Le nuove criticità che investono il sociale, la
preoccupante ondata medicalizzante che vede coinvolte scuole e famiglie, l'aumento
spropositato di diagnosi di ogni tipo che rimpolpa il DSM V, la patologizzazione
estesa, vanno creando un generale disorientamento educativo. L'Educazione ha
assunto carattere di emergenza, senza tempo e senza luoghi, privata della sua
naturale vitalità. Il compimento della Persona nella sua totalità e per
l'intero arco della vita, ovvero il fine pedagogico, ha contorni labili e
superficiali, riceve uno sguardo distratto dagli addetti ai lavori.
Oggi è più che mai necessario educare a stare nella nuova
complessità, “dove per complessità s'intende la rete di relazioni nell'ambito
delle quali l'educazione si presenta ed emerge come risultante di confronti,
convergenze, scelte, nelle quali i soggetti hanno un ruolo di comunicazione, di
informazione, di decifrazione.” V'è inoltre una tale e non trascurabile poliedricità
di saperi, ognuno con la propria fondatezza e dignità, che nel nostro millennio
esigono tuttavia chiarezza epistemologica, anche per salvaguardare il diritto
degli utenti/cittadini ad avvalersi consapevolmente di un esperto. Spesso i
ruoli e le funzioni della variegata mappa di esperti, si sovrappongono: lo
psicologo, il neuropsichiatra, il counselor, il pedagogista per citarne solo
alcuni. Chi fa,che cosa?
Dopo gli anni Settanta sembra calato il silenzio
pedagogico e solo da poco tempo si colgono timidi rimandi alla Pedagogia, a
volte correttamente altre volte in modo improprio, considerandola per lo più
come ambito che si occupa esclusivamente di tematiche infantili, mentre così
non è. Ancora non è chiaro se l'esperto dell'educazione e della formazione sia
da definirsi pedagogo o pedagogista, mentre nomi di studiosi di eccellenza,
pilastri della storia dell'educazione, sono stati come resettati, per usare un
termine al passo con i tempi della tecnologia. Sappiamo che lo scopo
pedagogico, il grande scopo, è l'empowerment, cioè l'acquisizione di potere da
parte del soggetto, un potere positivo che aiuta a crescere e a riconoscere le proprie
potenzialità, che “incrementa il senso di autoefficacia della persona e la porta
alla responsabilizzazione, al superamento di vissuti di impotenza e di capacità
di progettazione e di autodeterminazione.”
L'intervento pedagogico, infatti, non pone l'accento sulle
difficoltà o sulle incapacità di risoluzione dei problemi, che inducono
inevitabilmente a una percezione deficitaria della propria identità, bensì
sulla promozione delle risorse della Persona, protagonista del proprio progetto
di vita, capace naturalmente di stare nella relazione e nella reciprocità.
Se il fine pedagogico, dunque, è l'empowerment, ciò non si
scontra forse con gli interessi dell'impero delle case farmaceutiche,
alimentato da qualche settore della psichiatria? Non si tratta di un'ipotesi
così inverosimile quando lo stesso Allen Frances, professore emerito di
psichiatria, che peraltro è stato membro del comitato che ha steso il DSM-III e
guidato la task force che ha pubblicato il DSM-IV, critica ferocemente il DSM-V
che, secondo una sua analisi precisa e rigorosa, moltiplica le diagnosi di patologie
per ogni comportamento, lasciando ben poco spazio alla “normalità.”
D'altra parte, per dovere di equità, bisogna ammettere che
la stessa Pedagogia attraversa una fase di disorientamento e confusività, come più
volte ha fatto notare il pedagogista Remo Fornaca e ribadito nel mio saggio
PedagogicaMente parlando. Riflessioni sparse sulla Pedagogia che non c'è. Fornaca, già negli anni '80, sosteneva che i
pedagogisti “sono ovunque e da nessuna parte”. Inoltre, la presenza di svariate
associazioni pedagogiche, seppur legittime, ha purtroppo creato scissioni e
orientamenti confusivi che, spesso, danno l'idea di sistemi chiusi nei quali
prevalgono competitività e autoreferenzialità anziché un dialogo costruttivo e
un'analisi profonda della situazione socio-politico-culturale in ottica
multidisciplinare.
Mai come oggi è urgente la compattezza d'intenti
pedagogici per s-velare il senso di una disciplina preziosa e necessaria a
riumanizzare un sociale pericolosamente considerato sempre più malato.
Constatiamo che i temi dell'educazione sono costantemente
oggetto di intervento da parte di diverse tipologie di esperti, mentre si
moltiplicano corsi di formazione che assicurano l'acquisizione di tecniche,
metodi, competenze, anche con un minimo budget orario, conformi piuttosto ai criteri
di produttività, efficienza, velocità, requisiti tipici dell'aziendalità e
della imprenditorialità. In questo panorama anche la scuola ha assunto i
caratteri funzionali di un'azienda. I processi di apprendimento, sin dalla più
tenera età, si svolgono sotto la lente di ingrandimento di esperti di vario
genere, addestrati per lo più a incasellare i bambini entro rigide e aride
tabelle, griglie, statistiche, attraverso percorsi di indagine sistematica ed
esasperanti procedimenti valutativi, assicurandone ovviamente una presunta scientificità.
Cresce la percezione, e con essa la preoccupazione, di
stare dentro un circuito teso a oggettivare l'essere umano, rischiando una
totale deumanizzazione dell'umanità, deprivata della bellezza, della naturalezza,
della spontaneità, della creatività dello svolgersi della vicenda umana, unica e
irripetibile. Il soggetto, ognuno di noi potenzialmente, rischia di non sentirsi
protagonista della propria avventura di vita. Sorge il dubbio, citando il
filosofo Gianni Vattimo che “quello che succede al mondo è solo pianificazione,
tecnica di controllo.”
Le trasformazioni dell'istituto familiare, la
globalizzazione, le ondate migratorie, la descrizione di competenze da
raggiungere entro certi tempi, hanno indotto ad affidarsi alle tecniche e alle
pseudoscienze, per rispondere all'impellente richiesta di facili e tempestivi
rimedi. Le tecnologie, sempre più sofisticate, dal canto loro hanno assunto un
ruolo di supremazia sull'essere umano: Gianni Vattimo parla di tecnologia
totalitaria mentre il sociologo Edgar Morin di tecnocratismo dominante.
Il disorientamento generale, di cui si è peraltro poco
consapevoli, ha individuato nelle tecniche di misurazione e di
standardizzazione, un ordine delle cose ritenuto necessario a stare nel mondo,
del tutto incoraggiato da poteri forti. Cosicché si è caduti nella trappola
della strutturazione rigida del fare, del sentire, dell'essere, per un
adattamento funzionale a ogni contesto. Pertanto, ciò che non sta entro limiti e
strutture stabilite crea un'inconscia paura della diversità, anche se, nel
contempo e paradossalmente, si enfatizzano i temi dell'integrazione e dell'inclusione.
In questo scenario, restituire dignità alla Pedagogia,
rappresenta una speranza per l'umanità, come più volte ha evidenziato il
pedagogista Alain Goussot, così come Paulo Freire parlava di “Pedagogia della
speranza”, Ovide Decroly di “Pedagogia della felicità affettiva” e Célestin
Freinet di “Pedagogia liberatrice”. Ognuna di queste riflessioni pedagogiche mette
al centro la Persona con la propria singolare biografia, le sue potenzialità,
l'unicità, la preziosità, quindi in un'ottica di positività e di sviluppo.
L'etimologia del termine sviluppo, seppure non chiarissima, offre l'idea di un
percorso complesso riconducibile al verbo latino volvere che letteralmente
significa far girare. S-viluppo rimanda allo scioglimento di una matassa, entro
la quale ricercare legami, intrecci, senso, propensioni, in un'interazione
continua tra organismo e ambiente, tra natura e cultura, soggetta a un perenne
movimento di continuità-discontinuità. Non è semplice visto che l'essere umano
è “un essere non finito”, permanentemente aperto alle influenze e alle sollecitazioni
sociali e culturali, alle contraddizioni, che richiedono la costante
ricostruzione di nuovi equilibri.
La matassa spesso s'ingarbuglia, si avviluppa. E allora
buttiamo la matassa? Diciamo che non è buona? Che è fatta male? Il paradigma
clinico terapeutico dominante rischia di fare altrettanto con la Persona, quando
esalta le negatività o le presunte mancanze, piuttosto che le risorse. Occorre
pedagogia, quella Pedagogia con la dignità riconosciuta di scienza.
Attualmente si fanno strada nuovi orientamenti pedagogici,
ma nonostante questi, la Pedagogia fatica a occupare il suo posto, la sua
collocazione, pur essendo “cultura tra le culture”. Una Pedagogia per il nuovo
millennio: verso quale scienza? A detta dei più, è innegabile che la crisi
della Pedagogia abbia anche avuto inizio con la riforma universitaria degli
anni Novanta, quando entrarono in scena le Scienze dell'Educazione ovvero un
insieme di discipline che si occupano, con approcci diversificati, della
complessa realtà educativa e formativa. Un intento certo lodevole nelle
intenzioni che non ha previsto, tuttavia, il pericolo di diversificazioni e
sovrapposizioni. Alcune università, infatti, hanno già da tempo hanno
evidenziato il bisogno di riaffermazione delle scienze pedagogiche e di
riconoscimento delle sue peculiarità e tentano strategie metodologico-didattiche
per evitare la loro pericolosa dissoluzione o marginalità.
Riemerge poi un vivace dibattito circa l'identità della
Pedagogia: scienza o articolazione del pensiero filosofico? Dibattito che
coinvolge la stessa Filosofia. Se riprendiamo gli studi e le ricerche di J. Dewey,
il fondatore della Scuola di Chicago, constatiamo che la Pedagogia è una
scienza quando adotta una metodologia scientifica e sperimentale. Ciò significa
che solo dopo la verifica dei dati raccolti attraverso l'osservazione, l'esperienza
diretta e il supporto delle scienze sperimentali, è possibile formulare una
teoria educativa e formativa squisitamente pedagogica. Quindi, secondo Dewey, la
Pedagogia è una scienza con uno specifico ambito di indagine e un determinato
campo di osservazione, tesi che ha alimentato un intenso dibattito nel corso
del tempo e che, per ora, ci sostiene nell'asserire che la scienza pedagogica è
una scienza autonoma, è un sapere naturalmente complesso, che coniuga piano
teoretico e piano empirico.
La questione, delicata e da tempo molto dibattuta, esige
un'ulteriore riflessione: che cos'è una scienza? Il termine deriva dal latino
scientia, cioè conoscenza alla quale si giunge con l'utilizzo di un metodo
rigoroso, il metodo scientifico appunto. Il filosofo E. Husserl afferma che “la
scienza è pur sempre un'ideazione che l'umanità ha prodotto nel corso del sua storia;
sarebbe perciò assurdo se l'uomo decidesse di lasciarsi giudicare da una sola delle
sue ideazioni”8. Anche K. R. Popper dichiara che “La scienza non è un sapere
definitivo e non ha a che fare con la verità, ma con semplici congetture […] e
che occorre un atteggiamento critico proprio di chi è disponibile a modificare
le proprie convinzioni.
Il tema, che non coinvolge solo la Pedagogia, ma tutte le
scienze umane e sociali le quali hanno in comune l'individuo come oggetto di
studio, richiederebbe un doveroso approfondimento che riprenderemo, senza dubbio,
in altra sede. Ciò che urge sottolineare al nostro scopo, per ora, è la prevalenza
di una riduzione positivistica della scienza che ha provocato una sorta di
incapacità di dare un senso alla vita, imprigionata dalla obiettività
sperimentale che perde di vista il movimento inarrestabile dello stare nel
mondo.
La Persona non è oggettivabile, per sua natura essa esige
una reinterpretazione continua, un compito che richiede delicatezza,
competenza, empatia, studio incessante. Più volte ho affermato che il soggetto
va considerato come una vera e propria opera d'arte unica, preziosa e inesauribile,
la quale “richiede che la si interpreti, e non si offre se non a chi sa farlo,
sì che non tutti giungono a comprenderla veramente. L'interpretazione è sempre esposta
al rischio del fallimento, e rasenta l'incomprensione in ogni momento del suo
laborioso processo [...]”. L'attenzione verso un'ermeneutica pedagogica è
essenziale. “[...] La vita non è una strada a senso unico,” le esperienze sono
molteplici, le emozioni ne fanno parte integrante, il dolore e la sofferenza, per
quanto facciano male, educano al cambiamento, ovvero consentono la scoperta di
risorse personali inaspettate, l'acquisizione di una maggiore indulgenza verso
noi stessi, la capacità di ridisegnare il proprio progetto di vita.
Se non assumiamo questa consapevolezza, si corre il rischio
di un determinismo che provoca pre-giudizio e profezie autoavveranti, per
entrare infine nel girone dantesco degli ammalati. Ci sostiene ancora Vattimo, quando
dichiara che un'ermeneutica militante è necessaria contro le pretese e il
dominio dell'oggettività, permettendo di indagare a fondo l’agire umano e il
suo stare nel mondo attraverso la relazionalità.
Quale conclusione? La Scienza offre delle teorie di indubbio
valore grazie al metodo scientifico. Tuttavia, quando parliamo di Scienze dell'Educazione
e della Formazione, si deve partire dal presupposto che esse non possono considerarsi
definitive perché l'oggetto di studio, come ho già affermato, è il soggetto in
tras-formazione e, quindi, reinterpretabile. Ciò non esclude di certo il rigore
scientifico. Il percorso elaborativo dello scienziato, infatti, è la risposta
creativa a problemi posti dalla realtà che osserva, dove la teoria va oltre
l'esperienza, interpretandola e individuando nuove concezioni. Ritengo che la
pedagogia possa definirsi una scienza dinamica che ha come oggetto di studio il
divenire stesso dell'umanità con le sue dinamiche, i suoi contesti, i problemi,
le politiche, i linguaggi. La Persona vive all'interno di reti di relazioni, convergenze,
valori, scelte, simboli, richieste, aspettative, ambiguità e in alcuni momenti
cruciali dell'esistenza necessita di altri occhi per governare il cambiamento e
raggiungere una possibile autorealizzazione.
La Pedagogiapuò offrire modelli sia nella direzione della
ricerca teorica che della prassi pedagogica, attraverso la ricerca costante e
innovativa, un processo di formazione continua, la disponibilità a lasciarsi
contaminare da altri saperi, l'attenzione alle istanze delle altre discipline e
ai vari modi di codificare la realtà, consapevole della propria autonomia
epistemica.
La ricerca pedagogica è un processo mai concluso e che ha
il compito di reinterpretare un'umanità in costante sviluppo, nella quale le
parole sono simboli che alludono a universi di significato che non possono
afferire a una razionalità preconcetta, visto che la Persona è una biografia
necessariamente trasformativa, interconnessa con il telos socio-culturale-
antropologico, a sua volta modificabile.
La nuova complessità richiede per il nuovo millennio un
rinnovato statuto epistemologico per la Pedagogia, per formulare costrutti
interpretativi aderenti a questo Tempo, in grado di rispondere ai nuovi bisogni
e alle loro dinamiche, che escluda riduzionismo e determinismo, empirismo
astratto e presunte verità, nel rispetto autentico del soggetto umano in
formazione, non oggettivabile, ricordiamolo. La Persona è cre-azione, è
energia, è cambiamento, è emozione, è bellezza, è creatrice di meravigliose
opere d'arte ora in dialogo, ora in conflitto, educabile. La Pedagogia, in
quanto scienza autorevole, rappresenta per l'umanità un processo di
emancipazione e di liberazione, cosciente del fatto che “[…] la validità della
sua prospettiva non va commisurata alla mera organicità della formulazione teorica,
ma alla capacità di agire nella storia per realizzare in essa l'esigenza di integrazione
di tutti gli aspetti in cui si esprime l'infinita ricchezza della vita e dell'esperienza
[...]”.
D'altra parte, nella ricerca e definizione della sua
specifica identità scientifica, la Pedagogia deve acquisire essa stessa un'alta
considerazione di sé, sentirsi capace di confronto assertivo e argomentativo
con le altre discipline, assumendosi la responsabilità della formazione
personale e umana in una realtà in continuo divenire. Formazione nel senso di
“dare forma” e di “formar-Si”, ossia un processo di auto-costruzione continua
attraverso il quale “il singolo soggetto elabora e trasfigura l'ambiente e la
cultura con l'apporto della propria specifica individualità.”
Nella Pedagogia del terzo millennio intravvedo la forza
propulsiva per restituire dignità e ruolo di protagonismo alla Persona,
attraverso una pedagogia dell'impegno che veda coinvolta tutta la comunità
pedagogica, per contrastare le correnti medicalizzanti che attualmente
investono, anche in modo subdolo, gli ambiti di vita, per riumanizzare, infine,
l'esistenza.
Ho fiducia nel “[...] confronto dialettico e nella messa
in atto di un agire comunicativo autentico[...], nello slancio rigeneratore
dell'apparato epistemologico, affinché la Pedagogia non sia solo un
atteggiamento vocazionale, ma essenzialmente scienza pregnante e riferimento
costante. Ho speranza che la Pedagogia, nel tempo nuovo del terzo millennio,
compia finalmente una rivoluzione culturale che sola può restituire centralità
alla Persona e avere a cuore il suo autentico ben-Essere.
*pedagogista indipendente
Riferimenti:
P. Cipriano, Basaglia e le metamorfosi
della psichiatria, Milano 2018
R. Fornaca, Introduzione alla pedagogia,
Roma 1997
A. Putton ( a cura di), Empowerment e
scuola, Roma 1999
A. Frances, Primo, non curare chi è
normale, Torino 2013
L. Piarulli, PedagogicaMente parlando.
Riflessioni sparse sulla pedagogia che non
c'è, Padova 2017:
G., Vattimo, La solitudine del filosofo,
intervista rilasciata a L'Espresso, giugno
2018
J. Dewey, Le fonti di una scienza dell'educazione,
1929:
E. Husserl, La crisi delle scienze europee,
Germania 1936
K. R. Popper, Congetture e confutazioni,
trad. G. Pancaldi, Torino1985
L. Pareyson, Estetica. Teoria della
formatività, Firenze 1974
W. Benjamin, Strada a senso unico,
Torino 2006
G.M. Bertin, Educazione alla ragione,
Roma 1983
F. Frabboni, Introduzione alla pedagogia
generale, Bari 2003
L. Piarulli, PedagogicaMente parlando.
Riflessioni sparse sulla pedagogia che
non c'è, Padova 2017.