30.10.23

DA ATENE AD AUSCHWITZ, FINO A GAZA!

  

foto Gilan


di Gianni Lannes

Da Atene ad Auschwitz, fino a Gaza: nel XX e XXI secolo il paradigma non è più l'Agorà, bensì il campo di concentramento e sterminio. Dalla democrazia del passato al totalitarismo del presente che oscura la possibilità di futuro per il genere umano. La violenza è insita nella crudeltà dell'uomo. Se l'etica non soppianta l'economia (l'egoistico tornaconto personale), gli esseri umani sono destinati inesorabilmente all'estinzione.

Il disegno criminoso, scientificamente pianificato e messo in atto con gli strumenti tecnologici dell’omicidio di massa, di eliminazione fisica di un intero popolo e la sua estromissione dalla vita - quello ebraico prima - con la sua cultura, la sua identità sociale, le sue organizzazioni politiche, quello palestinese, dopo. Insomma la storia non insegna. Israele, segretamente dotatasi di un arsenale nucleare in grado di annientare il pianeta Terra, è intoccabile? Perché?

    La Shoah è stata così inconcepibile, così mostruosa, così assoluta e unica da assumere per tutti, non solo per gli Ebrei, il segno di una svolta epocale. Il “mai più!” con cui si è chiuso il secondo conflitto mondiale, la solenne promessa verso ebrei e gentili, generazioni presenti e future, di costruire un sistema politico democratico internazionale che rendesse impossibile il ripetersi del disegno criminale di eliminazione o discriminazione di gruppi etnici e di persone per motivi razziali, è stato il fondamento - sulla mera carta - della costruzione dell’integrazione europea, nonché dell’organizzazione delle Nazioni Unite. Più in generale, quel “mai più!” ha fondato un sistema giuridico che è andato perfezionandosi nel corso dei decenni fino alla costituzione della Corte Penale Internazionale (non mai riconosciuta dagli USA), la cui competenza si estende ai crimini più gravi che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, ovvero il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra (cosiddetti crimina iuris gentium). 

    Tuttavia questo vincolo giuridico non ha impedito che disegni ispirati alla stessa logica alla base della Shoah, il razzismo contemporaneo, si ripresentassero nel corso di questo cammino, come ha tristemente dimostrato la mattanza jugoslava con lo stupro etnico e l’eliminazione di migliaia di civili inermi sulla base della nazionalità o dell’appartenenza etnica, e come testimoniano dal 1948 le atrocità governative israeliane contro i Palestinesi, cacciati via dalla propria terra nativa. Successivamente confinati ed ammassati in ghetti come la Striscia di Gaza, circondati da muri e filo spinato.

    Niente può essere paragonato ad Auschwitz, se non adesso Gaza e la colpevole condotta di emarginazione sociale e discriminazione giuridica, nonché la politica di sterminio verso il popolo palestinese perpetrata ininterrottamente dai governi dello Stato di Israele. 

    In ogni momento dobbiamo sentirci interrogati da questa insanabile e grave contraddizione fra le solenni dichiarazioni di pace, solidarietà, giustizia, democrazia e le pratiche concrete di violenza, discriminazione, emarginazione, messe n atto soprattutto dagli Stati (eterodiretti) e dall'impunito governo sionista in particolare.

    Da perseguitati a persecutori: il passo è breve, agli occhi dei fatti innegabili. Si tratta di un ossimoro, un paradosso nel quale carnefici e vittime, persecutori e perseguitati, mutano i ruoli: dove gli opposti si somigliano e i fratelli trovano difficile il riconoscersi, dove si prende regolarmente le difese dei vinti salvo accusarli quando divengono i vincitori; dove ci si diverte a passar di continuo dalla parte del torto salvo abbandonarla quando, a sua volta vincente, pretende di aver ragione.

    Sono convinto che della Shoah si deve sottolineare non tanto l’unicità quanto l’esemplarità: l’olocausto degli ebrei e delle altre vittime del nazismo, come gli zingari e i "diversi" (i cosiddetti malati di mente e gli omosessuali), pur essendo dotato di caratteri propri e peculiari, avrebbe dovuto essere occasione per ricordare tutte le vittime di tutti i massacri, i genocidi, le “pulizie” (etniche o sociali o civili che fossero), insomma tutti gli orrori di cui la storia dell’umanità è costellata.  

    La Shoah è stata un evento d’una gravità unica e qualitativamente inconfrontabile con qualunque altro. Ma proprio questo suo carattere, ponendola al centro di quel grande tragico secolo ch’è stato il Novecento, la rende avvenimento esemplare: e obbliga non solo al ricordo costante e profondo di quel ch’è stata in sé e per sé, ma anche ad assumerla a simbolo di tutti gli orrori, le sofferenze, le tragedie del mondo e della storia. 

    Ad Auschwitz e negli altri luoghi di orrore e di sofferenza si è consumata la tragedia di tutta l’umanità. Dopo di essa, tutti noi non possiamo non sentirci ebrei. Ma le condizioni che permisero quell’orrore appartengono, nel loro carattere storico specifico, a un passato che non potrà più tornare sotto quelle medesime forme, eppure oggi si ripresenta sotto nuove sembianze. Lo stesso razzismo, che ne fu il movente demagogico e pseudoscientifico, attualmente non è più confinato in ristrette ancorché virulente aree subculturali della nostra società ma tra i governanti (telecomandati dal potere finanziario e militare).

    D'altronde l’antisemitismo non è più costretto a dissimularsi e a camuffarsi per guadagnare un pò di miserabile sopravvivenza. Se però le tirannie del passato sembrano finite, il ventre che le ha partorite è sempre gravido di altri mostri: magari d’aspetto diverso. I totalitarismi non sono finiti, la guerra non è scomparsa - almeno nelle forme in cui eravamo abituati a conoscerla - dal nostro Occidente: il mondo pullula di piaghe non ancora sanate, d’ingiustizie feroci, di sperequazioni che determinano a loro volta massacri ed ecatombi. 

    La stessa Shoah, sovente è stata utilizzata come alibi per riempire con il suo orrore la scena della storia e impedire che si parlasse di altri massacri, di altri genocidi. La memoria è un dovere. Ma fin dove si estende la doverosità della memoria? Allora ricordare i massacri più antichi e far finta di non vedere quelli odierni? Non possiamo caricare la nostra coscienza di tutti i mali del mondo e della storia, ma è accettabile piegarsi a un’infame computisteria funebre e aderire alla logica abietta secondo la quale vi sarebbero ingiustizie e sofferenze inobliabili e ingiustizie e sofferenze sulle quali, al contrario, si sia autorizzati a passare la spugna dell’indifferenza? Nella società massmediale, l’assenza della memoria significa obiettivamente la cancellazione della storia.  

    La riappropriazione della storia deve diventare progettualità nel tempo presente. Ancor oggi il mondo conosce moltissimi casi di popoli minacciati di estinzione; di culture che rischiano la fine per etnocidio; di violenze etniche, religiose, politiche e militari che si aggiungono alle obiettive violenze determinate dalle caratteristiche dei processi produttivi e dello sviluppo economico, finanziario e tecnologico gestito dai paesi ricchi dell’Occidente e del Settentrione del pianeta, ma pagato troppo spesso da quelli più poveri. Ora i Palestinesi sono i “nuovi ebrei” ai quali dobbiamo dar voce, se non vogliamo renderci complici delle Shoah ancora in corso. Molti di essi sono fra noi: sono gli africani, gli albanesi, i rom, i filippini che vivono ai margini delle nostre città e della nostra economia e che vengono trattati da Untermenschen (sotto umani) nonostante la nostra civiltà reciti giornalmente il mantra del rifiuto del razzismo. Vi sono poi i popoli dell’America latina che poggiano i piedi sul sottosuolo più ricco del mondo e muoiono di fame perché le loro risorse sono drenate dalle corporations multinazionali sotto gli occhi di governi corrotti e compiacenti; vi sono gli africani sterminati da una logica perversa attivata e sostenuta dalle imprese multinazionali che mirano al monopolio dei diamanti, del petrolio o del prezioso “coltan” rubato in Coltan dall'Occidente sfruttando anche i minori; oppure semplicemente ridotti alla fame dalle esigenze dell’impianto di monoculture (come quelle del caffè, della soia e dell’ananas) che giovano a noi ma non a loro e che distruggono habitat e tradizioni; vi sono i bambini africani che nascono già denutriti e sono condannati a morte perché le multinazionali si rifiutano di rinunziare a parte dei proventi che giungono loro dagli alti costi dei brevetti di produzione dei farmaci; vi sono i curdi, i ceceni, i tibetani, i palestinesi cui si nega una patria o una effettiva autonomia; vi sono i popoli sottoposti ad assurde forme di embargo che rendono loro difficile il procurarsi medicinali e altri generi di prima necessità solo perché i loro governi, in seguito a processi diplomatico-giudiziari “internazionali” spesso sommari e arbitrari, sono stati dichiarati “stati-canaglia”.     

    Se la nostra memoria non si esercita a individuare queste nuove Shoah ancora in atto e a impedirle, il ricordo dei morti nei campi di sterminio nazisti diventa un esercizio retorico offensivo per quelle stesse vittime che intende onorare, perché quell’onore si traduce in termini di fredda retorica o di bassa speculazione politica. La memoria di un orrore non può, non deve venir utilizzata come un paravento per nasconderne altri e per impedire che la protesta contro di essi divenga imbarazzante. Possiamo e dobbiamo onorare i caduti di Auschwitz e di Dachau: la maniera migliore per farlo è fermare le Auschwitz che funzionano ancora, liberare i prigionieri delle Dachau che continuano a far vittime, come in Palestine adesso. Altrimenti l'Occidente non è credibile. Se non lo facciamo, siamo complici. E non meno spregevoli di chi, dinanzi alle camere a gas, si è trincerato dietro un ipocrita “non sapevamo, non credevamo, non volevamo”.  Proprio per questo non si può tacere mai.   

Riferimenti:

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=nazisti

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=lager

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