Targa anteriore. |
di Gianni Lannes
Mogadiscio, 20 marzo 1994: omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Traffico di armi e rifiuti pericolosi dal belpaese al terzo mondo africano. Biglietto di sola andata senza giustizia. Ecco il movente che ha subito depistaggi di carattere istituzionale, a partire dalle menzogne di Carlo Taormina, sparate in qualità di presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta (23 febbraio 2006): «Nessuno scoop messo a tacere con la morte. I cittadini devono sapere fin da ora che mai nessuno ha inteso uccidere i due giornalisti, vittime di una manica di banditi senza che i banditi sapessero di chi si trattasse e agendo unicamente in un contesto di ritorsione criminale. La gente, inoltre deve sapere che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin non erano depositari di alcun segreto nelle materie che un giornalismo d’accatto per dodici anni ha invece tentato di propinare. E’ falso che i due giornalisti fossero a conoscenza di cose inenarrabili nei campi della cooperazione, del traffico d’armi, del trasporto di rifiuti. I due giornalisti nulla mai hanno saputo e in Somalia, dove si recarono per seguire la partenza del contingente italiano, passarono invece una settimana di vacanze conclusasi tragicamente senza ragioni che non fossero quelle di un atto delinquenziale comune».
Menzogne premeditate - Nel 2005 ho avuto modo di intervistare l’ex Onorevole di Forza Italia, a più riprese nel suo studio romano di via Cesi, nei pressi del palazzaccio. All’estero è conservata, in mani sicure, la registrazione di queste sue dichiarazioni preconfezionate con largo anticipo: «Ilaria e Miran erano andati a passare una vacanza in Somalia… uccisi nel corso di una rapina da fondamentalisti islamici…» riferì nel corso dell’intervista concordata.
L’ex Sottosegretario del governo Berlusconi non aveva dubbi: «La dinamica si basa sull’analisi balistica dell’auto. Abbiamo fatto una perizia al balipedio della polizia di stato e quindi abbiamo potuto ricostruire al millimetro ogni cosa. Nessun colpo alla nuca, a contatto. Nessuna esecuzione» disse testualmente.
In realtà, Ilaria e Miran, vennero assassinati poiché in procinto di rivelare, in diretta al tg 3 nazionale, il coinvolgimento dello Stato italiano nel traffico illecito di scorie e di armi.
E’ un grave reato penale anticipare di oltre un anno - la Relazione della Commissione sarebbe stata chiusa e votata solo il 23 febbraio 2006 - dichiarazioni depistanti senza attendere l’esito dei lavori di indagine.
Depistaggio - La relazione finale della Commissione bicamerale d’inchiesta presieduta Taormina - approvata soltanto dalla maggioranza - nel 2006 reciterà: «Il contributo determinante e risolutivo alla ricostruzione della dinamica dell’agguato è stato fornito, dopo la perizia medico-balistica del prof. Pascali, dalla perizia eseguita dalla Polizia Scientifica sull’autovettura su cui viaggiavano i due giornalisti, rintracciata e acquisita dalla Commissione».
Non vi è alcuna prova scientifica che l’auto oggetto d’esame sia la stessa sulla quale sono stati ammazzati i due giornalisti. Fondati dubbi motivati dal magistrato Franco Ionta, titolare di un’inchiesta stralcio - ancora contro ignoti - sul duplice omicidio, che afferma di aver subito uno sgambetto poco onorevole da Taormina. «Se è innegabile che la suddetta Commissione parlamentare ha il potere di compiere atti di indagine, la decisione della stessa assunta di procedere autonomamente ad accertamenti sul veicolo, con esclusione della possibilità di analogo intervento dell’autorità giudiziaria, provoca un pregiudizio alla Procura perché le impedisce di esercitare le funzioni che le attribuisce la Costituzione; che difatti risulta precluso il proseguimento delle indagini che la ricorrente ha tuttora in corso, essendole in particolare, inibito di raccogliere tutti gli elementi necessari ai fini delle proprie determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale, con palese violazione del principio dell’obbligatorietà dalla stessa sancito dall’articolo 112 della Costituzione, oltre che di quelli di indipendenza ed autonomia della magistratura».
La Procura della Repubblica di Roma, inoltre, «è stata privata della possibilità di sottoporre a sequestro l’autovettura su cui viaggiavano Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, nonché di effettuare rilevamenti ed accertamenti sul veicolo stesso ai fini dell’esatta ricostruzione della dinamica dei fatti, attività queste tutte essenziali nell’ambito del procedimento penale in oggetto e la cui mancata effettuazione ha determinato una vera e propria paralisi del medesimo». Con l’ordinanza numero 73 depositata il 24 febbraio 2006 in cancelleria, scritta dal giudice Alfonso Quaranta, la Corte Costituzionale ha dichiarato «ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto, ai sensi dell’articolo 37 della legge 11 marzo 1953, nei confronti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, presentato dalla Procura di Roma».
Veicolo taroccato - Il pool del pm Franco Ionta aveva fatto ricorso alla Consulta nell’ottobre 2005, dopo aver appreso dell’arrivo in Italia della Toyota. I magistrati avevano chiesto a Taormina di «svolgere congiuntamente le analisi dell’automobile». L’avvocato aveva rifiutato ogni collaborazione sostenendo che «gli accertamenti, irripetibili, riguardano anche le carenze istituzionali, comprese quelle attribuibili ai molteplici passaggi giudiziari che hanno interessato la vicenda». La Consulta ha poi riconosciuto la legittimità della Procura a poter effettuare esami balistici e tecnici sull’auto per l’espletamento delle indagini di propria competenza.
Quanto alle nebulose modalità di rinvenimento del veicolo, l’avvocato Taormina a pagina 12 della sua Relazione (conclusioni finali) rivela che «Il rinvenimento della Toyota, effettuato al termine di una estenuante nonché difficilissima ricerca per il suo trasferimento in Italia ed il sequestro immediatamente disposto, hanno consentito di accertare la dinamica dei fatti senza nessuna possibilità di dubbio o perplessità». A smentirlo è il vice questore Alfredo Luzi che nel suo Rapporto preliminare del 4 ottobre 2005, abbozza soltanto «ipotetiche dinamiche». La consulenza tecnica congetturata su «tesi probabilistiche» dal direttore della sezione balistica della P.S. (10 novembre 2005), evoca molteplici dubbi sulla genuinità del ritrovamento automobilistico basato sulla scarna comparazione video-fotografica: a partire dalla mancata rilevazione del numero di telaio e dell’anno di fabbricazione del veicolo, dell’identità reale del proprietario e dei mancati rilievi tecnici in Somalia.
Dottor Luzi, lei ha recuperato l’automobile Toyota sulla quale sono stati assassinati Ilaria e Miran? Si è recato in Somalia? “Siamo andati negli Emirati Arabi. E quanto tempo fa non mi ricordo la data” risponde il dirigente di polizia. Quindi la Polizia di Stato e i servizi di Intelligence italiani non si sono mai recati in Somalia per trovare l’autovettura. “E’ pericoloso: non si poteva andare in Somalia” conferma a denti stretti la giornalista Serena Purarelli, assistente e consulente del presidente Taormina. “E’ stato il sostituto commissario Antonio Di Marco a tenere i contatti con Giancarlo Marocchino” confida Claudia Passa, l’altra consulente di Taormina, di stanza al giornale della famiglia Berlusconi.
Perplessità - Ecco l’ufficiale di Polizia Luzi. Potrebbe indicarmi con certezza assoluta la prova scientifica che l’auto esaminata sia la medesima sulla quale sono stati assassinati i due giornalisti? Risposta: silenzio assordante. Inspiegabilmente, non è stata fatta neppure un’analisi comparativa fra il profilo DNA delle tracce ematiche rilevate all’interno dell’auto e i familiari dei giornalisti uccisi. Dottor Luzi il suo incarico risale al 17 settembre 2005? «Io sono andato, mi pare, ai primi di settembre. Sulle date non…». In realtà il consulente tecnico a pagina 3 del rapporto annota: «In data 10 settembre 2005, la S.V. (Taormina, ndr) inviava lo scrivente presso l’hangar 10 dell’aeroporto civile di Dubai (Emirati Arabi) all’interno del quale era custodita una autovettura marca Toyota mod. Hilux simile al tipo di auto sulla quale viaggiavano la Alpi e Hrovatin». Quali difficoltà ha incontrato per scovare l’auto e condurla in Italia? «Per riconoscerla bisognava individuare le caratteristiche balistiche che avrebbero dettato la possibilità o meno del veicolo. Non avevamo nessun elemento: abbiamo tutto dovuto riproporre a livello sperimentale» puntualizza il funzionario di PS che vanta esperienze professionali nordamericane. Questa macchina era stata abbandonata o era in un deposito? Come l’avete rintracciata a migliaia di chilometri di distanza se nessuno dei poliziotti italiani ha messo piede nel Corno d’Africa? Com’è finita a Dubai visto che Mogadiscio è ancora un inferno di guerra? Risposta del super poliziotto: imbarazzante pausa di riflessione. Comunque a pagina 37 della sua relazione si legge: «La vettura in sequestro marca Toyota mod. HiLux targata Somalia 61208, corrisponde alla medesima vettura sulla quale, il 20 marzo 1994, sono stati uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin».
Le perplessità aumentano anche perché il fuoristrada su cui viaggiavano Ilaria e Miran sparì dalla circolazione e finì in un garage di proprietà di un ex ministro di Siad Barre. Tra l’altro, il collega dell’Ansa Remigio Benni, nell’audizione del 19 maggio 2004 aveva dichiarato: «il pick up, la vettura con la quale Ilaria era arrivata all’hotel Hamana era dello stesso tipo e degli stessi colori della macchina di Cervone. Non so se fosse proprio la stessa, ma era molto simile».
Un’altra testimonianza oculare (audizione del 18 marzo 2004), quella dell’operatore della televisione svizzera Francesco Chiesa, specifica che «La macchina si presentava con il parabrezza rotto e piena di sangue. La macchina era veramente vetusta. Era una vecchia pick up». Eppure l’auto esaminata in Italia sembra spuntata da un set cinematografico. Chi ha effettivamente recuperato il veicolo costato all’ignaro contribuente italiano ben 18.200 euro? -intascati da Ahmed Duale, deputato del fantasmagorico parlamento somalo.
Il fuoristrada noleggiato dai giornalisti assassinati è una prova fondamentale su cui poggia la dinamica dell’omicidio plurimo: «due colpi letali alla testa di AK 47 kalashnikov, calibro 7,62x39mm» asserisce Luzi. Tesi probabilistica non suffragata interamente dalla perizia (depositata il 20 luglio 2004) del professor Vincenzo L. Pascali (direttore dell’Istituto di medicina legale e delle assicurazioni dell’Università cattolica del S. Cuore) che a pagina 69 ammette: «Delle numerose ipotesi in ordine alla rispettiva posizione aggressore-vittima, nessuna può essere inoppugnabilmente provata con elementi di fatto. Della scena del crimine si conosce solo la posizione assunta dalle vittime nell’autovettura (Ilaria Alpi sedeva sul lato destro del sedile posteriore; Miran Hrovatin occupava il sedile anteriore destro). Le approssimative notizie sulla posizione degli aggressori e le invitabili impressioni con cui la posizione dei fori di proiettili nell’autovettura è stata ricostruita in base a materiale iconografico (e non a indagine di sopralluogo) impediscono invece di trarre rilievi affidabili».
Il consulente medico legale della famiglia Alpi, Costantino Cialella, nell’esame testimoniale del 21 settembre 2004 ha ribadito invece che «Ilaria Alpi nella mia ricostruzione è stata attinta da un colpo d’arma da fuoco al capo con le mani poste a protezione dell’ovoide».
Allora, dove è stato ritrovato il fuoristrada e in quali condizioni? E sulla base di quali riscontri scientifici incontrovertibili? Il pick up l’ha scovato l’allora vice questore aggiunto Luzi o qualche confidente particolare?
Il sospettato - Ebbene, il consulente segreto di Taormina è Giancarlo Marocchino, che il casellario giudiziale italiano indica fin dal 1982 in qualità di “pregiudicato”. “Sconcertante”, commenta Rosy Bindi “che il principale sospettato diventi il teste chiave della nuova ricostruzione”. In una memoria difensiva consegnata al pm Franco Ionta, l’avvocato Domenico D’Amati, legale dei coniugi Alpi, accusa con documentazione probante il noto collega: «Taormina ha improvvisamente sposato, senza riserve, in ripetute dichiarazioni pubbliche, la tesi sostenuta dall’imprenditore Giancarlo Marocchino, secondo cui l’omicidio sarebbe stato commesso casualmente nel corso di un tentativo di sequestro. Tesi questa», rileva l’avvocato D’Amati «disattesa dalla Corte d’Assise di Roma per la sua manifesta illogicità e contraddetta anche dai risultati dell’ultima perizia balistica, secondo cui contro i due giornalisti furono esplosi dieci colpi di kalashnikov da una persona distante cinque metri». E ancora, si legge nella memoria messa a disposizione della magistratura: «il presidente Taormina si è avvalso largamente, nelle indagini, della collaborazione dello stesso Marocchino, utilizzando, tra l’altro, informatori da lui indicati».
Quanto alle singolari garanzie, a pagina 54, nota 117 del capitolo “Responsabili ed eventuali mandanti” è scritto che proprio Ahmed Duale «E’ la persona che si è adoperata per il recupero della macchina a bordo della quale viaggiavano i giornalisti, in quanto tuttora socio in affari con Marocchino e grazie a questo contattato da Di Marco (il sostituto commissario, ndr)». La Relazione di Taormina (parte I, sezione I, capitolo 5, pagine 17-18 ) rivela inoltre che «E’ stato proposto a Giancarlo Marocchino – tramite un consulente ufficiale di p.g. (il sostituto commissario Antonio Di Marco) – di cooperare con la Commissione, anche al fine di consentire alla Commissione stessa di entrare in possesso delle due autovetture coinvolte nel delitto, quella a bordo della quale viaggiavano i giornalisti e quella degli assalitori». Insomma, chi ha fornito materialmente l’auto? Un uomo al di sopra di ogni sospetto: il cittadino somalo Yusuf Cariiri, che un’informativa del Sisde Roma 1, indica per Sheikh Abdi Yusuf, detto “Iriri”, già segnalato il 16 settembre 1997 – nota N. 97 RM1. 3960/34570/180 (2ˆ) – perché «implicato in truffe finanziarie».
E la Land Rover azzurra degli assalitori che fine ha fatto? Taormina non lo rivela. Non è tutto. A pagina 23 del resoconto parlamentare di Taormina si legge: «la dinamica dei fatti rappresentata dalla Polizia Scientifica è risultato perfettamente compatibile con quella descritta dal cittadino somalo individuato dalla Commissione come testimone». Il “signor B.”, l’asso nella manica utilizzato da Taormina, è nientemeno che una guardia del corpo di Giancarlo Marocchino. Singolare coincidenza: l’onorevole Taormina ha sigillato gli atti significativi per 20 anni col segreto di Stato ed in particolare gli esami testimoniali (13 settembre 2005) di Gianni De Michelis, Giampaolo Pillitteri, Francesco Forte e Fabio Fabbri.
Cronologia fatale - «Somalia: uccisi due giornalisti italiani a Mogadiscio - Mogadiscio 20 marzo. La giornalista del Tg 3 Ilaria Alpi e il suo operatore, del quale non si conosce ancora il nome, sono stati uccisi oggi pomeriggio a Mogadiscio nord in circostanze non ancora chiarite. Lo ha reso noto Giancarlo Marocchino, un autotrasportatore italiano che vive a Mogadiscio da dieci anni». Il caso Alpi-Hrovatin si apre con queste scarne righe, ancora frammentarie, battute alle 14,43 del 20 marzo 1994 dall’Ansa, agenzia giornalistica italiana.
Ansa, Roma, 20 marzo, ore 17,51: «E’ stata una vera e propria esecuzione. Hanno sparato per uccidere». Lo afferma il generale Carmine Fiore, comandante del contingente italiano in Somalia, raggiunto telefonicamente dall’Ansa.
Il 23 marzo ’94 il sostituto procuratore della Repubblica di Trieste, Filippo Gullotta, dispone l’autopsia per Hrovatin. Il referto stabilisce che Miran è stato ucciso da un solo colpo d’arma da fuoco del calibro di poco superiore ai 5 millimetri, sparatogli alla tempia destra, che ha attraversato il capo è si è conficcato alla base del cranio.
Il 4 maggio 1996 su disposizione del pm Giuseppe Pititto (secondo titolare dell’inchiesta) viene riesumata la salma di Ilaria ed effettuata la prima autopsia. La seconda perizia disposta da Pititto (medico-legale e chimico-balistica) viene consegnata il 31 gennaio 1998 dopo l’arresto di Hashi Omar Assan. In tale documento si afferma che il colpo mortale è stato sparato a distanza ravvicinata e che l’aggressore, in piedi sulla strada, sparò aprendo la portiera posteriore sinistra o dal finestrino.
Il 20 luglio 1999 si conclude il processo con l’assoluzione del giovane somalo.
Il 24 novembre 2000 si conclude il processo di appello contro Hashi Omar Assan, colpevole di omicidio premeditato. Pena: l’ergastolo.
Il 10 ottobre 2001 la Corte di Cassazione annulla parzialmente la sentenza della Corte d’Appello. Il processo in Corte d’Appello -dopo la sentenza della Cassazione- si chiude il 26 giugno 2002 con una sentenza di condanna a 26 anni di carcere ad Hashi Omar Assan (un classico capro espiatorio).
Le motivazioni vengono depositate il 22 luglio 2002.
Il 18 marzo 2006 ‘Il Manifesto’ pubblica l’ inchiesta - passata inosservata - ‘Il secondo omicidio di Ilaria targato Taormina’. Ignoti, alla ricerca di prove scottanti, il giorno seguente devastano l’abitazione capitolina del sottoscritto, che Taormina aveva pubblicamente minacciato.
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=6xzxQehkcBU#!
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=6xzxQehkcBU#!
Alfredo Luzi. |
Nessun commento:
Posta un commento
Gradita firma degli utenti.