di Gianni
Lannes
Sotto il
nome generico di infibulazione, vengono spesso raccolte tutte le mutilazioni a
carico dei genitali femminili, praticate in 28 paesi dell’Africa sub-sahariana e in altri 12 paesi asiatici,
per motivi non terapeutici, che ledono fortemente la salute psichica e fisica
delle bambine. In realtà, l'infibulazione viene praticata ovunque nel mondo siano presenti individui di religione islamica. Secondo
l'Oms sono circa 125 milioni le donne sottoposte a escissione o infibulazione.
500 mila quelle residenti nell'Ue e 35mila in Italia. Il direttore del centro
per le Mgf dell'ospedale di Careggi: «Il numero di donne con mutilazioni con
cui veniamo a contatto è cresciuto di pari passo con l’aumento degli sbarchi».
L'interrogazione a risposta scritta numero 4/04437 del 6 ottobre 2009, attende ancora una risposta dal governo italiano, eppure di esecutivi se ne sono passati senza profferire spiegazioni, addirittura 4: Berlusconi, Monti, Letta & Renzi.
L'interrogazione a risposta scritta numero 4/04437 del 6 ottobre 2009, attende ancora una risposta dal governo italiano, eppure di esecutivi se ne sono passati senza profferire spiegazioni, addirittura 4: Berlusconi, Monti, Letta & Renzi.
Nell’interrogazione a risposta orale del 4 marzo 2015, numero 3/01729 è scritto:
«nel 2006 è
stata approvata la legge n.7, "Disposizioni concernenti la prevenzione ed
il divieto delle pratiche di mutilazione genitale", in attuazione degli
articoli 2, 3 e 32 della Costituzione e di quanto sancito dalla dichiarazione e
dal programma di azione adottati a Pechino il 15 settembre 1995, ma ancora oggi
l'infibulazione e le altre pratiche scissorie continuano ad essere attuate
all'interno di alcune comunità straniere, principalmente di origine africana e
di cultura islamica, anche nel nostro Paese, che detiene, infatti, il più alto
numero di donne infibulate rispetto al resto d'Europa; dai dati forniti da
Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei
ministri emerge che sono circa 35.000 le donne immigrate soggiornanti in Italia
che hanno subito o potrebbero aver subito mutilazioni genitali, prima di
giungere in Italia o durante il soggiorno nel nostro Paese, oppure al rientro
nei Paesi di origine; considerato, inoltre, che: valutando in un numero di
circa 4.600 le bambine e le giovani di meno di 17 anni provenienti da Paesi di
tradizione escissoria, le vittime potenziali di questa pratica oggi sono circa
il 22 per cento, il che significa che ogni anno potrebbero essere circa 1.000
le bambine e le giovani vittime di MGF».
«Circoncisione
o infibulazione as sunnah: si limita
alla scrittura della punta del clitoride con fuoriuscita di sette gocce di
sangue simboliche. Escissione al uasat:
asportazione del clitoride e taglio totale o parziale delle piccole labbra. Infibulazione
o circoncisione faraonica o sudanese: asportazione del clitoride, delle piccole
labbra, di parte delle grandi labbra con cauterizzazione, cui segue la cucitura
della vulva, lasciando aperto solo un foro per permettere la fuoriuscita
dell’urina e del sangue mestruale. Nel quarto tipo sono inclusi una serie di
interventi di varia natura sui genitali femminili».
Queste
pratiche sono eseguite in età differenti a seconda della tradizione: per
esempio nel sud della Nigeria si praticano sulle neonate, in Uganda sulle
adolescenti, in Somalia sulle bambine.
In Italia
quindi, ci sarebbero 35 mila donne, residenti nel territorio, che sono state
sottoposte a queste pratiche. E 1.100 bambine sono potenziali soggetti a
rischio ogni anno. Le cifre che il ministero delle Pari opportunità ha raccolto sono però
datate. La ricerca risale al 2009. L’istituto Piepoli, che ha partecipato
all’analisi, ha confermato che non c’è uno studio così approfondito più
recente.
Dunque, sono oltre
125 milioni al mondo le donne marchiate a sangue e condannate, in nome di una
presunta rispettabilità, a infezioni, cistiti croniche, dolori mestruali
atroci, rapporti sessuali angoscianti, complicazioni al parto. Tra i 28 Paesi
africani dove resistono varie forme d’amputazione della vagina, Somalia e
Somaliland praticano la più estrema e detengono il primato: «Il 98 per cento
delle nostre donne sono infibulate, richiuse dopo ogni parto, subendo da sei a
tredici cuciture nel corso della vita» scandisce Sadia Abdi, giovane direttrice
della ong ActionAid in Somaliland, che ha studiato in Inghilterra per poi
tornare fra gli sterrati e i mercati caotici della sua Hargeisa a riprendere la
battaglia iniziata quando aveva solo quattordici anni. «Ho salvato la mia
sorellina dall’infibulazione», racconta. «Mia madre ripeteva: “Non puoi
opporti, fa parte del tuo essere donna, è un precetto islamico”. Quando sentii
da un imam che invece nel Corano non c’è traccia di questa pratica, glielo
riferii e lei cedette, mettendomi sulle spalle l’onore della famiglia. Provai
un enorme sollievo quando mia sorella trovò un uomo che desiderava sposarla per
amore, sebbene “diversa” dalle altre».
Sadia non
dice di sé. Rimarca che l’infibulazione è «l’estrema violenza sulle donne, un
concetto di dominazione maschile che impregna la società e perpetua
l’ineguaglianza di genere».
«Tra le più gravi violazioni dei diritti dei
minori, segnalate da un rapporto dell’Unicef del 1994 (elaborato in
collaborazione con l’Organizzazione mondiale della sanità e l’Unesco), vi sono
le mutilazioni genitali femminili, già denunciate nel 1989 dalla Convenzione
dell’Onu sui diritti dei bambini». La piaga riguardava allora 80 milioni di
donne, mentre oggi ne investe 125 milioni. Nel giugno 1996 il Tribunale di
Washington riconosceva che l’escissione, ad esempio, è una persecuzione: quindi
motivo sufficiente per concedere asilo alle donne che lo richiedono.
Ecco uno dei casi di cui si ha avuto notizia. Nel
2014 a Perugia due bambine sono state mutilate dai genitori secondo la pratica
dell’infibulazione. La segnalazione è avvenuta grazie ai medici del servizio
sanitario pubblico e per i genitori è scattato l’arresto. Poco importa se i
genitori siano nigeriani o se, come lasciano supporre le prime indagini, gli
interventi siano avvenuti all’estero: le bambine sono nate e residenti in
Italia, dove questa pratica, grazie al cielo, non è legale.
“Infibulazione” è un termine che deriva dal latino
e indica originariamente un ornamento tipicamente femminile: la spilla.
L’infibulazione è tuttavia una pratica disumana che viene attuata sulle donne e
che consiste in una mutilazione genitale. L’intervento si concretizza in un
complesso lavoro di “taglia e cuci” al termine del quale gli organi genitali
della donna sono irriconoscibili: le viene concesso solamente di urinare e di
avere il ciclo.
Si tratta di una pratica che ha origini in una
mentalità patriarcale e che serve principalmente per limitare il piacere
sessuale della donna. L’infibulazione viene praticata sulle bambine, in vista
di una loro crescita e come rito di passaggio.
Secondo l’Inmp, nel nostro Paese ci sarebbero
ancora alcuni medici e anziane donne delle comunità migranti che, a pagamento,
praticano l’infibulazione, spesso senza anestesia e con strumenti non sterili.
Per aggirare le misure previste dalla nostra normativa, le bambine vengono
spesso ricondotte nel Paese d’origine per subire l’orrenda procedura. In molti
Paesi europei le mutilazioni vengono eseguite nei centri di chirurgia estetica
vaginale o in quelli che effettuano piercing e tatuaggi, spesso anche nelle moschee.
Ma perché
viene praticata questa mutilazione mostruosa che, come conseguenze, presenta
una vasta gamma di soluzioni, che vanno
dalla cistite alla morte? Si dice che
sia una pratica legata alla religione islamica, anche se, a ben vedere,
l’infibulazione e l’escissione della clitoride non sono menzionate dal Corano:
non è dunque richiesta dall’Islam alcuna forma di manipolazione dei genitali
(tra cui l’infibulazione) che rechi danno fisico alla donna. Secondo diversi
studiosi non è neppure considerato accettabile nell’Islam che sia limitato il
piacere sessuale della donna.
Non si capisce pertanto perché la legislazione
coranica ammetta, ad esempio, tra le cause di divorzio, una mutilazione genitale
della donna mal riuscita, ovvero tale da renderla “impura” agli occhi dello
sposo. Personaggi di spicco come il “fondatore” del moderno Kenya Jomo
Kenyatta, hanno altresì difeso l’infibulazione come pratica culturale
importante.
Che si possa parlare di “cultura” e di
“infibulazione” nello stesso discorso mi pare mostruoso. Quello che mi pare
ancora più mostruoso è che solo grazie a casi isolati di cronaca ci si indigni
che questo succeda anche in Italia, che la multiculturalità non sia sempre garanzia
di rispetto dei diritti delle donne e delle bambine, quando ci sono migliaia di
donne e bambine, anche italiane, che portano addosso i segni di questa
violenza.
In nome di una presunta supremazia (complici
tradizioni culturali discutibili), l’uomo può trattare i suoi simili da
oggetto. A farne le spese sono spesso le fanciulle. Donne ferite, nel corpo e
nella mente, anche attraverso le mutilazioni genitali.
riferimenti:
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