizione del segreto di Stato nei limiti di cui alla legge n. 124 del 2007, anche i documenti degli archivi dello Stato maggiore della difesa, dei servizi segreti e degli organi, enti o uffici per i quali non è contemplato l'obbligo di versamento all'Archivio centrale dello Stato».

    Mai dimenticare. Occorre far luce sulle connessioni del terrorismo interno e internazionale con gli attentati, le stragi e i tentativi di destabilizzazione delle istituzioni democratiche avvenuti in Italia dal 1946 ad oggi e sulle attività svolte dai servizi segreti nazionali e stranieri, anche relativamente alla scomparsa a Beirut il 2 settembre 1980, dei giornalisti Graziella De Palo e Italo Toni.

Riferimenti:

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=de+palo

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=amato

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