Kissinger&Meloni (28 luglio 2023) |
Kissinger&Meloni (28 luglio 2023) |
Kissinger&Pinochet (1976) |
di Gianni Lannes
Soldi neri e ordini da oltreoceano. È una subordinazione (alla voce: sottomissione in nome dell'anticomunismo) che dura da più di 70 anni quella tra la destra italiana e il potere esecutivo degli Stati Uniti d'America. Un idillio spesso tenuto nascosto, segreto, riservato, una sorta di storia clandestina dai tragici esiti.
Nell'anno 2009, quando Giorgia Meloni ricopriva la carica di ministro della Gioventù nel governicchio Berlusconi, i funzionari della Central Intelligence Agency sotto copertura diplomatica (alla stregua di Grillo e Casaleggio nel 2008), ebbero una lunga e proficua conversazione esattamente con Giorgia Meloni, come attesta peraltro un cablogramma United States of America.
Il 28 luglio 2023 Giorgia Meloni, in veste di primo ministro pro tempore di un governino tricolore palesemente telecomandato da Washington, si è inchinata negli Usa al macellaio internazionale Henry Kissinger (esponente di spicco del sodalizio terroristico Bilderberg e della Trilateral, ma non solo), già assistente per la sicurezza nazionale del famigerato presidente Richard Nixon e poi ministro degli esteri sotto la presidenza di Gerald Ford. Insomma, Giorgia Meloni in rappresentanza dell'Italia ha stretto la mano di chi aveva minacciato di morte Aldo Moro.
Già nel 2011 l'attuale presidente del consiglio è stata ospite della National Italian American Foundation, che tesse i rapporti strategici fra USA e Italia. La Meloni dal 2018 in poi ha sempre di più sposato una politica filostatunitense, partecipando alle convention del CPAC (repubblicani) e mostrandosi politicamente affine con il movimento Make America Great Again di Donald Trump. L'influenza statunitense, anzi il dominio nordamericano in Italia mascherato dall'alleanza, è in realtà una totalitaria subordinazione, politica, militare, economica, ideologica. A proposito: il partito denominato Fratelli d'Italia ha mai ricevuto finanziamenti (occulti e non) dall'estero? In fin dei conti, ciò che conta per i politicanti nostrani - di qualsiasi apparente colorazione - è mantenere il Belpaese privo di sovranità e indipendenza, per traghettarlo dalla democrazia incompiuta alla tecnocrazia imperante. Come mai, dopo ben 45 anni, migliaia di documenti sull'omicidio Moro, nonostante i proclami istituzionali e gli starnazzamenti di Matteo Renzi, risultano ancora coperti dal segreto di Stato?
Eleonora Chiavarelli (vedova Moro) ai processi per l'omicidio del marito ha sempre ribadito ciò che gli era stato intimamente riferito dal consorte: “Onorevole, lei deve smettere di perseguire il suo piano politico di portare tutte le forze del suo paese a collaborare direttamente. O lei smette di fare questa cosa o la pagherà cara”. Nel 1978 Aldo Moro fu talmente coraggioso da non tener conto del veto statunitense. E così fu ammazzato, come ha confermato S.P. Il fiduciario della governo Usa inviato dalla Cia in Italia durante il sequestro dello statista italiano ad opera di Gladio (esercito segreto della Nato) sotto copertura delle eterodirette Brigate rosse.
Le indagini giudiziarie, le inchieste giornalistiche, nonché le sentenze giudiziarie sulle stragi nel Belpaese e sulla relativa strategia della tensione, hanno fatto emergere i contatti organici tra i gruppi eversivi della destra tricolore e del Msi di Almirante finanziato dalla Cia.
Nel corso degli anni alcuni collaboratori del presidente Moro hanno dichiarato e confermato a più riprese che durante una visita a Washington, Moro ebbe un duro scontro con l'allora Segretario di Stato Henry Kissinger (contrario a un'eventuale entrata del PCI nel governo italiano).
L'ex vicepresidente del CSM ed ex vicesegretario della Democrazia Cristiana Giovanni Galloni il 5 luglio 2005, in un'intervista nella trasmissione Next di RaiNews24 dichiarò che poche settimane prima del rapimento, Moro gli confidò, discutendo della difficoltà di trovare i covi delle BR, di essere a conoscenza del fatto che sia i servizi americani sia quelli israeliani avevano degli infiltrati nelle BR, ma che gli italiani non erano tenuti al corrente di queste attività che avrebbero potuto essere d'aiuto nell'individuare i covi dei brigatisti. Galloni sostenne anche che vi furono parecchie difficoltà a mettersi in contatto con i servizi statunitensi durante i giorni del rapimento, ma che alcune informazioni potevano tuttavia essere arrivate dagli Stati Uniti:
«Pecorelli scrisse che il 15 marzo 1978 sarebbe accaduto un fatto molto grave in Italia e si scoprì dopo che Moro doveva essere rapito il giorno prima [...] l'assassinio di Pecorelli potrebbe essere stato determinato dalle cose che il giornalista era in grado di rivelare.» (Intervista con Giovanni Galloni nella trasmissione Next.). Lo stesso Galloni aveva già rilasciato dichiarazioni simili durante un'audizione alla Commissione Stragi il 22 luglio 1998, in cui affermò anche che durante un suo viaggio negli Stati Uniti del 1976 gli era stato fatto presente che, per motivi strategici (il timore di perdere le basi militari su suolo italiano, che erano la prima linea di difesa in caso di invasione dell'Europa da parte sovietica) gli Stati Uniti erano contrari a un governo aperto ai comunisti come quello a cui puntava Moro:
«Quindi, l'entrata dei comunisti in Italia nel Governo o nella maggioranza era una questione strategica, di vita o di morte, "life or death" come dissero, per gli Stati Uniti d'America, perché se fossero arrivati i comunisti al Governo in Italia sicuramente loro sarebbero stati cacciati da quelle basi e questo non lo potevano permettere a nessun costo. Qui si verificavano le divisioni tra colombe e falchi. I falchi affermavano in modo minaccioso che questo non lo avrebbero mai permesso, costi quel che costi, per cui vedevo dietro questa affermazione colpi di Stato, insurrezioni e cose del genere.» (Dichiarazioni di Giovanni Galloni, Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 39ª seduta, 22 luglio 1998.)
La vedova di Aldo Moro, Eleonora
Chiavarelli, ebbe modo di dichiarare al primo processo contro il
nucleo storico delle BR, davanti al presidente Severino
Santiapichi, che suo marito era inviso agli Stati Uniti fin
dal 1964, quando venne varato il primo governo di
centro-sinistra (governo Moro I), e che più volte fosse stato
«ammonito» da esponenti politici d'oltreoceano a non violare la
cosiddetta «logica di Jalta». Le pressioni statunitensi sul
marito, stante la deposizione della signora Moro, s'accentuarono dopo
il 1973, quando Moro era impegnato nel suo progetto di
allargamento della maggioranza di governo al PCI (compromesso
storico). Nel settembre del 1974 il Segretario di
Stato americano, Henry Kissinger, in occasione di una visita di
Stato di Moro negli Stati Uniti, diede un monito ben chiaro allo
statista DC avvertendolo della «pericolosità» di tale legame col
PCI. E di nuovo, nel marzo 1976 gli avvertimenti si fecero
più espliciti. Nell'occasione, egli fu avvicinato da un alto
personaggio americano che lo apostrofò duramente.
Questa posizione era stata espressa per la prima volta nell'indagine Chi ha ucciso Aldo Moro? (1978), scritta dal giornalista statunitense Webster Tarpley e commissionata dal parlamentare della DC Giuseppe Zamberletti. Circa le parole riferite dalla moglie di Moro in seguito, durante una sua deposizione, secondo cui, prima del sequestro, «una figura politica statunitense di alto livello» disse ad Aldo Moro «o lasci perdere la tua linea politica o la pagherai cara», era da ricollegare al timore che in Italia si giungesse a una soluzione simile a quella del Cile che nel 1973 aveva subito un colpo di Stato per opera del generale Augusto Pinochet, che aveva instaurato un'efferata dittatura militare. Il cambiamento era inteso come abbandono di ogni ipotesi di accordo con i comunisti. Alcuni ritengono che quella figura fosse Henry Kissinger, che già aveva parlato in termini molto diretti al Ministro degli Esteri Moro in un incontro personale nel 1974. L'ultimo diktat a latere di Kissinger a Moro risale a un meeting internazionale datato 23 marzo 1976. Si disse anche che Moro tenesse i contatti tra Enrico Berlinguer (PCI) e Giorgio Almirante (MSI), segretari rispettivamente dei principali partiti di sinistra e di destra, con lo scopo – secondo questa ipotesi – di «raffreddare la tensione delle rispettive frange estremiste» (Brigate Rosse e Nuclei Armati Rivoluzionari), l'esatto opposto di quanto volevano gli strateghi della tensione. Di certo, tra Berlinguer e Almirante ci furono contatti personali e stima personale (come dimostrato dalla presenza di Almirante ai funerali di Berlinguer nel 1984, presenza ricambiata da Alessandro Natta ai funerali di Almirante nel 1988).
Nel 2013 l'esperto statunitense Steve Pieczenik, che ufficialmente coordinava il collegamento tra i servizi segreti americani e gli omologhi italiani, ribadì in un'intervista concessa a Gianni Minoli su Radio 24 le rivelazioni precedentemente esposte nel 2008 in un suo libro, ovvero che il suo reale compito fosse quello di «manipolare alla distanza i terroristi italiani così da far in modo che le BR uccidessero Moro a ogni costo». Il PM romano Luca Palamara ha fatto acquisire agli atti il libro, del 2008, e l'intervista, del 2013. Le parole del consulente statunitense sono state inserite nel fascicolo processuale aperto sulla base di un esposto di Ferdinando Imposimato, avvocato che all'epoca dei fatti (1978) ricopriva la carica di Giudice istruttore. Imposimato ha affermato: «Moro poteva esser salvato ed il covo di Via Montalcini – dov'era tenuto prigioniero lo statista – era monitorato da tempo dalle Forze dell'Ordine, ma il blitz per liberare l'esponente della DC, nonostante fosse stato preparato nei minimi dettagli, saltò all'ultimo momento». E ancora: «Steve Pieczenik costituisce un personaggio chiave in grado di fornire informazioni utili al fine di squarciare i veli ancora nebulosi ed oscuri che gravano sul Caso Moro». Palamara, che procede con un fascicolo contro ignoti, si dice particolarmente interessato alla versione resa da Steve Pieczenik, specialmente quando afferma: «Temevo, ma anche mi aspettavo, che le BR si rendessero effettivamente conto dell'errore che stavano per compiere uccidendo l'ostaggio, e che – alla fine – liberassero Moro rinunciando alla contropartita, mossa questa che avrebbe fatto fallire il mio piano e di cui io solo avrei dovuto render conto ai miei superiori: fino alla fine ho avuto il terrore che liberassero effettivamente il politico. Il sacrificio della vita di Moro era necessario».
Un altro particolare significativo della vicenda è quello relativo al cosiddetto «giallo di via Caetani». Esso concerne l'ora in cui fu trovato, il 9 maggio 1978, il cadavere di Moro nella Renault 4 rossa in via Michelangelo Caetani. Il tutto nasce dal fatto che la telefonata brigatista di rivendicazione dell'omicidio arrivò alle ore 12:30, ma due artificieri, tra i primi a esser accorsi sul luogo, hanno spostato di un'ora e mezzo in avanti il momento di ritrovamento del corpo. Nella loro testimonianza, essi concordano che alle 11:00 in punto di quella fatidica mattina essi giunsero in via Caetani e vi trovarono già presenti l'allora Ministro dell'Interno Francesco Cossiga.
Nel 2006, a quasi trent'anni di distanza dai fatti, durante la preparazione del documentario francese Les derniers jours de Aldo Moro, il giornalista Emmanuel Amara entrò in contatto con Pieczenik, che accettò di farsi intervistare. Il contenuto di questa intervista è stato poi inserito nel saggio Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo 30 anni un protagonista esce dall'ombra. Nell'intervista riportata nel libro stesso riassume quello che sarebbe stato il suo compito durante il rapimento Moro:
«Capii subito quali erano le volontà degli attori in campo: la destra voleva la morte di Aldo Moro, le Brigate rosse lo volevano vivo, mentre il Partito Comunista, data la sua posizione di fermezza politica, non desiderava trattare. Francesco Cossiga, da parte sua, lo voleva sano e salvo, ma molte forze all'interno del paese avevano programmi nettamente diversi, il che creava un disturbo, un'interferenza molto forte nelle decisioni prese ai massimi vertici. [...] Il mio primo obiettivo era guadagnare tempo, cercare di mantenere in vita Moro il più a lungo possibile. Il tempo, necessario a Cossiga per riprendere il controllo dei suoi servizi di sicurezza, calmare i militari, imporre la fermezza in una classe politica inquieta e ridare un po' di fiducia all'economia. Bisognava fare attenzione sia a sinistra sia a destra: bisognava evitare che i comunisti di Berlinguer entrassero nel governo e, contemporaneamente, porre fine alla capacità di nuocere delle forze reazionarie e antidemocratiche di destra. Allo stesso tempo era auspicabile che la famiglia Moro non avviasse una trattativa parallela, scongiurando il rischio che Moro venisse liberato prima del dovuto. Ma mi resi conto che, portando la mia strategia alle sue estreme conseguenze, mantenendo cioè Moro in vita il più a lungo possibile, questa volta forse avrei dovuto sacrificare l'ostaggio per la stabilità dell'Italia.» (Emmanuel Amara, Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo 30 anni un protagonista esce dall'ombra, Roma, Cooper, pp. 102-103.). «Ho atteso trent'anni per rivelare questa storia. Spero sia utile. Mi rincresce per la morte di Aldo Moro; chiedo perdono alla sua famiglia e sono dispiaciuto per lui, credo che saremmo andati d'accordo, ma abbiamo dovuto strumentalizzare le Brigate rosse per farlo uccidere.» (Emmanuel Amara, Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo 30 anni un protagonista esce dall'ombra, Roma, Cooper, p. 186.).
Lo stesso Pieczenik si diceva stupito della presenza di tanti ex fascisti all'interno dei servizi segreti, tanto da avere l'impressione di ritrovarsi «nel quartiere generale del duce, di Mussolini» affermando comunque che durante il sequestro la «capacità di disturbo» di questi gruppi non fu così energica come temeva in un primo tempo. Nel citato libro-intervista, oltre a confermare quanto già detto in precedenti interviste, Pieczenik ha raccontato di aver partecipato in prima persona alla decisione di creare il falso comunicato n. 7, e ha rivelato di aver spinto le Brigate Rosse a uccidere Moro, con lo scopo di delegittimarle, quando ormai era chiaro (dal suo punto di vista) che non ci sarebbe stata la volontà di liberarlo da parte della classe politica, affermando: «Ho permesso che si servissero di questa violenza fino al punto di perdere tutta la loro legittimità. Piuttosto che riconoscere il loro errore, sono sprofondati in quella spirale che li ha portati alla fine»). Secondo l'esperto l'unico modo che avevano le Brigate Rosse di legittimarsi in qualche modo e distruggere i tentativi di stabilizzazione da lui portati avanti, sarebbe stato il rilascio di Moro, ma questo non avvenne.
Il fatto che fosse tornato in America anzitempo, secondo quanto affermato, era dovuto al fatto che non voleva dare l'impressione che dietro la ormai prevedibile morte di Moro vi potessero essere pressioni statunitensi. Precedentemente aveva invece affermato che se ne era andato perché la sua presenza non fosse strumentalizzata per legittimare l'operato (ritenuto inefficiente e compromesso) delle istituzioni.
La storia infinita del caso Moro si arricchisce di un nuovo colpo di scena. Il procuratore generale di Roma Luigi Ciampoli, ha chiesto alla procura della repubblica di procedere formalmente a carico di Steve Pieczenik, funzionario del Dipartimento di Stato Usa ai tempi del sequestro, in quanto vi sarebbero "gravi indizi circa un suo concorso nell'omicidio" del presidente della Democrazia cristiana. Pieczenik, 'inviato' informale del governo americano, era il superconsulente Usa del governo di Gulio Andreotti e soprattutto del ministro dell'Interno, Francesco Cossiga, per la gestione della crisi aperta dal sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse.
Pieczenik è sempre stato uno dei grandi misteri della vicenda. Psichiatra, esperto di terrorismo, lauree alla Cornelle e ad Harvard e specializzato al Mit, nella sua inquietante ambiguità è spesso stato considerato dagli storici il 'commissario straordinario' inviato dagli Usa per conto del blocco atlantico e dell'Occidente intero per gestire quella crisi in sostituzione - più che in appoggio - del governo italiano. Nel 2008, in un libro-intervista pubblicato a trent'anni dagli avvenimenti, Pieczenik ruppe il silenzio, dichiarando apertamente di aver portato avanti un piano di "manipolazione strategica" perché si arrivasse all'uccisione di Aldo Moro, obiettivo irrinunciabile nel contesto della 'stabilizzazione' dell'Italia, unico paese dell'Occidente dove un partito comunista stava per avere accesso al governo. "Fino alla fine ho avuto paura che lo liberassero", aggiunse Pieczenik.
La sua 'confessione', tradotta anche in Italia, passò all'epoca quasi inosservata, ma a quanto pare la magistratura italiana avrebbe chiesto spiegazioni al Dipartimento di Stato Usa sul ruolo dell'ex funzionario e l'amministrazione Obama avrebbe aperto un'inchiesta sul caso.
Le presunte
responsabilità di Pieczenik vengono messe in luce dal procuratore
generale della corte d'appello nella richiesta di archiviazione,
inoltrata nel 2014 al gip del tribunale di Roma, dell'inchiesta sulle
rivelazioni dell'ex ispettore di polizia Enrico Rossi che aveva
ipotizzato la presenza di agenti dei Servizi, a bordo di una moto
Honda, in via Fani, a Roma, la mattina dell'agguato in cui venne
uccisa la scorta di Moro e fu rapito lo statista.
Il pg ha
quindi disposto la trasmissione della richiesta di archiviazione - un
documento di cento pagine - al procuratore della Repubblica di Roma
perché però "proceda nei confronti di Steve Pieczenik in
ordine al reato di concorso nell'omicidio di Aldo Moro, commesso in
Roma il 9 maggio 1978". La procura generale di Roma sottolinea
che "sono emersi indizi gravi circa un suo concorso
nell'omicidio, fatto apparire, per atti concludenti, integranti
ipotesi di istigazione, lo sbocco necessario e ineludibile, per le
BR, dell'operazione militare attuata in via Fani, il 16 marzo 1978,
ovvero, comunque, di rafforzamento del proposito criminoso, se già
maturato dalle stesse BR".
Ma quello su Pieczenik non è
il solo colpo di scena incluso del documento inviato dal pg alla
procura del tribunale. Secondo Luigi Ciampoli, anche un ufficiale del
Sismi, il servizio segreto militare dell'epoca, il colonnello Camillo
Guglielmi, avrebbe dovuto essere indagato con l'accusa più grave di
concorso nel rapimento di Moro e nell'uccisione della sua scorta. Ma
nei suo confronti, rileva il Pg, non si può promuovere l'azione
penale perché è morto. Guglielmi era finito nelle inchieste sulla
strage perché non aveva dato spiegazioni ritenute plausibili dai
magistrati sulla presenza in via Fani al momento in cui scattò
l'agguato delle Brigate rosse.
"L'uccisione di Aldo Moro
non fu un omicidio legato solo alle Brigate Rosse. Sul palcoscenico
di via Fani c'erano i nostri servizi segreti e quelli di altri Paesi
stranieri interessati a creare caos in Italia". Lo ha detto il
procuratore generale presso la corte d'appello di Roma, Luigi
Ciampoli, sentito dalla commissione parlamentare d'inchiesta sul
rapimento dell'ex presidente ella Dc, avvenuto il 16 marzo del
1978.
Ciampoli, ascoltato in audizione dalla commissione
parlamentare d'inchiesta sul caso Moro, ha detto poi che "l'uccisione
di Aldo Moro non fu un omicidio legato solo alle Brigate Rosse. Sul
palcoscenico di via Fani c'erano i nostri servizi segreti e quelli di
altri Paesi stranieri interessati a creare caos in Italia".
Quanto al ruolo di Pieczenik, Ciampoli ha spiegato: "Abbiamo
chiesto alla Procura di Roma di approfondire ai fini della
configurazione di un reato la posizione di Steve Pieczenik che
riteniamo possa essere l'ispiratore dell'omicidio di Aldo Moro. La
sua autoreferenzialità era esasperata e quasi schizofrenica - ha
detto il pg - perché lui in una intervista a Giovanni Minoli su Rai
Storia raccontò che Moro doveva morire perché in questo modo si
sarebbero destabilizzate le Brigate Rosse. Noi abbiamo acquisito il
cd di quell'intervista televisiva e tutto il girato completo e siamo
convinti - ha concluso Ciampoli - che la sua posizione meriti un
approfondimento da parte della Procura".
Riferimenti:
https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1948v03/d440
http://www.radioradicale.it/scheda/36608/presunti-legami-p2-cia
https://www.youtube.com/watch?v=X-poxdvzy5s
https://www.youtube.com/watch?v=RjIQfBwrIxw
https://www.youtube.com/watch?v=mftRXPVCfmM
https://www.youtube.com/watch?v=BNvrmkS2Xq4
https://www.youtube.com/watch?v=GCwSa0ZnnmA
https://www.youtube.com/watch?v=ufKm7IEEJ9A
https://mappedimemoria.it/wp-content/uploads/2015/04/Memoriale-Moro.pdf
https://www.treccani.it/enciclopedia/strategia-della-tensione_%28Dizionario-di-Storia%29/
https://web.archive.org/web/20080523215104/http://www.rainews24.rai.it/Notizia.asp?NewsID=55360
https://www.parlamento.it/779?shadow_organo=405513
https://www.tpi.it/app/uploads/2022/09/Cable_-09ROME356_a.pdf
https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/318048.pdf
http://www.misteriditalia.it/servizisegreti/gladio/Gladio%20_rapporti%20con%20la%20Nato_.pdf
https://web.archive.org/web/20050527202518/http://www.dssa-antiterrorismo.it/
https://www.raiplay.it/programmi/ilcasomoro
https://op.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/cb40eb27-7f5a-4c9c-b97c-6a0ec8ad367e
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=Moro
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=meloni
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=grillo
Gianni Lannes, Il grande fratello. Strategie del dominio, Draco edizioni, Modena, 2012.
Gianni Lannes, Italia USA e getta, Arianna editrice, Bologna, 2014.
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