1.11.24

SFASCISTI & STOGATI

 



di Gianni Lannes

Non solo privi di umanità, ma analfabeti in piena regola del diritto nazionale e internazionale? Il 4 ottobre 2024 la Grande sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea è intervenuta su un tema di fondamentale importanza: il Paese di origine sicuro. Si tratta di una sentenza che chiarisce alcuni principi fondamentali del diritto dell’Ue in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale per richiedenti asilo provenienti da Paesi di origine designati come sicuri.

Il ministro della cosiddetta Giustizia di regime tricolore Carlo Nordio ha detto e ripetuto pubblicamente che questa sentenza è, oltre che complessa e articolata, redatta in francese (per cui i giudici italiani avrebbero avuto difficoltà di comprensione). Non è vero. Quella in francese è la sintesi, ed è quella che ha indicato frettolosamente il Guardasigilli, colpevolizzando i giudici. Insomma, un atteggiamento superficiale o meglio inaccettabile per un ministro ed ex magistrato. Alla luce dei fatti emersi Nordio non si è impegnato molto nella ricerca del richiamato documento; bastava scendere di una riga nella pagina web dove la Corte pubblica sentenze e ordinanze, invece di sentenziare sciocchezze che oscurano lo Stato di diritto. In altri termini: una svista per osannare i campi di concentramento voluti dalla Meloni in Albania che offende i principi fondanti della Repubblica italiana. Nordio ha bisogno soltanto di un ripasso accelerato della lingua transalpina?

Questa sentenza rappresenta una svolta rispetto all’interpretazione più ampia dell’art.37 della Direttiva cui hanno fatto ricorso gli Stati membri finora. I giudici italiani ed europei saranno vincolati all’applicazione dei principi in essa sanciti, ponendo un importante criterio alla designazione di Paese sicuro. Le sentenze interpretative della Corte di giustizia Ue e i principi in esse enunciati sono vincolanti nel procedimento principale nell’ambito del quale è stata sollevata la questione pregiudiziale e per gli altri Stati Membri. Inoltre, la validità della sentenza è retroattiva: gli effetti retroagiscono sino al momento dell’entrata in vigore della norma oggetto dell’interpretazione.

Per ciò che concerne l’Italia, l’articolo 2-bis comma 2 del Decreto legislativo numero 25 del 2008, che stabilisce che “la designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone”, si trova chiaramente in contrasto con la sentenza C-406/22 della Corte. Secondo il decreto del Ministero degli Affari Esteri dello scorso 7 maggio, la lista di Paesi sicuri aggiornata al 2024 comprende 22 stati, 15 dei quali sono designati sicuri a eccezione di aree del territorio o specifici gruppi di persone. Pertanto, la legislazione italiana dovrà adattarsi alla più recente interpretazione giurisprudenziale, in modo tale da considerare “Paesi sicuri” solo quegli Stati che lo sono nella loro interezza, senza eccezioni di porzioni territoriali o categorie di persone.

Ciò avrà ripercussioni significative anche per il ricorso alla procedura accelerata e in particolare alla procedura accelerata di frontiera che l’Italia si appresta ad applicare in via massiccia con il Protocollo con l’Albania.

La possibilità per gli Stati membri UE di designare Paesi di origine sicuri sulla base di informazioni fornite da altri Stati membri, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti è prevista dall’articolo 37 della Direttiva 2013/32/UE, la quale, all’Allegato 1, chiarisce che “un Paese è considerato Paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e uniformemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.la Corte ritiene che l’articolo 37 della Direttiva 32/2013, in combinato disposto con l’Allegato I della stessa, deve essere interpretato nel senso che un Paese terzo non cessa di soddisfare i criteri che gli consentono di essere designato come Paese di origine sicuro per il solo fatto di invocare il diritto di derogare agli obblighi previsti dalla CEDU, ai sensi dell’articolo 15 di tale Convenzione, fermo restando che le autorità competenti dello Stato membro che ha effettuato tale designazione è tenuto a valutare in ogni caso se le condizioni per tale designazione permangono oppure no.

La Corte chiarisce che l’articolo 37 della Direttiva in combinato con l’Allegato I deve essere interpretato nel senso che non consente di designare un Paese terzo come sicuro qualora alcune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni materiali per tale designazione. In particolare, dal ricorso all’espressione “generalmente e uniformemente” e dal fatto che la legislazione si riferisce a un “Paese” e non a parti di esso, la Corte di Giustizia dell’UE ha concluso che un Paese può essere classificato come sicuro solo se tale sicurezza è garantita in modo generale e uniforme su tutta la sua superficie territoriale.

Anche se chiamata a rispondere sulla questione territoriale nello specifico, la Corte fornisce una lettura complessiva dell’articolo 37 della Direttiva 32/2013 ricordando che questo sostituisce il precedente articolo 30 della Direttiva 85/2005 in base al quale: “(…) 3. Gli Stati membri possono altresì mantenere la normativa in vigore al 10 dicembre 2005, che consente di designare a livello nazionale una parte di un paese sicura o di designare un paese o parte di esso sicuri per un gruppo determinato di persone in detto paese, se sono soddisfatte le condizioni di cui al paragrafo 2 relativamente a detta parte o a detto gruppo”.

La precedente Direttiva consentiva quindi la possibilità di designare un Paese sicuro con esclusione di parti di territorio o categorie di persone, ma tale possibilità è stata abrogata dalla Direttiva attualmente in vigore, sottolinea la Corte.

A proposito dell’esclusione di categorie di persone, al punto 68 della sentenza la Corte sottolinea che “la designazione di un Paese come paese di origine sicuro dipende (…) dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione quale definita all’articolo 9 della direttiva 95/2011, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti”.

Inoltre la Corte si pronuncia positivamente chiarendo che si rileva necessaria una verifica d’ufficio da parte del giudice del rinvio rispetto alla legittimità della designazione di un Paese come sicuro. L’articolo 46 della Direttiva 2013/32 riguarda il diritto a un ricorso effettivo per i richiedenti protezione internazionale. Al paragrafo 1, riconosce ai richiedenti il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice contro le decisioni relative alla loro domanda. Il paragrafo 3 definisce la portata di questo diritto a un ricorso effettivo, specificando che gli Stati membri devono garantire che l’organo giurisdizionale davanti al quale viene impugnata la decisione sulla domanda di protezione internazionale svolga “un esame completo ed ex nunc sia dei fatti che del diritto, compreso, se del caso, l’esame del diritto alla protezione internazionale”. Tale orientamento appare ulteriormente condivisibile alla luce del principio di leale cooperazione che gli Stati Membri devono rispettare nell’applicazione del diritto unionale, cosi come disposto dalla CGUE nel parere n. 1/09 dell’08/03/2011.

La Corte afferma che l’utilizzo della categoria del “Paese di origine sicuro” non può derivare automaticamente dalla mera inclusione di quel Paese nella lista dei Paesi di origine sicuri, ma deve essere oggetto di una valutazione attualizzata del giudice, da riferire (ex nunc) non al momento di adozione della lista ma al momento della decisione. Nel caso dell’Italia, il giudice nazionale, sulla base della nuova sentenza, potrebbe disapplicare il decreto interministeriale sui Paesi sicuri nella parte in cui viola l’obbligo imposto agli Stati membri ai sensi dell’art. 37, par. 2 e del considerando 48 della Direttiva di provvedere quando “a conoscenza di un cambiamento significativo nella situazione relativa ai diritti umani in un Paese designato come sicuro” ad un riesame di tale situazione e, ove necessario, rivedere la designazione di tale Paese come sicuro.


Riferimenti:

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/FR/TXT/PDF/?uri=CELEX:62022CJ0406

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2024/10/la-marina-militare-italiana-una-volta.html 

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2024/10/migrare-e-un-diritto-universale.html 

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=migranti 




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