di Gianni Lannes
Impossibile dimenticare la cruenta eliminazione di uno statista di caratura mondiale, un italiano che voleva dare all'Italia indipendenza, sovranità ed un ruolo internazionale. Il 9 maggio dell’anno 1978, a Roma, andava in onda una giornata
grigia e ventosa. L’asfalto era ancora bagnato per la pioggia caduta il giorno
prima. Alle 12,30 di quell’indimenticabile giorno senza sole, il telefono
squillò a casa del professor Francesco Tritto, un assistente universitario di
Moro.
“Pronto, chi parla?” “Sono il dottor Nicola” rispose una voce giovane. A chiamare era l’ergastolano rosso Valerio Morucci (alias Pecos, o Matteo), 29 anni strappati all’agricoltura della zappa. “Lei deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’onorevole Aldo Moro in via Caetani. Lì c’è un r4 rossa…”.
Questo assassino foraggiato e telecomandato dall'estero, pur condannato a diversi
ergastoli per gli omicidi commessi, è stato scarcerato nel 1994 - dopo un accordo segreto con lo Stato tricolore - e vive impunito
a Roma.
Moro aveva una visione: voleva promuovere l’Italia come
attore geopolitico mediterraneo, a dispetto dell’egemonia anglo-francese, e
coinvolgere la sinistra nella gestione dell’Italia, con le convergenze
parallele pensate per il PCI di Berlinguer, che allora preoccupavano sia Mosca
che Washington.
Un'altra vergogna tricolore: nel belpaese ancora oggi, migliaia di documenti non sono mai stati desecretati dalle autorità italiane, nonostante i proclami governativi.
Un'altra vergogna tricolore: nel belpaese ancora oggi, migliaia di documenti non sono mai stati desecretati dalle autorità italiane, nonostante i proclami governativi.
riferimenti: