27.9.23

QUASI MISSILE, QUASI BOMBA, QUASI COLLISIONE, QUASI TUTTO O NIENTE?

 

(Pubblicazione: 3 novembre 2023)

di Gianni Lannes

Tutto e niente. Quasi missile, quasi bomba, quasi collisione, insomma quasi tutto e alla fine giudiziariamente nulla. Il calendario nel Belpaese è congelato a 43 anni fa, con il solito corollario tricolore di retorica e speculazione politicante. Quella sul disastro aereo avvenuto la sera di venerdì 27 giugno 1980, che ha mietuto 81 vittime umane, è la più intricata investigazione mondiale, condotta su un singolo incidente aereo. Per contro, lacunosi, rachitici se non inesistenti appaiono i risultati di una delle più disarticolate, costose, lunghe nonché incoerenti indagini nella storia giudiziaria italiana (un mastodontico mucchio di carte con oltre 2 milioni di fogli). Il paradosso è  costituito dal fatto che se da un lato sappiamo ormai quasi tutto sugli scenari di politica interna ed estera, sui colpi bassi dei servizi segreti e sulle piste internazionali, dall’altra ancora non sappiamo spiegare perché sono morte 81 persone su un aereo decollato da Bologna con destinazione Palermo.

Per quali motivi, nonostante i mezzi e l’enorme tempo a sua disposizione, l’autorità inquirente – il giudice istruttore Rosario Priore– non ha saputo fornire un quadro di riferimento solido all’interno del quale ricercare quelle conclusioni logiche e inconfutabili, indispensabili per fornire una spiegazione alle cause di un disastro di simili proporzioni? Quali interessi (soprattutto politico-economici) si sono inseriti in questa vicenda tanto da influenzare o deviare il corso della giustizia impegnata nel compito dell’accertamento delle varie responsabilità? Può questa strage essere annoverata nell’ambito della cosiddetta strategia della tensione e quindi accostabile o paragonabile ad altre stragi (impunite) che hanno devastato la recente storia dell'Italia? Oppure possiamo parlare di uno scellerato evento inquadrabile in un altro e ben diverso scenario: la strategia del degrado civile? Esiste  un «livello superiore» (istituzionale) che potrebbe aver di fatto favorito la mancata individuazione dei responsabili di questa tragedia? Questo è il terreno dell’indagine giornalistica.

Ritardi, negligenze, omissioni, depistaggi, errori più o meno gravi, incompetenza, ignoranza, menefreghismo, arroganza e superficialità. È in questa brodaglia avariata che il caso Ustica è stato fatto bollire per 43 anni. Questa vicenda, a ben vedere, rappresenta purtroppo uno spaccato tristemente illuminante dell’Italia (non solo degli anni Ottanta), con le sue depressioni, le sue miserie, le sue piaghe, le sue inconfessabili meschinerie e i suoi endemici malanni. Nel caso di Ustica anche le più  banali procedure appaiono gravemente deformate, piegate e contorte. Perchè?

L'autentico scempio, il vero muro di gomma che ha sbarrato la strada all’accertamento della verità lo si è  incontrato proprio all’interno della macchina burocratica statale, a tutti i livelli e in ogni settore di pertinenza, non solo quindi nelle Forze Armate: anche dentro la magistratura, all’interno delle forze di polizia giudiziaria, nel Governo e soprattutto nel Parlamento. Fin dalle prime battute, si sono inseriti in questo mistero all’italiana interessi di vario tipo: economici-finanziari, politici, eversivi e destabilizzanti. Lentamente ma inesorabilmente, lo svolgimento dell’inchiesta giudiziaria ha poi subito e patito i condizionamenti, pesanti e sistematici, dell’operato dei meccanismi interni ai pubblici apparati, i quali (spesso per congenite o genetiche disfunzioni) hanno generato ed alimentato comportamenti valutabili in termini depistanti in senso oggettivo.

Quali sono le ragioni per cui un disastro aereo è  stato trasformato, di fatto, in un mistero senza soluzione? 

I buchi neri, le zone d’ombra, gli interrogativi di base – dopo oltre 43 anni – sono rimasti gli stessi della mattina del 28 giugno 1980. Una delle pagine più oscure riguardante la magistratura è rappresentata da quell’incredibile marchingegno messo in moto – il 30 settembre del 1990 – quando l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giuliano Amato rivela in Commissione stragi una presunta confidenza avuta dal giudice istruttore dell’epoca, Vittorio Bucarelli, relativa a fantomatiche fotografie americane  del relitto. Come è noto, di recente ad Amato è tornata la memoria sulla falsariga dell'ultimo depistaggio di Cossiga.

Col passare del tempo, insomma, e con il progressivo aumento della massa documentale, l’inchiesta sul disastro del DC9 Itavia è sprofondata in una palude di sabbie mobili. Anche perché un dato è ormai certo: la ricerca della verità  non corre di pari passo con l’aumentare delle rogatorie o della massa documentale. Le incertezze del giugno 1980 sono – almeno stando al conflitto insanabile fra le varie verità emerse dai molteplici accertamenti di natura tecnica disposti dall’autorità giudiziaria – più o meno le stesse di oggi. Questo è un dato che dovrebbe far riflettere. A questo punto, non rimane altro da fare che cercare (con la speranza di trovarle) le cause di queste anomalie. La ricerca della verità non è una comoda affiliazione a una comoda teoria, o peggio l'appartenenza a qualche tifoseria.



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