di Gianni Lannes
Per dirla con Oscar Wilde: “Mentire con garbo
è un’arte, dire la verità è agire secondo natura”. Allora, veniamo ad un classico già sperimentato due anni fa con le regalie di soldoni pubblici al famigerato don Luigi Verzé. Dichiara
l’illuminato Nichi: «Il percorso è indicato proprio nell'ordinanza del gip. Si
può garantire fin da subito la salute dei cittadini senza dover chiudere gli
impianti: l'Ilva è una città e se chiudesse ci troveremmo di fronte al più
impressionante cimitero industriale del mondo». Lo ribadisce il presidente
della Puglia Nichi Vendola sottolineando che «adesso spetta all'Ilva rimuovere
dalla scena del siderurgico tutto ciò che nuoce. L'ordinanza del gip - precisa
- descrive puntualmente quali sono gli elementi che pregiudicano la salute dei
cittadini e credo che l'Ilva abbia le competenze per attuare un programma di
interventi a brevissima, media e lunga scadenza. Deve rimuovere subito quegli
elementi che compromettono l'insieme del diritto alla salute, dalle partite di
acquisto di cospicue quantità di filmante che serve a ridurre al minimo lo
spolverio, come la riduzione della produzione nei giorni di vento forte,
l'installazione di centraline di un monitoraggio più in profondità
dell'impianto, che noi abbiamo chiesto». Per Vendola è «Offensivo l'attacco del
giudice Amendola, perché noi, come Regione, abbiamo fatto la differenza in
questi anni. I primi controlli all'Ilva li ho fatti io nel 2008. Oggi abbiamo
una legge antidiossine e antibenzopirene». Vendola insiste sulla necessità di
una mediazione e si chiede se davvero «possa chiudere il più grande polo
dell'acciaio. E' progressista - aggiunge - che l'Italia dismetta alcune sue
antiche e robuste tradizioni produttive? E' legittimo pensarlo, ma io non sono
d'accordo». Vendola, anche lei è sul
libro paga del clan Riva?
Ilva fuorilegge - Nichi Vendola non parla, narra frottole incommensurabili. E basta poco per smascherarlo, se ancora ce ne fosse bisogno. E allora diamo un’occhiata alle cifre ufficiali. L’Ilva è il quarto gruppo siderurgico d’Europa e fattura 8 miliardi di euro. La società Utia sa (Riva Fire) ha sede in Lussemburgo: un paradiso fiscale non a caso. Prendiamo il “Rapporto Ambiente e Sicurezza 2011” dell’Ilva S.p.A: i numeri smentiscono Vendola. Il dato emerso dall’ultima campagna per la rilevazione di diossine e furani nei fumi delle emissioni del camino E312 effettuata da Arpa Puglia, che ha registrato un risultato pari a 0,2 ng ITE/ Nmc. Risultato inferiore al valore limite imposto dalla legge regionale - numero 44 del 19 dicembre 2008 - di 0,4 ng ITE/Nmc. Questa normativa regionale pur essendo stata ammorbidita dalla giunta Vendola nel marzo del 2009, parla chiaro: dopo aver effettuato tre campagne di misura annuali, il valore di emissione su base annuale sarà ottenuto mediante la media aritmetica dei valori di emissione delle campagne di misure effettuate. Media aritmetica che non dovrà essere superiore al valore limite imposto dalla legge regionale stante in 0,4 ng ITE/Nmc. Ora: se la matematica non è un’opinione, sommando le tre campagne di rilevazione effettuate da Arpa Puglia (febbraio 0,68 + maggio 0,70 + novembre 0,20) il risultato che ne vien fuori è 1,58 che diviso tre porta la media annuale a 0,52 ng ITE/Nmc: un risultato sicuramente importante, ma che è semplicemente oltre il limite imposto dalla legge regionale, che essendo entrata in vigore il 1 gennaio 2011, non può essere considerata dai dirigenti un obiettivo da raggiungere, bensì un limite da rispettare: punto. Dunque: l’Ilva è semplicemente fuorilegge. Inoltre: ciascuna di queste campagne di rilevamento solo di diossine e furani, ma non di mercurio o addirittura di radioattività (che avvengono “senza preavviso”, ma con i tecnici Arpa che impiegano ben 90 minuti per arrivare dai cancelli d’ingresso al camino E-312 e montare la relativa attrezzatura) si articolano su tre misure effettuate in tre giorni consecutivi di 8 ore ciascuna. Ora: sempre se la matematica non è un’opinione , parliamo di 24 ore a campagna, per un totale di 72 ore di rilevamento dati. L’Ilva però, è un impianto sempre in ciclo, che opera 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno. Un anno è composto da ben 8.760 ore, quindi siamo su una percentuale di 0,82 ore coperte nell’arco di un intero anno. Quanto è efficace una legge che è stata modificata proprio per occultare la verità? La legge in questione prevede che “il valore di emissione derivato da ciascuna campagna sarà ottenuto operando la media aritmetica dei valori misurati, previa sottrazione dell’incertezza pari al 35%”, come del resto prevede anche la norma UNI EN 1948:2006 dell’Unione Europea sulle rilevazioni delle emissioni tossiche, a cui la legge regionale fa riferimento. Sapere quanta diossina viene emessa dal camino E-312 ogni singolo secondo, sarebbe tutt’altra storia e darebbe senz’altro risultati scientifici inconfutabili e certi. E qui siamo costretti a riaprire la famigerata diatriba relativa al “campionamento in continuo” delle emissioni di diossina e furani dal camino E-312, che ha vissuto una storia sin qui alquanto tribolata. Questione che all’Ilva non riguarda, e a ragion veduta, visto che nel Rapporto gli vengono dedicate pochissime righe a pagina 55, in cui l’azienda sostiene essere ancora in corso d’opera la prima fase dello studio di fattibilità sulla sperimentazione di tale operazione, che è partita ufficialmente lo scorso 21 marzo. Poi, nello scorso luglio, ad Arpa Puglia arrivò una comunicazione da parte del Ministero dell’Ambiente, secondo cui si era messo in moto In origine, l’articolo 3 della legge regionale prevedeva l’obbligo di tale campionamento: poi, nel marzo del 2009, tale articolo fu “aggiustato” diventando un campionamento da svolgere minimo tre volte in un anno. Ma nella “revisione” del 2009, non avvenne la totale prescrizione dell’articolo 3, ma soltanto una semplice aggiunta di un “comma 1 bis”, lasciando così in vigore l’articolo 3 in cui è previsto “l’obbligo per le aziende di presentare un piano per il campionamento in continuo”, che come detto è ancora lungi dall’essere concretizzato.
Danni
incommensurabili - A parte i
malati e i morti in termini economici, sarebbe utile quantificare i danni provocati
dall’inquinamento dell’Ilva. Per esempio, sarebbe interessante capire perché a
pagare i danni sia sempre e soltanto la popolazione e non le marionette di Governo nazionale e locale. Perché
l’abbattimento degli ovini, l’economia che esse producevano e il (misero)
rimborso alle aziende non viene pagato dagli inquinatori ma dalle Istituzioni,
come la Regione e quindi con i soldi dei contribuenti. Chi pagherà quei
mitilicoltori che da luglio 2011 sono fermi nella produzione perché il Mar Piccolo
è inquinato? Naturalmente, la popolazione: circa 1 milione di euro, a spese dei
contribuenti. E chi ripaga l’agricoltura? Pensate soltanto all’agrumicoltura. E
l’elenco potrebbe allungarsi notevolmente, sino alle malattie derivanti
dall’inquinamento che negli anni è costato in termini di vite umane e di
risorse economiche sanitarie. E allora: quanto costa veramente l’Ilva? E quanto ripaga la Puglia?
Ecco perché sarebbe interessante chiedere ai dirigenti Ilva o ai loro divini
narratori perché nel corposo volume aziendale manchi una parte relativa a tutto
quello che testimonia, a livello scientifico, il volume complessivo dei danni
che questo inferno ha causato al territorio tarantino.
Omissioni e
rimozioni - Nel palazzo di governo è stato dimenticato il rapporto dei Carabinieri del NOE nel quale venivano
riportate tutte le irregolarità riscontrate nel corso di 40 giorni di indagini
ed appostamenti effettuati dal nucleo speciale dell’Arma. Un rapporto
presentato presso la Procura di Taranto nell’udienza
dell’incidente probatorio portato avanti dal pm Patrizia Todisco, attraverso il
quale i Carabinieri consigliavano il sequestro gli impianti del siderurgico al
fine di poter avviare un’indagine approfondita sullo stesso. Rapporto che il 4
luglio scorso arrivò via fax anche al Ministero dell’Ambiente, ma la conferenza
dei servizi sull’AIA dell’Ilva svoltasi il giorno dopo, pur prendendone
visione, non lo ritenne di una rilevanza tale da comportare modifiche alle
prescrizioni licenziate dalla Commissione Istruttoria IPPC.
In quel rapporto però, veniva ad esempio posto
l’accento sul fenomeno dello “slopping”, la dispersione dai tetti delle
acciaierie delle famose nuvole di fumo rosso dovuto alla presenza di ossidi di
ferro, chiaro indice della scarsa efficacia delle prescrizioni per contrastarle
previste nell’AIA dell’Ilva. Nel rapporto del NOE si denunciava anche un uso
distorto delle torce di tipo continuativo, come pratica di smaltimento e non
legato ad eventi eccezionali (come ad esempio le emergenze e/o problemi di
sicurezza). L’ultima denuncia del rapporto del NOE riguardava la preoccupante
situazione in cui versa l’area Gestione Rottami Ferrosi. Il rapporto del NOE
evidenziava l’insufficienza sia della portata delle prescrizioni imposte nell’AIA,
sia dei controlli su quanto dichiarato dall’Ilva nel suo piano di risanamento.
In particolare si rilevava “l’assenza di sistema di captazione e depolverazione
nell’area taglio rottami ferrosi, il sottodimensionamento e l’avaria di quello
installato nell’area adibita al taglio dei fondi delle paiole”.
Così come non abbiamo trovato nelle pagine del
Rapporto, nulla che facesse riferimento al verbale della Conferenza dei Servizi
Decisoria “per acquisire le intese ed i concerti previsti dalla normativa vigente
in materia d’approvazione dei progetti di bonifica concernenti l’intervento sul
“Sito di Interesse Nazionale di Taranto” datata 15 marzo 2011 a Roma, dopo la
comparsa del quale l’iter dell’approvazione della legge regionale sulla
bonifica delle falde si è stranamente arenato.
In quel verbale veniva sottolineato come il
Piano di Caratterizzazione sito-specifico presentato dall’Ilva S.p.A. fosse
incompleto vista “la perdurante assenza della conseguente Analisi di Rischio
che deve concorrere alla definizione dei nuovi valori soglia al fine di
stabilire definitivamente il livello di effettivo inquinamento”. Inoltre,
risultava protocollata anche una nota diretta dell’Ilva S.p.A. (DIR/28 del
16/04/2010), in cui la stessa azienda dava conto dei livelli di notevole
inquinamento della falda. Come veniva chiaramente sottolineato che il rilascio
dell’A.I.A. “non esime il titolare dell’impianto di avviare e concludere nei
tempi previsti il procedimento di bonifica e risanamento ambientale per il sito
in questione”. Infine, veniva chiesto agli organi di controllo (Polizia
Provinciale, ARPA e ASL) di effettuare idonei sopralluoghi a cadenza
ravvicinata “al fine di rendere edotti i soggetti sullo stato attuale del sito,
con particolare riferimento agli usi delle acque di falda contaminate e/o ai
rischi professionali e sanitari degli operatori/fruitori del sito”. Inutile
dirvi che l’Ilva ha fatto ricorso al Tar di Lecce.
A memoria umana
- Non abbiamo dimenticato gli oltre 1.600 capi di bestiame abbattuti dall’Asl
di Taranto per la presenza negli stessi di livelli di diossina superiori al
limite di legge. Non abbiamo dimenticato le lacrime, la disperazione, il dramma
degli allevatori delle masserie della provincia ionica (come le famiglie
Fornaro e D’Alessandro). Non abbiamo dimenticato i mitilicoltori tarantini, a
cui viene impedito di lavorare a causa di un inquinamento senza precedenti da
Pcb che ha avvelenato il 1° seno del Mar Piccolo (ma state pur certi che prima
o poi verrà fuori il nome di chi ha riempito per anni la cava del terreno
dell’azienda San Marco Metalmeccanica di materiale di risulta industriale, che
combacia con la falda profonda che segue un percorso che finisce proprio nel 1°
seno). Non abbiamo dimenticato che anche quest’anno è stato registrato il doppio
sforamento nel quartiere Tamburi sia delle polveri sottili (PM10) sia del
benzo(a)pirene. Non abbiamo dimenticato il rifiuto da parte dell’Ilva di
installare delle centraline all’interno del perimetro del terreno occupato dal
siderurgico, previste dal piano della Regione e di Arpa per il rilevamento del
benzo(a)pirene (a cui Eni e Cementir hanno detto sì). Non abbiamo dimenticato
le tombe e le cappelle del cimitero “San Brunone” ed i palazzi “rossastri” del
rione Tamburi, investiti da decenni dalle polveri dei parchi minerali che
l’Ilva si ostina a non voler coprire, sostenendo che basterà il semplice
barrieramento e la conclusione delle colline ecologiche. Non abbiamo
dimenticato il continuo mancato pagamento dell’Ici ed il ricatto imposto
all’attuale amministrazione comunale per non pagare gli interessi sulla cifra
da versare (da 13 milioni di euro si è passati ad 8 milioni). Non abbiamo
dimenticato, e non abbiamo intenzione di farlo, l’inquinamento senza precedenti
prodotto consapevolmente e senza riguardo alcuno per la dignità umana dal 1961
ad oggi. Non abbiamo dimenticato i tanti ammalati di Taranto e provincia. E non
solo quelli colpiti dalle varie forma di tumore: ci riferiamo ad esempio alle
donne affette da endometriosi, patologia poco nota, ma molto diffusa in loco.
Ci riferiamo alle tante donne e ai tanti uomini colpiti da infertilità. Come
non abbiamo dimenticato le migliaia di morti, tra parenti, amici e conoscenti,
disseminati negli ultimi 50 anni e che ognuno di noi porta in fondo al cuore. E
i tanti giovani andati via da questa città e che mai più torneranno. Non
abbiamo dimenticato il vescovo Benigno Papa. In una delle sue ultime
uscite ufficiali prima del passaggio di consegna al collega Filippo Santoro.
Nella rivista IL PONTE (edita da
Riva) e distribuita fra i dipendenti e gli enti del territorio, si può ammirare un’intervista di tre pagine
nelle quali il prelato tesse le lodi della famiglia Riva. Neanche un
riferimento al disastro ecologico o al quartiere Tamburi. Non una parola sulle numerose
denunce dei cittadini. Insomma uno spot per chi inquina. Se poi, in occasione
della festività di S. Cataldo, il marchio Ilva è tra i primi a comparire in
qualità di sponsor della manifestazione, diventa difficile dar torto a chi
ricordava che la dignità non si compra e che, i soldi donati alla chiesa Gesù
Divin Lavoratore per il rifacimento della facciata, non erano che un obolo
interessato. Lo hanno capito tutti, tranne monsignor Papa che addirittura, in
una lettera, ringraziò l’ingegner Riva a nome della comunità (“Ho già scritto
all’ing. Riva – scrisse l’Arcivescovo ai fedeli del quartiere – per esprimergli
la mia e vostra riconoscenza”). Parole che fecero inorridire i cittadini dei
Tamburi e non solo, così come l’accusa di ‘inquinamento morale’ che giunse
pochi mesi dopo ai cittadini che scendevano in piazza per chiedere un ambiente
migliore. Inquinamento morale che, evidentemente, non riguarda i tanti silenzi
sul disastro ambientale o il Cataldus d’argento per il volontariato consegnato
al responsabile rapporti istituzionali dell’Ilva (siderurgico che era fra i finanziatori dell’iniziativa). Non
abbiamo dimenticato le morti bianche degli operai, assassinati nel siderurgico
per una logica di profitto a tutti i costi.
E non abbiamo nemmeno dimenticato i tanti
politicanti, sindacalisti, prenditori, intellettuali e personaggi da palcoscenico, che hanno sempre
saputo, ma hanno preferito coprire, tacere, ignorare, insabbiare. Noi non dimentichiamo. E non dimenticheremo.
Mai.
insomma questi industriali che inquinano e corrompono, paghino una volta tanto gli operai anche dovessero rimanere inattivi, comunque starebbero bene in galera e basta, sfruttatiri vigliacchi......
RispondiEliminaGovernatore Vendola per lo spot, pardon, per l'intervista a tutto tondo pubblicata nel novembre 2010 dalla rivista IL PONTE (edita da Riva), in cui lei profferisce una serie incredibile di castronerie sul siderurgico, quanto soldoni ha intascato dai Riva?
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