Manfredonia, 2 gennaio 2017 - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) |
di Gianni Lannes
Non è un segreto anche se la maggioranza della popolazione italiana non lo sa; e non è la prima volta, basta scorrere le cronache dagli anni ’80 in poi, per accertare l’inquietante fenomeno. Latitudine 41.61678 N e longitudine 15.95111 E. Magari ai profani questi numeri non dicono niente, eppure sono coordinate interessanti per illuminare l’importazione di materia prima trasformata in cibo falsamente italiano.
Le ultime due navi sorprese a scaricare grano importato dall’estero sono il cargo Azov Coast proveniente dal porto russo di Yeysk, e la bulk carrier Matteo Br giunta da Nikolaev in Ucraina. Entrambe sventolano il vessillo maltese, ovvero una bandiera di comodo, ossia ombra. Ieri pomeriggio, 2 gennaio 2017, alle ore 15, erano entrambe ormeggiate al cosiddetto porto “alti fondali” di Manfredonia, un attracco fantasma, ufficialmente inagibile, e dunque secondario dove, singolare coincidenza, non c’erano controlli della Guardia di Finanza, eppure il loro arrivo era ben noto alla locale capitaneria di porto. Comunque, nelle piazzole di sosta i camion facevano la spola per caricare la mercanzia e tagliare la corda. Chi sono i clienti industriali nostrani che si approvvigionano così e spacciano infine pasta italiana solo di nome?
In fondo galleggia l'imbarazzo della scelta per sviare i già scarsi e superficiali controlli. Gli 865 chilometri di costa rendono la Puglia uno dei
punti più sensibili dell’import/export italiano. Basta individuare con comodo un approdo secondario, come per esempio Molfetta, è l'affare va in porto a gonfie vele. Tanto che importa la salute pubblica, se poi per salvare le apparenze i "grandi" marchi nostrani appiccicano la bandiera tricolore sulla merce in tavola, e l'illusione funziona.
Secondo l’ultimo rapporto di Greenpeace - “Nuclear
scars: The Lasting Legacies of Chernobyl and Fukushima” - l’inquinamento
nucleare dopo il disastro di Chernobyl dilaga in Ucraina e in Russia, proprio in
zone ampiamente coltivate a cereali. Oltre 10.000 chilometri
quadrati (1.000.000 di ettari) tra Russia, Bielorussia e Ucraina sono
inutilizzabili per qualunque tipo di attività e i 10 (chilometri quadrati)
attorno alla centrale lo saranno per 10.000 anni, a causa del plutonio che
impregna il terreno. Eppure, in queste stesse zone coltivano grano contaminato e lo vendono proprio nel belpaese. Insomma, il popolo italiano è trattato peggio delle cavie. Non è tutto: per non farci mancare nulla il
belpaese fa incetta dall’estero (in particolare dal Canada) di un prodotto
della terra trasformato nello stivale in pasta per bambini con cadmio e piombo,
spaghetti al glifosato, grano duro con micotossine cancerogene. Il grano tenero - spesso radioattivo - lo importiamo addirittura dalla Francia.
L’Italia produce poco più del 50 per cento del
proprio fabbisogno complessivo di cereali e semi oleosi. Per quanto riguarda il
grano, importiamo più del 50 per cento del grano tenero per pane e prodotti da
forno, e il 30/40 per cento del grano duro usato per fare la pasta.
Nel 2016 l’Italia ha circa quadruplicato il grano
di importazione dall’Ucraina rispetto all’anno precedente, passando dalle 139
mila tonnellate del 2014 a 600 mila tonnellate. L’ex nazione sovietica - nostro
importante fornitore di mais per mangimi, è anche il terzo fornitore di grano
per l’Italia. L’aumento di importazioni di grano dall’Ucraina risponde ad una
precisa strategia dell’Europa di fare nuovamente di questo gigante agricolo «il
granaio d’Europa». In questa direzione va l’accordo di libero scambio tra UE e
Ucraina, entrato in vigore il 1 gennaio 2016, che ha eliminato in parte i dazi
di importazione rendendo più competitivo il grano ucraino.
Il mercato del grano, e non solo, è ormai una
giungla senza regole. Siamo ormai a livelli così esagerati di importazioni che
il prezzo a cui mediatori e grandi industrie acquistano il grano sono diventati
tanto bassi da renderne sconveniente la coltivazione. Il rischio è che migliaia
di ettari coltivati anche con grani di elevata qualità vengano addirittura
abbandonati. È un rischio che porterebbe alla desertificazione di un territorio
(si pensi alle zone della Murgia tarantina) oppure a situazioni di dissesto
idrogeologico per la conseguente mancanza di cura del territorio. A beneficiare
del crollo del prezzo del grano sono stati esclusivamente grandi mediatori e
grosse ziende alimentari. Malgrado le riduzioni di oltre il 30 per cento della
materia prima grano, pane e pasta non hanno subìto alcuna riduzione di prezzo.
Attualmente, lamentano gli agricoltori, le importazioni di grano sono praticamente
libere, non regolamentate da leggi che in qualche modo tutelino produzione
italiana che garantisce sicuramente maggior controllo della filiera e quindi
maggiore sicurezza per i consumatori. I maggiori costi di mano d’opera e la
maggiore tassazione rendono i produttori nostrani meno competitivi rispetto a
quelli dei mercati esteri. La mancanza di obbligo da parte delle aziende di
pasta e altri farinacei di indicazione di provenienza del grano da esse
utilizzato non favorisce il consumatore che volesse scegliere consapevolmente
il prodotto da acquistare e innesca una spirale di discesa del prezzo del
cereale sempre più nefasta per gli agricoltori italiani. Il prezzo del grano lo
fanno, in pratica, le grandi multinazionali: i piccoli produttori possono solo
adeguarsi, se ci riescono, o sospendere la produzione.
Soluzioni? Promulgare immeditamente una legge che tuteli la
produzione italiana, per esempio con l’introduzione dell’obbligo, da parte
delle aziende alimentari, di indicare il luogo di origine della materia prima (grano). Si devono poi
mettere in atto strumenti e iniziative per valorizzare maggiormente la qualità
eccellente di alcune qualità di grano italico antico. Molto simile a quella del grano, per
l’importazione massiccia e senza regole, è la situazione del mercato del latte
e dell’olio. Anche qui crollo dei prezzi e mancanza di tutele per i consumatori
sulla tracciabilità della filiera che porta fino in tavola, prodotti lavorati
con materia prima proveniente da chissà quali paesi d’origine. Per la cronaca ignorata:
in Italia, negli ultimi cinque anni, hanno chiuso il 50 per cento degli
allevamenti. Tre mozzarelle su quattro vengono prodotte con latte importato
dall’estero. Che ci vuole a rendere obbligatorio un bollino d’ordine per il
grano?
riferimenti:
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2015/10/alimenti-radioattivi-dalla-francia-in.html
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/10/01/il-grano-di-chernobyl.html
http://www.termolionline.it/?p=142241
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2013/03/barilla-armi-in-pasta.html
http://www.governo.it/sites/governo.it/files/78097-10115.pdf
http://www.inuovivespri.it/2016/10/01/il-grano-canadese-che-arriva-in-europa-e-un-rifiuto-speciale-che-finisce-sulle-nostre-tavole/
http://www.inuovivespri.it/2016/10/01/il-grano-canadese-che-arriva-in-europa-e-un-rifiuto-speciale-che-finisce-sulle-nostre-tavole/
quali sono le marche di pasta contaminate?
RispondiEliminaPraticamente tutte quelle che trovi nei supermercati,è già stato fatto uno studio su campionature di queste paste al"Federico" di Napoli ed ha appunto constatato presenza di micotossine nella pasta
RispondiEliminaTutte le marche di pasta vendute nei supermercati,nonostante uno studio fatto all'università di Napoli che dimostra la presenza di radioattività e micotossine
RispondiEliminaIl dr A Ritieni docente di chimica dell'università Federico 2 di Napoli ha riscontrato micotossine La fonte di questo art è riportata dal fattoQuotidiano 20marzo 2016.
RispondiEliminaLe micotossine sono muffe che si formano per una cattiva conservazione. Dovreste essere più precisi.
RispondiElimina