6.11.22

TERREMOTO SENZA FINE!


L'Aquila (6 aprile 2009) - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)
 

di Gianni Lannes

L'Italia trema come non mai, da nord a sud, isole incluse. “Non c'è pericolo, non c'è pericolo”: gracchiavano in coro gli scienziati della commissione grandi rischi e i vertici della protezione civile. Poi, il 6 aprile 2009, alle ore 3 e 32 minuti il vitale Aquilano era improvvisamente diventato un cimitero schiantato, dopo un ininterrotto bombardamento sismico durato mesi. C'era la luna a preannunciare il sole e le case si erano accartocciate in tombe, incluso il moderno ospedale del capoluogo. Risultato: 309 morti, 1.700 feriti, più di 100.000 sfollati, disastrose perdite del patrimonio storico-artistico e ingenti danni economici, senza contare le vittime successive, trapassate a distanza di breve tempo per il dolore insanabile. Se non  fosse stato per lo straordinario eroismo e l'abnegazione degli instancabili Vigili del Fuoco, il bilancio in vite umane sarebbe stato ancora più elevato. Io c'ero in quella prima linea di guerra in tempo di pace, come inviato da Torino per un giornale, posso raccontare e testimoniare quell'orrore trincerato per il dovere morale di non dimenticare. Ricordo come se fosse ora, il collega Giustino Parisse che allora, ad Onna, in un soffio vide scomparire sotto un buco nero di macerie le due giovanissime figlie e il padre.


 

Quel giorno, il 22 ottobre 2012, i parenti delle vittime ascoltarono la sentenza tenendosi per mano, senza dire una parola. L’obiettivo si spostava su quei volti di pietra e sulla compostezza di chi aveva perduto sorelle, figli, genitori. Con la dignità del silenzio, gli abruzzesi dimostrarono nobilmente che cosa significasse senso civile. Mentre i lautamente prezzolati - dagli imputati - principi del foro scuotevano la testa a favore delle solite telecamere, le parole del giudice Marco Billi planavano nette nella piccola aula: 6 anni di reclusione per tutti gli imputati, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nessuno ha esultato o pianto. Solo in quel momento, la giustizia in Italia ha fatto per un attimo il suo dovere. Dopo, nei due successivi gradi di giudizio, sono stati tutti assolti, tranne De Bernardinis che comunque è stato promosso addirittura a capo dell'Ispra dal governo Draghi. Il terremoto - senza eguali - in Italia è iniziato allora e non mai terminato, mentre la prevenzione sismica ha compiuto notevoli regressi istituzionali. Esistono altri e ben più consistenti responsabili della tragedia aquilana, ma non sono mai stati neanche sfiorati dalla giustizia terrena. Oggi l'Abruzzo e gran parte delle aree terremotate nelle Marche e in Umbria, sono ancora un cantiere a cielo transennato, nonostante le altisonanti promesse governative, a partire da quelle di Berlusconi. Non sempre la responsabilità è della Natura.


 


Torniamo a riflettere sul passato. Ecco i momenti salienti del colloquio telefonico datato 9 aprile 2009, in cui Guido bertolaso e Franco Barberi vociferano di una imminente riunione della Commissione Grandi Rischi, i cui 7 componenti sono stati condannati in primo grado a 6 anni di reclusione per omicidio colposo plurimo, disastro colposo e lesioni personali colpose.

Il pio Guido Bertolaso devoto al berlusconismo, dopo 45 secondi esclama:

«E’ ovvio che la verità sulla situazione non la si dice. Quindi, alla fine, poi fate un vostro comunicato stampa, no? con le solite cose che potete dire su questo argomento e delle possibili repliche e non si parla della vera ragione della riunione. Va bene?» Boschi: «Sì, ma scusa, Guido, probabilmente c’è un po’ di confusione, dovuta a me sicuramente (…) Ti posso assicurare che il nostro è un atteggiamento estremamente cooperativo. Non vogliamo fare…». Bertolaso: «Lo so bene. Lo so bene». Ancora Bertolaso, dopo 1 minuto e 42 secondi: «Fate un comunicato stampa». Boschi: «…un comunicato stampa che prima sottoponiamo alla tua attenzione». Bertolaso: «Ok, grazie». Boschi: «Ok. Stai tranquillo, Guido. Ti abbraccio. Complimenti. Ciao».

Ai negazionisti ad oltranza e agli scientisti dell’ambiente scientifico internazionale bastarono pochi minuti per bollare la sentenza come una nuova caccia alle streghe. Al giudice Billi sono stati necessari 943 pagine e 88 giorni durati una gran fatica per spiegare le ragioni motivate della sua decisione. I capi di imputazione erano ineludibili: omicidio colposo plurimo, disastro colposo, lesioni personali colpose. La tragedia, da cui era scaturito il procedimento giudiziario durato 13 mesi, è di quelle che non si possono dimenticare mai.

Nelle motivazioni della sentenza, depositate due giorni prima del termine previsto e rese note il 18 gennaio 2013, il magistrato non lasciò nulla al caso. Il documento riporta tabelle, dati statistici, testimonianze, interviste, verbali, grafici e formule matematiche che – secondo il giudice monocratico di primo grado – hanno inchiodato alle loro responsabilità i componenti della Commissione Grandi Rischi: Franco Barberi, presidente vicario della stessa Commissione; Bernardo De Bernardinis, vice-capo del settore tecnico del Dipartimento di Protezione Civile; Enzo Boschi, allora presidente dell’Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia (Ingv); Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del progetto Case; Claudio Eva, professore ordinario di fisica all’Università di Genova; Mauro Dolce, direttore dell’Ufficio rischio sismico del Dipartimento della Protezione Civile; Giulio Selvaggi, allora direttore del Centro nazionale terremoti dell’Ingv.

Non si è trattato di un processo alla scienza, come ripetuto nelle giaculatorie dei “difensori a prescindere”, in servizio permanente su ogni causa che offra un pertugio per ficcarci il becco. Come scritto a pagina 215 delle motivazioni, «la lettura del capo di imputazione evidenzia, con estrema chiarezza, che il P.M. (il Pubblico Ministero, n.d.A.) non contesta agli imputati la mancata previsione del terremoto o la mancata evacuazione della città di L’Aquila o la mancata promulgazione di uno stato di allarme o un generico mancato allarme o un generico “rassicurazionismo”, bensì addebita agli imputati la violazione di specifici obblighi in tema di valutazione, previsione e prevenzione del rischio sismico disciplinati dalla normativa vigente alla data del 31.3.09 e la violazione di specifici obblighi in tema di informazione chiara, corretta e completa».

Quasi a prevenire le successive critiche, Billi argomenta a pagina 67: «In questa sede non occorre procedere all’esame delle diverse tesi scientifiche in tema di fenomeni precursori dei terremoti perché viene dato per scontato il fatto che non è possibile prevedere con certezza una scossa futura ed in particolare la sua data, l’ora, la localizzazione esatta, la magnitudo e la durata sulla base dello studio dei fenomeni precursori. I precursori non consentono di prevedere deterministicamente i terremoti, in quanto sulla base dello stato attuale delle conoscenze scientifiche non è assolutamente possibile, una volta accertata la ricorrenza di un possibile fenomeno precursore, effettuare una previsione deterministica, in termini di certezza, in ordine ad una futura eventuale scossa». 

 



Fra le numerose prove testimoniali e documentali, l’accusa ha depositato una pubblicazione scientifica dal titolo “Proteggersi dal terremoto”, scritta nel 2004 dal professor Mauro Dolce (uno degli imputati del procedimento) insieme al professor Alessandro Martelli ed al professor Giuliano Francesco Panza, sottolineando che l’imputato Dolce non aveva espresso alcuna contrarietà o minimo dissenso rispetto al tema trattato. Non occorre grande sforzo per evincere dal titolo dello scritto che qualche elemento di orientamento possa emergere dallo studio dei fenomeni sismici, nelle loro dinamiche e nella loro cronistoria.

Evitando di ripetere argomentazioni già esposte nei precedenti articoli su questo diario internautico e nel mio libro TERRA MUTA (edito nel 2013), si possono enucleare due principi-base violati dai componenti della Commissione Grandi Rischi: il principio della responsabilità ed il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati.

Dando per scontato che la migliore difesa è rappresentata dalla prevenzione e che è impossibile predire lo sviluppo di un fenomeno sismico, è legittimo chiedersi perché i membri della Commissione ne facessero parte ed a che scopo si siano riuniti il 31 marzo 2009. Se non si poteva fare altro che attendere (e pregare), perché restare in un organismo del tutto inutile? Perché prestarsi ad una finzione senza alcuna utilità? Alla giornalista Lisa Iotti di “PresaDiretta” (anno 2013), il luminare Enzo Boschi ha confidato che la riunione fu una farsa, senza rendersi conto che è reato avallare una sceneggiata quando si riveste un incarico pubblico e, soprattutto, senza mostrare alcun segno di consapevolezza che quel consesso di esperti non si configurava come una recita scolastica, ma era la “voce” da cui gli aquilani attendevano indicazioni per la salvaguardia della loro incolumità, dopo mesi di scosse telluriche.

In realtà, come emerso nei mesi successivi e come accertato durante le indagini e nel corso del processo, gli accademici “noti in Italia ed all’estero” non hanno fatto che seguire pedissequamente – e senza opporre alcuna rimostranza di cui si abbia notizia – i voleri di Guido Bertolaso, il boss della Protezione Civile che dettava perfino i comunicati da distribuire alla stampa, come emerso dalle intercettazioni telefoniche e come confermato dinanzi al giudice dallo stesso Bertolaso che ha ribadito la sua intenzione di compiere una «operazione mediatica». Addirittura, sono venuti a galla i tragicomici complimenti rivolti a Bertolaso da un docilissimo Boschi, come si può ascoltare nel colloquio telefonico intercorso fra i due il 9 aprile 2009. Lo scopo dell’operato della Protezione Civile sembrava quello di descrivere il Paese dei Balocchi, dove nulla di grave potesse accadere; il tutto per propiziare quell’immagine di efficienza e di “gente del fare” propagandata per anni. Così facendo, agli aquilani venne negato il fondamentale diritto di essere esaurientemente informati su quanto stava avvenendo e sui rischi corsi. La popolazione non fu messa in grado di scegliere le precauzioni da adottare, perché venne tenuta all’oscuro di tutto.

Nei fatti, le funzioni della Commissione Grandi Rischi risultano disciplinate nel dettaglio. Come si legge nelle motivazioni della sentenza del 22 ottobre 2012, «i compiti di “valutazione dei rischi” e di “previsione e prevenzione delle varie ipotesi di rischio” delineano lo statuto giuridico dei componenti della Commissione Grandi Rischi e ne indicano i doveri. Il contenuto di tali compiti non è rimesso al prudente apprezzamento dell’interprete, ma è espressamente definito dal legislatore all’art. 3 commi 2 e 3 della Legge 24/02/1992 n. 225 nella parte in cui stabilisce che: “la previsione consiste nelle attività dirette allo studio ed alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla identificazione dei rischi ed alla individuazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi”; “la prevenzione consiste nelle attività volte ad evitare o ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti agli eventi di cui all’articolo 2 anche sulla base delle conoscenze acquisite per effetto delle attività di previsione”».

Secondo il giudice Billi, la Commissione Grandi Rischi non svolse con il necessario scrupolo il compito che le era stato assegnato dalla legge, cioè valutare la situazione e ridurre nella maggiore misura possibile le eventuali conseguenze di un terremoto. Invece di adoperarsi per l’incolumità degli aquilani, ci si preoccupò di portare a termine «un’operazione mediatica» per tranquillizzare la gente. «L’effetto tragico di tale scelta – si legge nelle motivazioni della sentenza – verrà colto in pieno all’esito dell’esame delle deposizioni testimoniali attraverso le quali è stato ricostruito il processo motivazionale che ha indotto le singole vittime di questo processo a rimanere in casa la notte a cavallo tra il 5.4.09 ed il 6.4.09».

Il proposito di non creare allarmismo nella cittadinanza, comunicato da Guido Bertolaso, allora Capo del Dipartimento della Protezione Civile, fu così ben attuato che i cittadini furono indotti a restare in casa nella tragica notte del 6 aprile, convinti dagli esperti che non c’era alcun pericolo imminente. Gli scienziati obbedirono bovinamente al burocrate con smanie di onnipotenza (parole pronunciate da Enzo Boschi durante l’intervista rilasciata a “PresaDiretta”), abdicando alla loro etica di studiosi ed alla loro funzione di massimi consulenti della Protezione Civile.

Insomma, precauzioni evitate per informazioni errate. «In tal modo – scrive il giudice Marco Billi – la popolazione aquilana è stata investita da un contenuto informativo diretto e rassicurante che ha disinnescato la istintiva ed atavica paura del terremoto ed ha indotto i singoli ad abbandonare le misure di precauzione individuali seguite per tradizione familiare in occasione di significative scosse di terremoto», con disastrose conseguenze. E rassicurazioni senza alcun fondamento.

Agli esperti non è stata addebitata l’incapacità di prevedere il terremoto; essi sono stati ritenuti colpevoli di aver compiuto l’operazione inversa a scopo mediatico, fornendo rassicurazioni senza alcuna base plausibile: poiché non si può indicare con precisione quando si verificherà un sisma, è altrettanto impossibile – ed azzardato – escluderne l’evenienza. Durante “PresaDiretta” uno dei principi del Foro ha chiesto più volte alla Iotti dove fossero le prove di tali rassicurazioni. Grazie all’ottimo lavoro giornalistico dei redattori del programma, è saltata fuori parte dell’audio di una conferenza stampa con la quale si definiva improbabile un grave evento sismico.

Nelle motivazioni della sentenza, si citano anche alcuni particolari riferiti da più testimoni, come il messaggio recepito dalla popolazione: «il fenomeno è normale, è energia che si scarica, bisogna abituarsi a convivere col terremoto, non vi è alcun indizio premonitore di scosse più forti, i danni sono contenuti, hanno detto che una scossa più forte di quella dell’altro giorno non può fare e se la casa ha retto a quella… se ci fossero stati pericoli ce lo avrebbero detto». Gli aquilani ebbero una mal riposta fiducia nella Protezione Civile ed abbandonarono le «abitudini di prudenza attuate fino al 30.3.09, consistenti nel lasciare subito le abitazioni in occasione di scosse di terremoto di una certa intensità e nel rimanere all’aperto in attesa dell’esaurirsi delle repliche».

Una delle tesi difensive è stata quella di addossare alla stampa la responsabilità di aver travisato le comunicazioni della Protezione Civile. Pur di negare la colpa degli imputati (colpa definita giuridicamente come imperizia, imprudenza o negligenza), si è scelto di ignorare che il caposervizio della redazione locale del quotidiano abruzzese “Il Centro”, Parisse, ha perso le figlie ed il padre a causa del sisma. In molti ricordano le parole pronunciate da Bernardo De Bernardinis, vicecapo del settore tecnico-operativo della Protezione civile, durante una intervista rilasciata al giornalista Gianfranco Colacito. Intervistatore, a conclusione del colloquio: «…intanto ci facciamo un buon bicchiere di vino di Ofena». De Bernardinis: «… assolutamente, assolutamente, o un Montepulciano di quelli assolutamente doc, diciamo. Mi sembra importante questo».

Non solo. Sempre riportando passi delle motivazioni depositate dal magistrato Marco Billi, ecco «alcune delle frasi tratte dalla bozza del verbale della riunione (quella del 31 marzo 2009), confermate parola per parola dalla teste Salvatori, che trovano corrispondenza, quanto a temi trattati e a termini impiegati, con il contenuto del verbale ufficiale, con le interviste e con le deposizioni degli altri testimoni sopra citati: “i periodi di ritorno sono nell’ordine di 2 – 3.000 anni, con un grado, però, di incertezza. I forti terremoti in Abruzzo hanno periodi di ritorno molto lunghi. Improbabile il rischio a breve di una forte scossa come quella del 1703, pur se non si può escludere in maniera assoluta” (Boschi)». «Tale indicazione, peraltro – si legge nel documento del Tribunale dell’Aquila – risulta scarsamente compatibile con il dato ricavabile dal “Rapporto d’evento del 31.3.2009” del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, illustrato in sede di riunione dal dott. Selvaggi ed allegato al verbale ufficiale, secondo cui L’Aquila, in periodo storico (in soli 400 anni), è stata investita da n. 3 scosse distruttive di terremoto (1349, 1461, 1703). La parte finale dell’affermazione del prof. Boschi sopra riportata (“Improbabile il rischio a breve di una forte scossa come quella del 1703, pur se non si può escludere in maniera assoluta”), inoltre, contiene un’argomentazione talmente indeterminata da risultare pressoché inutilizzabile in relazione ai doveri di valutazione, previsione e prevenzione normativamente disciplinati. Definire un evento genericamente “improbabile” e aggiungere che la sua verificazione in ogni caso “non si può escludere in maniera assoluta”, significa non apportare alla valutazione del rischio alcun contributo concreto».

Boschi, allora presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, si spinse oltre: «Studiamo con molta attenzione l’Abruzzo e lo stato delle conoscenze ci permette di fare delle affermazioni certe». E poi: «Escluderei che lo sciame sismico sia preliminare di eventi» (bozza di verbale). Non per nulla, Boschi è lo stesso studioso che, assieme a Franco Barberi (presidente vicario della Commissione Grandi Rischi), lanciò nel gennaio 1985 un “allarme terremoto” nell’area della Garfagnana, facendo evacuare circa 100 mila persone. Barberi, nel corso della riunione del 31 marzo 2009, in base alle carte processuali, dichiarò: «Gli sciami tendono ad avere la stessa magnitudo ed è molto improbabile che nello stesso sciame la magnitudo cresca. Questo non significa che abitazioni obsolete non possano avere danni alle strutture non portanti (controsoffitti, ecc…» E poi: «Questa sequenza sismica non preannuncia niente ma sicuramente focalizza di nuovo l’attenzione su una zona sismogenetica in cui prima o poi un grosso terremoto ci sarà» (parole confermate dall’interessato, durante il dibattimento).

La sentenza stigmatizza duramente il comportamento della Commissione Grandi Rischi: «L’attività di previsione, prevenzione ed analisi del rischio è stata svolta in modo superficiale, approssimativo e generico, con affermazioni apodittiche ed autoreferenziali, del tutto inefficaci rispetto ai doveri normativamente imposti. La carente analisi del rischio sismico non si è limitata alla omessa considerazione di un singolo fattore ma alla sottovalutazione di molteplici indicatori di rischio e delle correlazioni esistenti tra tali indicatori. Dalla condotta colposa degli imputati è derivato un inequivoco effetto rassicurante».

Meno indulgenti si dovrebbe essere con il ministro Corrado Clini che, nonostante il suo ruolo di governo, si lasciò andare a considerazioni insultati per la comune intelligenza. All’indomani della sentenza, l’incauto Clini accostò l’eroico Boschi a Galileo, poiché entrambi vittime di una persecuzione contro la scienza. Le dichiarazioni dell'allora ministro dell’Ambiente furono riprese dalle agenzie di stampa e fecero il giro del mondo: non capita tutti i giorni di fare un salto indietro nella storia con quel paragone.

Il giudice Marco Billi nel 2012 con la sua memorabile sentenza non ha restituito la vita ai familiari delle vittime, in compenso ha elargito un senso alla parola giustizia, un senso che gli aquilani, gli abruzzesi e gli italiani non dimenticheranno.

 

Riferimenti:

Gianni Lannes, TERRA MUTA, Lpe, Cosenza, 2013. 

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=l%27aquila

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2018/10/scie-belliche-laccordo-segreto-di-bush.html 

https://www.tempi.it/il-terremoto-senza-fine-di-giustino-parisse/

https://video.repubblica.it/dossier/terremoto-in-abruzzo/bertolaso-la-verita-non-la-possiamo-dire/108822/107207

https://www.isprambiente.gov.it/files/comunicato-insediamento-cda.pdf

https://www.affariregionali.it/media/169235/ispra-2012-02-14-convenzione.pdf 

https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/3672-la-sentenza-d-appello-sul-caso-del-terremoto-dell-aquila


 

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