Saibi, Marherita di Savoia. |
di Gianni Lannes
Bentornati nell’antica Salapia, ex territorio naturalistico ed
archeologico di interesse internazionale, già area industriale dismessa nel
cuore del paese costiero che conta 13 mila residenti. Si scrive Saibi (società azionaria industria
bromo italiana), ma si legge Enimont
(Ferruzzi-Gardini) e Monopoli di Stato. Il sito a più riprese sequestrato
dall’inconcludente Procura della
Repubblica di Foggia - risulta ufficialmente
inquinato: suolo, sottosuolo e falde acquifere - è stato ceduto il 18 ottobre
2000, per una cifra simbolica (1
milione di lire: assegno banca Carime gruppo Intesa del 13/10/2000 numero BC 9012790892) dall’Enichem Spa
al Comune pugliese. L’intento non dichiarato era evitare i risarcimenti danni
per le innumerevoli vittime e i danni ambientali arrecati a questo litorale
della Puglia settentrionale, dove si produce sale da millenni. Nonostante 8 milioni di euro di finanziamento
deliberati dal Cipe il 27 maggio 2005 (n. 35), la bonifica non è stata ancora
realizzata, mentre tra le vittime si annoverano soprattutto i bambini, in
particolare gli adolescenti. Secondo il sindaco Gabriella Carlucci (onorevole berlusconiana catapultata in loco per
volontà suprema) “La bonifica è alle fasi preliminari”. Il governatore Nichi Vendola tace, eppure si professa
ecologista. Che poesia. “Tutto a posto”: non c’è nessun responsabile per la
giustizia umana. In loco, non è stata mai realizzata un’indagine
epidemiologica. Le autorità usano i soliti metodi di insabbiamento: meglio non
far sapere nulla all’opinione pubblica. Ora è trapelato che il mare è
inquinato: la cima dell’iceberg. L’ultima persona stroncata dalla leucemia aveva
appena 15 anni. Il varco all’inferno è spalancato: chiunque ne può approfittare.
L’anno scorso una parte dello stabilimento imbottito di amianto è stato demolito. Le macerie sbriciolate sono rimaste
abbandonate per mesi ai venti e alle correnti d’aria nel centro urbano. Di chi
la responsabilità: Camassambiente o Teorema? Onorevole sindachessa Carlucci,
l’asbesto targato Saibi è stato smaltito regolarmente e dove? In attesa di una
risposta della prima cittadina, si
avverte l’opinione pubblica che un tuffo in mare qui potrebbe costare l’epatite
virale e la gastroenterite. Ecco come è stato ridotto un centro termale.
Cancro fulminante - Dea Defidio due anni fa ha perso la figlia
Noemi (17 primavere). La ragazza era stata aggredita da una leucemia. Scrive
questa mamma: «La versione della casualità, quando passeggi nei corridoi di
quel reparto, con tuo figlio che si trascina dietro l’asta 2,3,4 flaconi appesi
perché scenda fino ad entrare in vena, come passando in un cordone ombelicale,
la speranza della guarigione; quando passeggi e l’asta di tuo figlio si scontra
facilmente con quella di un altro bimbo, perché quel “corso” è così tanto,
troppo affollato… ebbene, la versione della casualità non ce la fa più a
convincerti… Le notizie, quasi quotidiane di altre giovani morti, di altri
bimbi malati di cancro a “noi” fan soffrire di più; fermano per un po’ il passo
di un cammino già tanto faticoso; e il giorno, come è accaduto a me la scorsa
settimana, in cui nella “sala dolens” del camposanto ne vedi due di madri pazze
di dolore, due piccolissimi corpi uccisi dal cancro … E intanto la comitiva si
allarga».
Prove schiaccianti - Basta leggere l’atto di
compravendita stipulato a Trinitapoli il 18 ottobre 2000 dal notaio Marcello
Labianca (registrato a Cerignola il 3 novembre di 12 anni fa, al numero 1643
serie IV) sulla base di ben tre delibere comunali (risalenti agli anni 1996,
1997 e 1999): «La parte acquirente, dichiara
di essere edotta dello stato dei luoghi, di assumere a proprio carico gli oneri
che si rendessero necessari relativi alla messa in sicurezza, bonifica e/o
demolizione delle strutture nonché gli oneri che si rendessero necessari
relativi agli interventi di risanamento del sito, nessuno escluso (bonifica con
misure di sicurezza, messa in sicurezza permanente, ripristino) qualunque sia
il loro ammontare di spesa - inoltre -
la parte acquirente rinuncia alla garanzia per vizi e terrà totalmente
manlevata ed indenne la parte venditrice da qualsiasi eventuale pretesa,
responsabilità ed onere nei confronti di terzi». Il rapporto di prova
numero 58, datato 26 gennaio 2001 ed elaborato dal Presidio Multizonale di
Prevenzione (Asl FG/3) riscontra in quest’area di 15.106 metri quadrati (di cui
2.974 edificati) un miscuglio di veleni mortali: «piombo, cromo totale, nichel, cadmio, mercurio, rame, ferro, zinco,
arsenico». In conclusione è scritto nell’analisi di materiale da escavo:
«Prelevato in Margherita di Savoia il 10 gennaio 2001 da personale tecnico del
PMP su segnalazione della locale stazione dei Carabinieri in località Cappella
nelle vicinanze dello stabilimento ex Saibi - lato Sud. L’analisi chimico
fisica del campione ha portato al riconoscimento di composti organici per lo
più riferibili alla pregressa attività produttiva dell’adiacente Stabilimento
ex Saibi (bromobenzene, dimetil-trisolfuro, 1,4 dibromobenzene,
dimetil-tetrasolfuro, 3-(1-metil 2- pirrolidin), piridina, 2-
metossi-naftalene, 2- bromo-6-metossi-naftalene, zolfo molecolare). Tali
sostanze sono riportate nella letteratura scientifica come “pericolose”». Solo
in seguito, ovvero 27 febbraio 2006, i governanti locali, hanno incaricato il professor Gian Mario
Baruchello, di redigere il progetto preliminare di bonifica. La relazione
tecnica descrittiva ha evidenziato che «gli inquinanti, presenti in modo
generalizzato, sia nel terreno che nei sedimenti e nei liquidi contenuti nelle
strutture di produzione e di servizio e, infine nelle acque sotterranee, sono
costituiti dai metalli pesanti, tra i
quali, presenti in concentrazione maggiore sono il Mercurio, l’Arsenico, il Piombo e lo Zinco». L’esperto
universitario Baruchello specifica che
«gli inquinanti si trovano anche nel sottosuolo a 10 metri di profondità». In
una nota comunale indirizzata il 24 gennaio 2006 al ministero dell’ambiente,
alla Regione Puglia e alla provincia di Foggia per battere cassa, si legge che
«Negli strati superficiali del terreno essi sono presenti, su tutta l’area indagata
dello stabilimento, in concentrazioni notevolmente superiori alle C.L. previste
dal D.M.A. n. 471/99. Seppur ancora in
fase di studio e di accertamento, allarmanti appaiono alcuni dati forniti dalla
ASL, i quali manifesterebbero una crescente incidenza di patologie tumorali nel
centro del basso tavoliere».
Passato oscuro - Mediante l’atto di concentrazione a
rogito del notaio Pietro d’Angelo di Roma del 21 luglio 1955 ed atto di
compravendita del 3 dicembre 1957, l’Azienda
Tabacchi Italiani Spa conferiva alla Saibi l’azienda industriale comprensiva
della parte immobiliare. L’azienda ha prodotto, tra l’altro, bromuro di metile (un insetticida
appartenente alla classe degli idrocarburi alogenati) e perfino cloropicrina (gas di uso bellico), alle
strette dipendenze del governo
israeliano. Sabato 26 febbraio 1983 scoppiano per cause mai precisate,
alcuni contenitori di benzolo. “Cronaca di un incidente annunciato” titolava il
mensile IL PICCHIO ROSSO. Infatti, da un articolo di Vito Valentino si apprende
che «alle ore 20 circa due reattori o
contenitori dello stabilimento Saibi esplosero. Scene di panico seguirono alla
esplosione, mentre un incendio di grosse proporzioni divampava nello stabilimento.
Urla di gente terrorizzata facevano da cornice a un quadro di caos totale
generato dalla fuga con ogni mezzo possibile dell’intera popolazione che
cercava scampo nei paesi viciniori». Cinque mesi prima, il 27 settembre 1982,
l’allora consigliere comunale Antonio Di
Lecce con un’interpellanza a risposta scritta ed orale aveva chiamato in
causa il sindaco «perché nonostante le numerose richieste dell’ufficiale
sanitario di Margherita di Savoia, non abbia provveduto per assolvere i propri
compiti di vigilanza sulle industrie che producono esalazioni insalubri e che possono
riuscire dannose alla salute degli abitanti, a fare allontanare e, se
necessario, a chiudere lo stabilimento SAIBI … per accertare quali prodotti e
sostanze chimiche la SAIBI ha messo in produzione e se, comunque, per la
produzione di essi abbia ottenuto tutte le regolari autorizzazioni per legge». In
soldoni: la Saibi non ha preso neanche una misera multa dalla giustizia
italiota. Nel 1987 il senatore Giorgio
Nebbia - che aveva curato un dossier - porta il caso in Parlamento. «E’
scandaloso che non abbiano ancora bonificato radicalmente il territorio» sbotta
il professor Nebbia. I Monopoli di Stato
propongono di delocalizzare la fabbrica a Foce Carmosina, nel cuore della zona
umida, protetta, si fa per dire, dalla Convenzione internazionale di Ramsar.
Nel 1989 l’assise comunale delibera - con 24 voti favorevoli e 4 contrari - la
concessione di una proroga di tre anni all’ordinanza sindacale di chiusura. Nel
’90 la Saibi chiude. Il sito verrà sequestrato di propria iniziativa dal Nucleo Operativo dei Carabinieri di
Bari soltanto il 27 gennaio 2001e dissequestrato per ordine del pm Rosa Pensa
il primo ottobre 2007. Il verbale di liquidazione della società (notaio Ciro De
Vincenzo di Milano) reca la data dell’11 maggio 1992. Con atto di fusione a
rogito notaio Gianpaolo Cesati del 10 ottobre 1997 la Saibi srl in liquidazione
viene incorporata nella Enichem srl, ed infine (5 ottobre 1998) va ad Enichem Spa. In Italia non vale il
principio europeo: chi inquina non paga. L’Eni
deve bonificare nove aree, ma offre al governo 2,3 miliardi di euro per passarsela liscia, risparmiando molto di
più e cancellare le cause, ma soprattutto sulle conseguenze sanitarie a danno
di innumerevoli esseri umani completamente ignari. Ogni anno nel Belpaese si
registrano circa 400 mila nuovi casi di tumore. Ogni giorno colpiscono e
uccidono un migliaio di persone nel disinteresse generale. E l’andazzo mortale
aumenta sempre più, quando ad uccidere i comuni mortali è la chimica di Stato.
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