Lucania, inceneritore Fenice. |
di Gianni Lannes
Chissà chi lo sa. Calma, non è
un gioco televisivo degli anni '70, ma un semplice indovinello
balzato alla ribalta dell'attualità, dopo l'incidente di ieri alla
centrale nucleare di Fessenheim in Francia. Un obsoleto impianto
atomico gestito dalla società Edf
, ovvero il maggiore produttore mondiale di energia nucleare,
con sede in Europa. Singolare combinazione: la multinazionale
Electricité de France,
possiede e gestisce da un decennio a San
Nicola di Melfi (in
provincia di Potenza), un mastodontico inceneritore
di rifiuti industriali ad
appena 3 chilometri dalla città di Lavello
e
a poca distanza dai mirabili vigneti di
Venosa.
La fabbrica di veleni è stata acquistata dalla Fiat
al termine dell'anno 2001. L'azienda Agnelli
l'aveva realizzata contro
la volontà popolare (manifestata in un referendum), sfruttando
finanziamenti pubblici ed agevolazioni fiscali. L'inceneritore era
entrato in funzione nel settembre del 1999. Fenice brucia a cielo
aperto - secondo le stime ufficiali - ben «66 mila tonnellate l’anno
di scorie»: 40 mila provenienti dalle regioni settentrionali
d’Italia, ma anche dall’estero (Francia e Germania), previo scalo
a Orbassano in Piemonte, transito in Emilia Romagna, attraversamento
della dorsale adriatica e sosta prolungata per settimane e, a volte,
addirittura mesi, nella stazione ferroviaria di Foggia. Perfino i
rifiuti sanitari (tossici e radioattivi) sono stati bruciati in
questo impianto fuorilegge con la compiacenza dell'ente provincia di
Potenza. Sarà una semplice coincidenza. Il 3 agosto 2009, l'Edf ha
realizzato una jointe-venture con l'Enel
nel settore del nucleare civile. La società a responsabilità
limitata, denominata Sviluppo
Nucleare, ha
realizzato alcuni studi di fattibilità per la costruzione in Italia
di almeno 4 centrali atomiche, sfruttando la tecnologia di terza
generazione, cosiddetta “avanzata”, detta altrimenti EPR.
Ovviamente,
in barba a ben due referendum popolari che hanno espresso
democraticamente il rifiuto italiano per l'atomo. Allora, corre
l'obbligo di porre alcune domande a chi attualmente comanda lo
Stivale per conto terzi.
Quesiti atomici
- Primo ministro Monti, i francesi, per caso, per via
della mancanza di seri controlli istituzionali, hanno bruciato in
loco anche scorie nucleari? Come mai lo Stato italiano non bonifica
il cimitero nucleare, mascherato dal centro di ricerca Enea (gestito
dalla Sogin), inaugurato ufficialmente negli anni '60, proprio
in Lucania dall'onorevole Emilio Colombo, precisamente alla
Trisaia di Rotondella? Per quale ragione di Stato, nonostante alcuni
incidenti nucleari in riva al Mar Jonio, documentati perfino
dall'autorità giudiziaria e dal processo intentato dal magistrato
Nicola Maria Pace, ad alcuni dirigenti dell'Enea (con una
sentenza di condanna definitiva), l'area non è stata ancora messa in
sicurezza? Infine, perché l'Eni e l'Enel hanno
fabbricato alla Trisaia combustibile nucleare per anni ed il governo
Usa non intende riprendersi le barre del reattore nucleare Elk
River depositate in loco in uno
stato di insicurezza conclamata ed arcinota alle autorità di ogni
ordine e grado tricolore? Un fatto è certo: «a proposito di
nucleare, alla Procura della Repubblica di Matera sono depositati
21 faldoni coperti da segreto di Stato» argomenta la dottoressa
Agnesina Pozzi.
Mulino bianco
- A qualche centinaio di metri dal “cancrovalorizzatore” Fenice
sorge il
più importante stabilimento della
Barilla nel
Mezzogiorno che sforna biscotti e merendine. Nei pressi si staglia
anche la Sata
(Fiat) ed alcune attività ecomafiose. Coltivazioni agricole ed ovini
al pascolo completano il quadro paesaggistico della Piana di San
Nicola. «Da
queste parti - racconta Giulio P., uno studente autoctono - il
ricatto del lavoro è fortissimo. I dirigenti della Fiat dicono che
se vogliamo tenerci le fabbriche dobbiamo accettare anche
l’inquinamento, le malattie, i tumori e la distruzione delle terre.
Vuole un esempio? Qui c’era una selva di uliveti plurisecolari,
altamente produttivi, che la Fiat ha raso al suolo per insediarsi».
L'Arpab sotto la regia del prode Vincenzo
Sigillito, poi dimesso, e
del coordinatore provinciale Bruno
Bove, non ha effettuato
rilevazioni per anni, salvo in seguito accertare, ma solo dopo la
mobilitazione popolare, che le falde idriche sono fortemente
inquinate da un miscuglio di metalli pesanti. Cos'altro è stato
scaricato nel fiume Ofanto?
«I residui della combustione ammontano a 27 mila tonnellate annue»
recitano i dati ufficiali ampiamente sottostimati. Si tratta di
materia solida e letale che finisce nel sottosuolo della Basilicata -
inquinando le falde, come ha denunciato l’OLA
- e nel fiume Ofanto che si getta nel mare Adriatico. Non è tutto.
L’altoforno industriale sputa nell’atmosfera di una delle zone di
maggior pregio agricolo del Sud - dove lavorano centinaia di aziende
agricole, zootecniche, turistiche e delle acque minerali (Rionero in
Vulture) - milioni di metri cubi di fumi fortemente nocivi.
«Emissioni oltre i limiti normativi di polveri di metalli pesanti,
ossidi di azoto e diossine». Nella scarsa documentazione resa
pubblica queste sostanze segnalano gli indici più preoccupanti:
esalazioni nella misura di «un nanogrammo a metro cubo di rifiuti
bruciati», mentre la normativa europea si attesta su un limite di
dieci volte inferiore, ovvero 0,1 nanogrammi a metro cubo. La
potenzialità cancerogena e mutagena di
tali veleni è nota a livello internazionale da decenni.
Il gigante
automobilistico italiano prima di passare l'affare ai transalpini
aveva gettato acqua sul fuoco: «E’
tutto sotto controllo: la piattaforma di San Nicola risponde ad una
logica concordata qualche anno fa col ministro dell’ambiente
Ronchi». L'Edf non
risponde. Da uno studio elaborato da Luigi
Notarnicola, docente del
Dipartimento di Scienze geografiche e Merceologiche dell’Università
di Bari, emergono dati inquietanti. «Le
documentazioni tecniche disponibili non consentono di escludere
effetti negativi sulla popolazione di Lavello e nell’intero
territorio - attesta il
professor Notarnicola - L’insediamento della Sata (Fiat, ndr) e
della piattaforma Fenice porta un’immissione nell’atmosfera di
oltre 12 milioni di metri cubi all’ora di fumi». E ancora: «Ai
danni per la popolazione di Lavello associati all’inquinamento
atmosferico vanno aggiunti quelli derivanti all’agricoltura
fiorente in tutta la valle, dagli elevatissimi prelevamenti di acqua
potabile (12,5 milioni di metri cubi all’anno)».
Incidente -
L'interrogazione parlamentare numero 5-05464, a risposta scritta in
commissione (5 ottobre 2011) rileva che «... nella
notte tra sabato 1 e domenica 2 ottobre 2011, presso l'inceneritore
Fenice hanno preso fuoco alcuni contenitori di solventi chimici che
contenevano rifiuti speciali provenienti dalla Sata; sul posto sono
intervenuti i vigili del fuoco ed il gruppo di intervento NBCR, la
speciale squadra specializzata in incidenti che coinvolgono sostanze
chimiche, biologiche e radiologiche. Secondo i primi accertamenti le
cause sembrerebbero accidentali, attribuibili forse ad un processo di
autocombustione; sia le centraline della stessa società esercente
l'inceneritore, Edf Fenice, che quelle dell'Arpab avrebbero fornito,
a detta dei tecnici regionali, dati rassicuranti sulla qualità
dell'aria; tuttavia questo è il quarto processo di combustione e si
temono danni strutturali all'impianto che già in passato avevano
causato inquinamento della falda acquifera dell'appennino lucano,
impianto che risulta privo di ogni sistema di sicurezza idoneo a
contenere le perdite».
Ecomafie di Stati -
Una nota dell’assessorato regionale all’Ambiente rivela:
«Nell’autorizzazione a Fenice avevamo imposto il divieto di
importazione di rifiuti da fuori regione». Ma i controlli
scarseggiano. A fronteggiare casa Agnelli sono due gruppi combattivi
e organizzati: il Comitato dei cittadini di Lavello e l’associazione
“Uniti per Melfi”. Poi ci sono altri aggregati nei paesi
limitrofi, anche in Puglia. Per esempio a Rocchetta Sant’Antonio e
Bovino. R. S., operaio Sata solleva interrogativi: «Perché un
termodistruttore a Melfi? Forse perché non si possono più usare i
vecchi sistemi di smaltimento ormai noti, e quindi è bene realizzare
nuovi mezzi di avvelenamento e ubicarli dove la gente è poca e non
ha la forza di contrastare i colossi della grande finanza».
I fatti appaiono inequivocabili: il progetto “Fenice” bloccato a Biella, è passato in Basilicata con una delibera regionale il 2 maggio 1995, approvata da una giunta ormai sciolta (le nuove elezioni si erano svolte una decina di giorni prima) e non ha mai ricevuto la ratifica del consiglio regionale, prevista per legge entro 30 giorni. Il nuovo governo regionale ha impugnato la delibera e presentato ricorso al Tar, che però ha dato ragione alla Fiat. La Regione, comunque, ha nominato tre esperti per valutare l’impatto ambientale, e i tecnici nello stupore generale, hanno espresso un giudizio di fattibilità dell’opera. Trascorrono solo alcuni mesi e due dei tre membri di quella commissione passano ad altri incarichi: uno, l’ingegner Valicanti, entra direttamente nell’orbita Fiat e viene chiamato alla direzione dei lavori, addirittura nel cantiere dell’inceneritore; l’altro, il professor Cuomo, viene indicato come responsabile del monitoraggio ambientale della zona. E’ decisamente improbabile che le tesi rassicuranti dell’azienda automobilistica convincano i lucani. Gli stessi cittadini che il 25 ottobre 1998, con un referendum consultivo avevano detto “no alla Fenice”. Un rifiuto avvalorato dal sequestro giudiziario il 7 luglio 2001 a Melfi di 8 vagoni merci stracolmi di rifiuti industriali e ospedalieri provenienti da Forlì (movimentati dalla ditta Mengozzi), a Foggia di altri 27 carri, 9 a Brindisi e 5 a Falconara in provincia di Ancona. Si trattava di 400 tonnellate di “materiali a rischio infettivo”. «Le scorie contengono rifiuti ospedalieri classificati dalla normativa vigente come pericolosi»segnala il sostituto procuratore Ugo Miraglia del Giudice. Provengono da Forlì, Torino, Genova, Vado Ligure, Treviso, ma anche dall’estero. Destinazione finale: la “Fenice” di Melfi. «Non possiamo controllare tutto» dicono all’unisono i dirigenti di Trenitalia Luigi Irdi e Claudio Cristofani. Gran parte dei documenti di viaggio dei vagoni fantasma indicano luoghi di partenza, itinerari e percorsi alla luce del sole. Dalla Francia, spicca, in particolare, il tragitto Amiens-Modane-Ventimiglia-Orbassano utilizzato dalla Whirlpool Europe e da altre aziende senza apparente identità. «Materiale innocuo, elettrodomestici, indumenti usati» si legge nelle bolle d’accompagnamento. Ma allora per quale ragione negli stessi documenti i tecnici delle FS annotano: «Da maneggiare con estrema cautela»? In un altro documento delle FS, il numero 46, compilato a Napoli il 2 aprile dal capo manovra Mazzone è scritto: «Dalla prima traccia parte carro di rifiuti ospedalieri n. 12033325 diretto Oristano (prestare attenzione è merce fragile)». Il vagone però finisce a Brindisi. Altri vettori da decine e passa di tonnellate cadauno, provengono dalla General Motors di Livorno, dalla Cemat di Padova, dalla Hike Coop di Mantova. Ed è curioso che la Polimeri Europa di Brindisi spedisca alla Piccinini presso l’interporto di Parma, “resine sintetiche in granuli” che finiscono nell’inceneritore di Melfi. Identico copione per la Waste Management di Massa che invia rifiuti non meglio identificati alla Sipsa di Oristano. Perché le Fs raccomandano di “maneggiare con precauzione” i capi d’abbigliamento? I carri contengono realmente oggetti innocui? Il professor Giorgio Nebbia, esperto di fama internazionale (già parlamentare della Repubblica) non ha dubbi: «Nessuno ne conosce la provenienza, l’esatta composizione chimica nonché la pericolosità». E aggiunge: «Pullulano decine di eco-imprese che vendono lo smaltimento in inceneritori, in impianti di compattazione, in discariche: quello che conta è che i rifiuti non si vedano e non puzzino». L’Ocse stima che «Tre quarti dei rifiuti pericolosi europei, circa 30 milioni di tonnellate annue, siano di origine e di composizione sconosciute». I dati ufficiali dell’Unione europea condannano il Belpaese: solo negli ultimi 23 anni sono stati occultati «1 miliardo di tonnellate di rifiuti d’ogni genere». Dove sono finiti? I tentacoli della piovra si sono allungati da nord a sud. L’internazionale dei veleni, infatti, oltre che nei Paesi del Terzo mondo, si è data appuntamento nel Mezzogiorno d’Italia.
I fatti appaiono inequivocabili: il progetto “Fenice” bloccato a Biella, è passato in Basilicata con una delibera regionale il 2 maggio 1995, approvata da una giunta ormai sciolta (le nuove elezioni si erano svolte una decina di giorni prima) e non ha mai ricevuto la ratifica del consiglio regionale, prevista per legge entro 30 giorni. Il nuovo governo regionale ha impugnato la delibera e presentato ricorso al Tar, che però ha dato ragione alla Fiat. La Regione, comunque, ha nominato tre esperti per valutare l’impatto ambientale, e i tecnici nello stupore generale, hanno espresso un giudizio di fattibilità dell’opera. Trascorrono solo alcuni mesi e due dei tre membri di quella commissione passano ad altri incarichi: uno, l’ingegner Valicanti, entra direttamente nell’orbita Fiat e viene chiamato alla direzione dei lavori, addirittura nel cantiere dell’inceneritore; l’altro, il professor Cuomo, viene indicato come responsabile del monitoraggio ambientale della zona. E’ decisamente improbabile che le tesi rassicuranti dell’azienda automobilistica convincano i lucani. Gli stessi cittadini che il 25 ottobre 1998, con un referendum consultivo avevano detto “no alla Fenice”. Un rifiuto avvalorato dal sequestro giudiziario il 7 luglio 2001 a Melfi di 8 vagoni merci stracolmi di rifiuti industriali e ospedalieri provenienti da Forlì (movimentati dalla ditta Mengozzi), a Foggia di altri 27 carri, 9 a Brindisi e 5 a Falconara in provincia di Ancona. Si trattava di 400 tonnellate di “materiali a rischio infettivo”. «Le scorie contengono rifiuti ospedalieri classificati dalla normativa vigente come pericolosi»segnala il sostituto procuratore Ugo Miraglia del Giudice. Provengono da Forlì, Torino, Genova, Vado Ligure, Treviso, ma anche dall’estero. Destinazione finale: la “Fenice” di Melfi. «Non possiamo controllare tutto» dicono all’unisono i dirigenti di Trenitalia Luigi Irdi e Claudio Cristofani. Gran parte dei documenti di viaggio dei vagoni fantasma indicano luoghi di partenza, itinerari e percorsi alla luce del sole. Dalla Francia, spicca, in particolare, il tragitto Amiens-Modane-Ventimiglia-Orbassano utilizzato dalla Whirlpool Europe e da altre aziende senza apparente identità. «Materiale innocuo, elettrodomestici, indumenti usati» si legge nelle bolle d’accompagnamento. Ma allora per quale ragione negli stessi documenti i tecnici delle FS annotano: «Da maneggiare con estrema cautela»? In un altro documento delle FS, il numero 46, compilato a Napoli il 2 aprile dal capo manovra Mazzone è scritto: «Dalla prima traccia parte carro di rifiuti ospedalieri n. 12033325 diretto Oristano (prestare attenzione è merce fragile)». Il vagone però finisce a Brindisi. Altri vettori da decine e passa di tonnellate cadauno, provengono dalla General Motors di Livorno, dalla Cemat di Padova, dalla Hike Coop di Mantova. Ed è curioso che la Polimeri Europa di Brindisi spedisca alla Piccinini presso l’interporto di Parma, “resine sintetiche in granuli” che finiscono nell’inceneritore di Melfi. Identico copione per la Waste Management di Massa che invia rifiuti non meglio identificati alla Sipsa di Oristano. Perché le Fs raccomandano di “maneggiare con precauzione” i capi d’abbigliamento? I carri contengono realmente oggetti innocui? Il professor Giorgio Nebbia, esperto di fama internazionale (già parlamentare della Repubblica) non ha dubbi: «Nessuno ne conosce la provenienza, l’esatta composizione chimica nonché la pericolosità». E aggiunge: «Pullulano decine di eco-imprese che vendono lo smaltimento in inceneritori, in impianti di compattazione, in discariche: quello che conta è che i rifiuti non si vedano e non puzzino». L’Ocse stima che «Tre quarti dei rifiuti pericolosi europei, circa 30 milioni di tonnellate annue, siano di origine e di composizione sconosciute». I dati ufficiali dell’Unione europea condannano il Belpaese: solo negli ultimi 23 anni sono stati occultati «1 miliardo di tonnellate di rifiuti d’ogni genere». Dove sono finiti? I tentacoli della piovra si sono allungati da nord a sud. L’internazionale dei veleni, infatti, oltre che nei Paesi del Terzo mondo, si è data appuntamento nel Mezzogiorno d’Italia.
Un'indagine del Corpo
Forestale dello Stato
ha indotto l'autorità giudiziaria ad emettere 10 avvisi di garanzia
per dirigenti della società fenice S.p.A., collegata allo
stabilimento Fiat di Cassino. La società Fenice SpA, controllata dal
grande gruppo energetico francese EDF, è stata accusata di aver
classificato “fanghi pericolosi” come rifiuti innocui, in modo da
smaltirli illegalmente a basso prezzo. In non meglio specificate
discariche finiva così una miscela agghiacciante di schifezze, una
bomba ecologica, secondo varie analisi, piena di sostanze tossiche
che si sarebbero dovute trattare in modo completamente diverso.
L’inchiesta è scaturita dopo l'intercettazione di alcune frasi
pronunciate da un imprenditore di Frosinone. Il sistema incriminato è
sempre lo stesso, identico a quello che ha permesso lo “smaltimento”
a basso costo di multinazionali come Procter & Gamble, Lucchini e
Marcegaglia. Gli scarti della produzione più a rischio vengono fatti
esaminare da laboratori compiacenti, che assegnano ai rifiuti un
codice CER “non pericoloso”.
Conseguenze
epidemiologiche
- Nel 2009 lo studio “Current
Cancer Profiles of the Italian Regions”,
realizzato dall'Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con
l'Istituto Tumori di Milano ed alcuni medici (Silvia Buzzone, Andrea
Miceli, Paolo Baili e Roberta De Angelis) indica che in Basilicata
l'incidenza delle patologie tumorali aumenta come in nessuna altra
parte d'Italia. La dottoressa Gabriella Cauzillo, dirigente
dell'ufficio regionale per le politiche di prevenzione ha dichiarato:
“L'incidenza dei tumori maligni in Basilicata è in aumento e lo
confermo. Inoltre, la velocità di aumento dell'incidenza da noi è
superiore”. Un altro medico, Carlo
Gaudiano
conferma: «Mentre in Italia dal 1990 la curva dei tumori si è
appiattita, in Basilicata è cresciuta. Ci ritroviamo dinanzi a
tumori tipica,mente provocati dall'ambiente, come il sarcoma epatico
e i tumori da amianto». La Lucania è sprovvista di una registro
delle malformazioni. Puntualizza l'esperto Gaudiano: «Ogni centomila
nati nella nostra regione, undici sono affetti dalla sindrome di
down, mentre in Emilia Romagna su centomila ce ne sono circa due».
La fenice era un mitico uccello
che, dopo un ciclo vitale di 500 anni, moriva nel fuoco risorgendo
poi dalle sue ceneri. Ma se queste ridavano vita al mitico volatile,
oggi mettono a repentaglio l’esistenza della popolazione di buona
parte di Puglia e Basilicata. L'inquinamento atmosferico, in
particolare, non conosce barriere artificiose o limiti
amministrativi.
Fenice, dati inquinamento
Lucania, Barilla. |
Lucania, cimitero nucleare. |
Lavello, protesta contro Fenice. |
Messaggio per l'anonimo demente "Antonio 46". Un altro insulto e passo direttamente il suo caso da frustrato patologico alla Polizia Postale!
RispondiEliminaIl mio compianto amico Angelo Chimienti osò sfidare come un piccolo Davide, il gigante Golia-Enea e denunciò DA SOLO, DA EROE che alla Trisaia di Rotondella si produceva uranio e plutonio dal riprocessamento delle barre "esauste" regalateci dai padroni USA. Angelo fu uno stretto collaboratore del grandissimo Giudice Nicola Maria Pace e proprio da lui seppe dei faldoni coperti dal segreto di Stato nella Procura di Matera. Non fu certo un caso (promoveatur ut moveatur) che il Giudice Pace, al CULMINE delle sue inchieste fu trasferito al nord, di fatto spodestandolo di fatto da una situazione che ormai conosceva benissimo e che lo allarmava. Pace aveva capito l'andazzo:"non troverete in Lucania il mafioso con coppola e lupara...ma lo vedrete vestito in elegante doppiopetto a righe blu:è il politico!". L'anno scorso, il settimanale materano L'INDIPENDENTE LUCANO, pubblicò un documento sconvolgente: il Verbale della seduta del consiglio dei Ministri del 13 novembre 2003http://www.indipendentelucano.it/articolo/645/Sito-Unico-Nazionale-Bubbico-sapeva-Era-d%E2%80%99accordo.aspx quel documento avrebbe dovuto scatenare una vera rivoluzione se la Lucania fosse abitata da un vero popolo. Ma siamo una plebe informe e prona, in cui allignano pericolosi individui senza scrupoli, scaltri, imbecilli, incoscienti, cinici, avidi. Una plebaglia che batte le mani al "guitto" DOC pappa-Leo che per vile denaro vende la dignità di un popolo (se mai fosse esistita a cominciare dalla lapide a Zanardelli...!!!) allo sfruttatore ENI, si fa sponsorizzare il filmetto comico dalla Total!!! http://www.ecodibasilicata.it/2012/lettera-aperta-rocco-papaleo-bolognetti-caro-rocco-vuoi-confronto-io-ci-sto/. Insomma gente che dovrebbe essere presa a calci in culo viene omaggiata, riconfermata, eletta, "salvata". Il libro sullo scandalo del sito di Scanzano (IL SITO-SCENARI e retroscena su Scanzano Jonico) non ha venduto NEMMENO UNA COPIA A SCANZANO!...e invece di fare una campagna per salvare i LUPI veri DEL PARCO DEL POLLINO....faranno di certo un monumento megagalattico agli Agnelli, che sono stati i LICANTROPI della Basilicata. Gianni...io sono davvero stanca. E non ho speranza purtroppo per un "sussulto" di dignità nella mia terra. Andrà sempre peggio. Amen
RispondiEliminaGentilissimo Gianni, cerchi di capire che ci sono delle priorità. Attualmente un importantissimo personaggio politico, inoutingperpetuo, ha dichiarato di volersi sposare. Il che ha sollevato un mare di pro/contro che sono al vaglio degli organi competenti. Vedrà che risolto l'arcano, potranno dedicarsi anche ad altro. Appunto ad altro.
RispondiEliminaNon ho più parole, leggere questo merdaio mi fa suscitare una rabbia infinita, non è più possibile, ci stanno trattando peggio del peggio........................
RispondiEliminaRipeto, bisogna scendere in guerra......................
Angelo Chimienti era una gran bella persona! E ci manca... Putroppo anche il giudice Nicola Maria Pace, un valente magistrato, nativo di Filiano in provincia di Potenza, è venuto a mancare qualche giorno fa!
RispondiElimina@Agnese ho letto con emozione le sue parole, non mi permetto di farle forza perchè sono sicuro ne ha più di me. Sa che c'è? Sento tutti contro la/e casta/e, nel quotidiano vedo tutti sgomitare per entrarci.
RispondiEliminaMai arrendersi prima di di combattere fino in fondo! Questo blog (diario pubblico) è una testimonianza!
RispondiEliminaGianni, hai ragione, infatti...nonostante la stanchezza morale resto all'erta da brigantessa supersite...chissà che non dovremmo prima o poi rispolverare " A' SHKUPPETTA".
RispondiEliminaGrazie Aldo dell'incoraggiamento.
Il mantra che piu' spesso recitava mio padre era: " rispettate l'ambiente perche' non e' nostro ma delle generazioni future".
RispondiEliminaHo visto mio padre spegnersi lottando in difesa dell' ambiente e della nostra Lucania, solo, inascoltato e debole.
Poi vittorie,conferme a tutto quanto, la stima di chi l'apprezza ora come allora...lui però non c'è più.
Grazie Agnesina, guerriera fedele e acciaiosa, sei stata la persona che ha dato voce alla lotta silenziosa di mio padre.Lui era fiero di te. Grazie anche a Gianni per quello che ha sempre fatto in difesa del nostro futuro.
Giuseppe Chimienti
Io ricordo, tanto tempo fa, due giganti che ora non ci sono più: Angelo Chimienti e Nicola Maria Pace. Due figli della Lucania che hanno speso la loro vita professionale ed umana per difendere questa terra magica, oltraggiata dall'avidità e dall'ingordigia dell'uomo. Non è per spirito di polemica, ma quando ci vuole va detto a chiare lettere! Non bastava l'Eni e le altre "sorellastre" che rubano l'oro nero ed inquinano impunemente. Ma come si fa a recitare uno spot per i boiardi Stato? Solo una questione di soldi? Ci voleva anche una comparsa di Lauria che bazzica il cinema e la tv per far toccare il fondo al Sud? Ma per favore: svegliatevi dal letargo.
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