Roma 9 maggio 1978): il corpo senza vita di Aldo Moro |
di Gianni Lannes
Una vergogna italo-americana: dai depistaggi agli
insabbiamenti, compreso l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli nel 1979 (per cui Andreotti si beccò 24 anni di condanna in appello, in qualità di mandante, graziato in Cassazione senza rinvio). E adesso l'ennesima, inutile commissione parlamentare. Lo Stato
tricolore ha dato il meglio nelle sue varie articolazioni: dalla magistratura
ai servizi segreti, passando per la politica. Dalla strage di via Fani in cui
furono assassinati due carabinieri e tre poliziotti all’omicidio di Aldo Moro,
sono transitati appena 28 governi: Andreotti (2), Cossiga (2), Forlani,
Spadolini, Fanfani, Craxi 82), Fanfani, Goria, de Mita, Andreotti, Amato,
Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema (2), Amato, Berlusconi (2), Prodi,
Berlusconi, Monti, Letta. Mentre è in carica pro tempore Matteo Renzi, piazzato da Napolitano ma non
votato dal popolo sovrano. Eppure nessuno di questi esecutivi ha pensato bene
di togliere finalmente il segreto di Stato. Altrimenti salterebbe all'aria il carrozzone tricolore, telecomandato da Washington. Insomma, l'opposto di una democrazia compiuta.
Gero Grassi, vice presidente del gruppo Pd alla Camera ha recentemente dichiarato: «È stata positiva la prima audizione svolta dalla Commissione d’inchiesta sul caso Moro con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, Marco Minniti, il quale ci ha detto che esistono ben 12.500 atti relativi al sequestro e alla uccisione del leader Dc attualmente secretati. 474 di questi sono stati emessi da Enti stranieri (i soli che possono autorizzarne la declassificazione, che in genere viene negata). Minniti ha precisato che la declassificazione degli atti riguarda la tipologia e non comporta automaticamente la pubblicità, ma che il governo è disponibile a collaborare attivamente con la Commissione fornendo i documenti senza gli omissis con cui sono stati depositati all’Archivio di Stato».
Dopo 13 anni dalle prime rivelazioni, l’Ansa il
12 novembre 2014 ha battuto la seguente notizia: «Nei confronti dell'americano
Steve Pieczenik, ex funzionario del Dipartimento di Stato Usa e
'superconsulente' del Governo italiano ai tempi del sequestro di Aldo Moro, vi
sono "gravi indizi circa un suo concorso nell'omicidio" dello
statista democristiano. Lo sostiene il pg di Roma Luigi Ciampoli che chiede
alla procura di procedere. Le presunte responsabilità di Pieczenik vengono
messe in luce dal procuratore generale Ciampoli nella richiesta di
archiviazione, inoltrata ieri al gip del tribunale di Roma, dell'inchiesta
sulle rivelazioni dell'ex ispettore di polizia Enrico Rossi che aveva
ipotizzato la presenza di agenti dei Servizi, a bordo di una moto Honda, in via
Fani, a Roma, quando Moro fu rapito dalle Brigate Rosse. Il pg ha quindi
disposto la trasmissione della richiesta di archiviazione - un documento di
cento pagine - al procuratore della Repubblica di Roma "perché proceda nei
confronti di Steve Pieczenik in ordine al reato di concorso nell'omicidio di
Aldo Moro, commesso in Roma il 9 maggio 1978". La figura dell'esperto Usa
- consulente dell'allora ministro dell'Interno Francesco Cossiga nel comitato
di crisi istituto il 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Moro e
dell'uccisione degli uomini della scorta - è da molto tempo, e da molti,
considerata "centrale" nella vicenda del sequestro e dell'omicidio
del presidente della Dc. La procura generale di Roma sottolinea che "sono
emersi indizi gravi circa un suo concorso nell'omicidio, fatto apparire, per
atti concludenti, integranti ipotesi di istigazione, lo sbocco necessario e
ineludibile, per le BR, dell'operazione militare attuata in via Fani, il 16
marzo 1978, ovvero, comunque, di rafforzamento del proposito criminoso, se già
maturato dalle stesse BR". Per il Pg di Roma Luigi Ciampoli, a carico del
colonello Camillo Gugliemi, già in servizio al Sismi, presente in via Fani la
mattina del 16 marzo 1978 quando venne rapito Aldo Moro, "potrebbe ipotizzarsi"
il concorso nel rapimento e nell'omicidio degli uomini della scorta, ma nei
suoi confronti non si può promuovere l'azione penale perché è morto».
Sulla scomparsa dei resoconti su indagini e riunioni
svolte al ministero indagò la commissione stragi che nel ‘92 concluse: «La
mancanza negli archivi del Viminale di tutta la documentazione non trova alcuna
plausibile giustificazione... Si conferma una costante dell’“affare Moro”:
prove importanti sulla gestione della crisi sono sottratte agli organi
istituzionali, ma non è escluso che altri ne disponga e le utilizzi o minacci
di farlo nel momento più conveniente».
È tutto scritto nelle carte del Parlamento, dai
piduisti al vertice dei servizi segreti alle tante forzature sulla «non
autenticità» delle lettere di Moro, al loro ritrovamento insieme a pezzi di
memoriale in via Montenevoso, 12 anni dopo la scoperta del covo milanese. Fino
alle domande di Eleonora Moro, che due anni dopo la morte del marito si
chiedeva, a proposito delle Br: «Certo, ci sarà stata la loro parte di lavoro.
Ma chi ha armato e animato questa gente a fare queste cose? Chi ha tenuto le
fila in modo tale che non si poteva comunicare durante il tempo che mio marito
era sequestrato? Come mai questa linea di condotta così dura era già stata
presa così nettamente, un’ora dopo la strage di via Fani?». La signora Moro è
morta nel 2010, senza ottenere risposta.
A proposito. Per un anno intero - nel 1976 - la
diplomazia, i servizi, le forze armate e anche il ministero della Difesa
inglesi progettano un colpo di stato militare da attuare in Italia per impedire
il compromesso storico tra Moro e Berlinguer.
riferimenti:
Nessun commento:
Posta un commento
Gradita firma degli utenti.