di Gianni Lannes
Tema cruciale affrontato - sotto forma esplorativa - nei remoti anni Sessanta dal sociologo Sabino Acquaviva, ma sempre più debole e
destrutturato nell'attuale stagione del disamore. E’ possibile tenere insieme
sacralità e relativismo, sacralità e pensiero debole, sacralità e storia,
sacralità e civiltà? Quando definiamo sacra la vita, la natura, sacri e
inviolabili i diritti umani, dovremmo chiarire in quale accezione intendiamo
il sacro. La ritualità che struttura le nostre relazioni, nella forma di feste,
ricorrenze, liturgie, consumo condiviso di cibo, rituali (magici), è
un’esperienza del sacro. Il sacro, appunto, presuppone una visione religiosa
della vita e della morte.
Sacro è parola indoeuropea che vuol dire “separato”. La sacralità, quindi, non è una condizione spirituale o morale, bensì una qualità che inerisce a ciò che ha relazione e contatto con potenze che l’essere umano, non potendo dominare, avverte come superiori a sé, e come attribuibili a una dimensione divina, pensata comunque come separata e altra rispetto all’universo umano. Dal sacro l’umano tende a tenersi lontano, e al tempo stesso ne è attratto. Questo rapporto ambivalente è l’essenza di ogni religione che, come vuole il termine stesso, recinge, tenendola in sé raccolta, l’area del sacro, in modo tale da garantire al contempo la separazione e l’avvicinamento. Al contatto con il mondo sacro sono preposte persone consacrate e separate dal resto della comunità (i sacerdoti), spazi separati dagli altri (chiese), tempi separati dagli altri e nominati festivi, che delimitano i periodi sacri da quelli profani dove, fuori dal tempio, si svolge la vita ordinaria, scandita dal lavoro e dai divieti (tabù), da cui traggono origine le regole e le trasgressioni. Il sacro non è solo all’esterno dell’uomo, ma anche intorno ad esso, come suo fondo inconscio. Dal sacro provengono le parole che ordinano il mondo. Se il cristianesimo (il cattolicesimo in particolare) abdica a questa sua funzione e lascia la gestione del sacro alla solitudine dei singoli individui, questi cercheranno rimedi in farmacia, o nella follia dei gruppi che, privi come sono delle metafore di base dell’umanità, producono quelle promesse vuote, ma più spesso tragiche, che alimentano la religiosità da apocalisse prossima ventura. Intorno a dio c’è poco da dire. Fede e latitanza di fede sono adesioni dell’anima che vengono prima di tutte le riflessioni e resistono a tutti i ragionamenti. Attualmente, gli umani sembrano sopravvivere e comportarsi prescindendo dall’esistenza divina.
Tra arte e religione, tra bellezza e fede c’è un vincolo
stretto. In Occidente difficilmente, infatti, avremmo avuto uno sviluppo
dell’arte se nel secondo concilio di Nicea (787) non si fosse approvato il
culto delle immagini, in base al principio che il cristianesimo è “religione
dell’immagine”, in quanto - secondo la tradizione - dio si è mostrato e fatto
vedere. A differenza dell’ebraismo e del musulmanesimo, che sono religioni
della parola, perché nona colgono l’incarnazione di dio, il suo mostrarsi in
carne e ossa. la dimensione cristiana chiede arte e bellezza per evitare che la
fede sia un puro esercizio della volontà, incapace di coinvolgere sensibilità e
sentimento.
L’età della tecnica ha modificato la nostra psiche,
abituandola a un tempo contratto, ossia l’intervallo che intercorre tra i mezzi
e i fini. Questo tempo in pillole tra il recente passato e l’immediato futuro,
che è il tempo proprio dell’età della tecnica, sopprime dentro di noi, il tempo
escatologico che prevede alla fine del mondo, la realizzazione di quello che
all'inizio era stato annunciato. E siccome la religione si fonda sul tempo
escatologico, se questo non ha più riscontro e risonanza nella nostra psiche,
la religione si eclissa, perché non più sostenuta da quella dimensione
temporale (l’escatologia) di cui si alimenta. Resta il problema del senso della
vita, a cui in passato il cristianesimo ha offerto risposte, mentre adesso naufraga incapace di declinare il tempo ciclico della natura.
Il Cristianesimo, fondato da un gigante Dio-Uomo, ha perso purtroppo il suo carisma iniziale. Si è piegato, afflosciato, rispetto al suo aspetto originario. Ha abbandonato quella forza spirituale dei primi padri della chiesa. Adesso l'ama il prossimo tuo si è macchiato. Adesso ci si affaccia a Piazza San Pietro per impartire la benedizione sotto un cielo martoriato da scie tossiche ed, esse, non vengono neppure minimamente accennate alla popolazione. L'ama il prossimo tuo ed aiuta i deboli si è purtroppo perso sotto una coltre lurida di veleno piovuto dal cielo. In vaticano sanno cosa sta accadendo ma nessuno parla. E questo è veramente grave. Ritornassero a mettere in primo piano le parole evangeliche di un Dio che si è manifestato come Amore e non sottoforma di biechi interessi economici tenendo all'oscuro le popolazioni da atti malvagi che hanno come target proprio la popolazione! Che riprendano il coraggio di un tempo, di quei Cristiani che hanno dato la vita per diffondere la parola. Parlassero, rivelassero al mondo perché i nostri cieli sono crocifissi come quel meraviglioso Dio D'amore!
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