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di Gianni Lannes
Uccisi e dimenticati: il loro sepolcro è il mare. Assassinati dalle manovre di guerra della Nato in tempo di
pace e senza giustizia, come tanti altri, pescatori e marinai ormai sepolti dall’oblio.
Nel corposo elenco italiano dei dispersi in mare e mai
più tornati alle rispettive famiglie, ai propri cari, alle mogli, ai figli c'è
anche l'equipaggio del motopesca Angelo Padre di Giulianova, affondato 31 anni fa
nell'Adriatico, a circa 90 metri di profondità. In circostanze nebulose sono scomparsi
per sempre tre lavoratori del mare, compreso un ragazzo di 19 anni. Il battello
fu individuato, ma inspiegabilmente i corpi non sono mai stati recuperati.
«Tra il 4 e il 5 aprile 1982 il peschereccio Angelo Padre
di Giulianova è affondato per cause non ancora accertate, a circa 34 miglia dalla
costa giuliese; nella sciagura hanno perso la vita i pescatori Nicola Gualà,
Giuseppe Gualà e Gabriele Marchetti… quali interventi intende
promuovere e quali misure di aiuto finanziario intende assicurare per favorire
le operazioni di ispezione del relitto e di recupero delle salme … ».
E’ l’incipit dell’interrogazione parlamentare (4-14128) presentata
dai deputati Di Govanni e Susi il 26 aprile 1982. L’atto era stato preceduto il
19 aprile da una medesima istanza (4-14016) a richiesta di chiarimenti al Governo, firmata
dal deputato Falco Accame.
L’ex ufficiale della Marina Militare, già presidente
della Commissione Difesa - oggi dirige un'associazione (Anavafaf) che difende i militari italiani - chiese invano:
«da
quale porto era partito ed in quale data, in quale area avrebbe dovuto
effettuare operazioni di pesca, in quale ed in quale data sarebbe dovuto
rientrare; quali siano state le condizioni meteo-marine, ivi incluse quelle di
visibilità, a cavallo del periodo di presumibile affondamento; come sia stata
avviata la relativa operazione di soccorso, in quale momento essa abbia avuto
inizio e per quanto si sia protratta; quale sia stata l'autorità coordinatrice
dell'operazione e quali ne siano stati i risultati; quale riscontro in fatti
concreti e in testimonianze dirette trovino le notizie secondo le quali il
peschereccio sarebbe affondato a seguito della collisione con unità
mercantile».
L’allora ministro della marina Mercantile Michele Di Giesi fornì una risposta fotocopia, soltanto un anno dopo (VIII legislatura, discussioni, seduta del 21 marzo 1983):
«L'8 aprile 1982 a seguito di una segnalazione
dell'armatore del motopeschereccio Angelo Padre, l'ufficio locale marittimo di
Giulianova (Teramo) provvide ad interessare le capitanerie di porto del
litorale e tutti i motopescherecci in navigazione al fine di iniziare le
operazioni di ricerca del predetto battello, non rientrato in porto. Le
operazioni di ricerca e soccorso furono poi coordinate dal dipartimento
marittimo di Ancona, il quale fece intervenire, oltre ai mezzi navali delle
capitanerie di porto, anche elicotteri HH-3F del quindicesimo stormo di
Ciampino (Roma) e del centro SAR (search and rescue) di Rimini. Dette
operazioni, iniziate il giorno 10 aprile 1982, si protrassero per tutto il
giorno 9 aprile 1982, ma con esito negativo, anche per le pessime condizioni di
visibilità della zona interessata dalle ricerche».
Avete letto bene, non è un refuso di stampa: nel testo
ufficiale è scritto che «le ricerche
iniziarono il 10 aprile e si protrassero il 9 aprile». Ma come è stato
possibile retrodatarle così impunemente?
L'inverosimile versione ministeriale Di Giesi fa acqua da tutte le parti:
«Questo Ministero si interessò, tramite
la locale capitaneria di porto, alle vicende legate all'affondamento del
motopeschereccio Angelo Padre di Giulianova (Teramo), ma purtroppo non potè svolgere
alcuna opera tesa all'ispezione del relitto ed al recupero delle salme dei
pescatori che vi erano imbarcati, non consentendo il vigente codice della
navigazione interventi del genere, ancorché permeati da così grande carica di
motivi affettivi e dolorosi... A tali richiamate, obbiettive
difficoltà ha ovviato la regione Abruzzo, il cui consiglio regionale ha
approvato una apposita legge (legge regionale del 27 agosto 1982, n. 66) volta
a fornire al comune di Giulianova i mezzi finanziari necessari per le
operazioni di recupero delle salme dei marinai dell'Angelo Padre».
La testimonianza diretta del comandante Cesare Ariozzi non
è stata mai smentita dalle autorità:
«Il 5 aprile 1982 alle ore 10, il motopeschereccio
"Ombretta", comandato da Del Monte Cosimo lasciò la banchina per
iniziare la pesca. Direzione 70°, dall'ingresso del porto. Dopo aver percorso
circa 24 miglia dalla costa iniziò le manovre per mettere la rete in mare. Come
faceva solitamente, chiamò per radio l'Angelo Padre che doveva avere già
iniziato la giornata di pesca, ma, con suo stupore, non ebbe alcuna risposta.
Più tardi riprovò, ma ancora una volta senza esito. Alle ore 16, al traverso di
Tortoreto, a circa 29 miglia dalla costa, la sua attenzione venne attratta da
un salvagente anulare, ma poiché aveva iniziato a pescare ed essendo abbastanza
lontano non si preoccupò di recuperarlo, pensando che fosse stato perduto da
qualche peschereccio. Dopo poco tempo, mentre si trovava a circa 25 miglia,
sempre al traverso di Tortoreto, vide in mare un altro anulare. Intanto tutte
le imbarcazioni che erano uscite per la pesca cominciavano a chiedere notizie
dell'Angelo Padre perché il suo silenzio radio era ormai un triste presagio.
Scattò l'allarme e le autorità marittime iniziarono la ricerca. Il
motopeschereccio "Picenia Prima" faceva sapere, via radio, che
l'Angelo Padre, all'uscita dal porto, aveva rotta 90° e 45' ed aveva compiuto
almeno tre ore di navigazione. Su questa notizia tutti i pescherecci cercarono
di portarsi nella zona dove era stato avvistato l'ultima volta l'Angelo Padre
per dare aiuto ai mezzi della capitaneria. Ma le ricerche non diedero alcun
esito; ormai tutta la marineria giuliese era impegnata nelle operazioni per
conoscere la sorte toccata all'equipaggio del peschereccio scomparso. La
mattina del 10 aprile, verso le 6, alcuni pescherecci si erano disposti a ventaglio
per ispezionare una maggiore superficie marittima, con l'aiuto di un rampino
assicurato ad un cavo d'acciaio per sondare il fondale».
Dopo quattro ore di navigazione, Cesare Ariozzi, al comando
del "Viviana", notò una macchia oleosa e decise di portarsi in quella
direzione. Giunto in prossimità della stessa avvertì che il cavo faceva
resistenza, perché evidentemente il rampino si era impigliato Arrestò quindi i
motori e mise in tiro il cavo posizionandovi una boa, in modo da segnalare la
posizione. D'altronde si accorse che dal fondo continuava a venire a galla
della nafta, avendo con ciò la certezza che in quella zona doveva giacere il
peschereccio. Avvisati via radio, si portarono sul luogo altri pescherecci che
piazzarono altre boe per individuare bene la zona. Ormai era chiaro che
l'Angelo Padre giaceva in fondo al mare, a circa 90 metri di profondità.
L'emozione fra la gente del mare e in tutta la popolazione di Giulianova fu
enorme. Si moltiplicavano le pressioni alle autorità per il recupero del
relitto, nella speranza di riportare a terra i corpi dei poveri marinai.
La Regione Abruzzo il 27 agosto 1982, con la legge 66 mise a disposizione 200 milioni di lire per recuperare le salme. Fu incaricata la ditta SSOS SUB SEA OIL
SERVICE, specializzata in operazioni di questo tipo. Il 19 giugno
un'imbarcazione della stessa società, con a bordo l'ìufficiasler della capitaneria Domizio Scilli, e il delegato del comune di Giulianova Massimo
Camponi, si portò sul luogo dell'affondamento. Un piccolo mezzo subacqueo, dotato di apparecchiatura fotografica, braccio aggancio e braccio
manipolare raggiunse il relitto sul fondale. L’ispezione realizzata, documentata peraltro dal servizio
fotografico confermò che l'imbarcazione era l'Angelo Padre.
I corpi senza vita dell'equipaggio, però, non furono portati a galla. Anche il motopesca restò insabbiato sul fondo, quando invece si sarebbe potuto recuperare agevolmente. Ma in tal
modo sarebbe emersa la dinamica dell'aggressione militare.
Il Governo italiano perfettamente
al corrente dei fatti, ma succube di Washington, si guardò bene dal rivelare la verità alle famiglie delle vittime che non hanno mai ricevuto alcun aiuto. Nel 2006 la medesima sorte è toccata
al Rita Evelin di San Benedetto del Tronto.
amo il mare e i pescatori, il mio paese è ricco di questi uomini.
RispondiEliminase fosse capitato ai miei pescatori io mi sarei arrabbiata tanto
non lasciamoli soli.
orsolina deriu