Caro Gianni, in questa "notte della Repubblica e della
coscienza civile e politica degli italiani" mi balza alla memoria un
famoso discorso che un padre della nostra costituzione, Piero Calamandrei, uomo
politico e giurista, tenne per gli studenti dell'università di Milano nel 1955.
Sarebbe, a mio modesto parere, da studiare a memoria e da far
studiare in ogni scuola d'Italia.
Alle sue parole, che sono figlie di un uomo che ha vissuto la
tragedia della seconda guerra mondiale e di una grande passione politica e
civile, mi permetterti oggi di aggiungere che la nostra costituzione è nata non
soltanto sulle tombe dei partigiani, ma di tutti coloro che hanno speso e dato
la vita per difendere la patria, il popolo italiano, la libertà e la democrazia
aldilà di ogni appartenenza politica.
Questo per riuscire finalmente ad avere una visione oggettiva e
senza pregiudizi della storia italiana degli ultimi 100 anni ed evitare di fare
nuovamente il gioco di chi, da 70 anni a oggi, si è appropriato di un potere
non previsto dalla Costituzione e nascondendosi dietro la maschera di paladini
della giustizia, della democrazia e della libertà, disonorando il sangue
versato dai martiri della patria italiana di ogni epoca.
Un abbraccio e buon lavoro.
Stefano
Il discorso
agli studenti di Piero Calamandrei:
Il 26 gennaio 1955 ad iniziativa di un gruppo di studenti
universitari e medi, fu organizzato a Milano, nel salone degli affreschi della
Società Umanitaria, un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana,
inviando insigni cultori del diritto ad illustrare, in modo accessibile a
tutti, i principi morali e giuridici che stanno a fondamenta della nostra vita
sociale.Il corso è stato inaugurato e concluso da Piero Calamandrei e, non
senza viva commozione, Egli ritorna tra noi con la sua eloquenza nobile e pur
semplice, con dottrina profonda, scientificamente serena e civilmente
incitatrice. La parola del maestro indimenticabile suona, ancora oggi, come un
altissimo richiamo all’impegno scientifico e morale di tutti i giovani che si
apprestano ad una sempre rinnovata battaglia di civiltà, di progresso e di
libertà. Ecco la parte sostanziale di ciò che Egli disse introducendo il corso
e precisando i fondamenti storici della Nostra Costituzione.
Piero Calamandrei
Milano, 26 gennaio 1955
“L’articolo 34 dice: “i capaci ed i meritevoli, anche se privi
di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.” E se non
hanno mezzi! Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo, che è il più
importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo; non impegnativo per
noi che siamo al desinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire
davanti a voi. Dice così: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli,
di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese”.
E’ compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza con il proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica. Una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della Società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la Società. E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinnanzi!
E’ stato detto giustamente che le Costituzioni sono delle
polemiche, che negli articoli delle Costituzioni, c’è sempre, anche se
dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa
polemica di solito è una polemica contro il passato, contro il passato recente,
contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime. Se voi leggete
la parte della Costituzione che si riferisce ai rapporti civili e politici, ai diritti
di libertà voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la
situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà, che oggi sono
elencate, riaffermate solennemente, erano sistematicamente disconosciute:
quindi polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino, contro il
passato. Ma c’è una parte della nostra Costituzione che è una polemica contro
il presente, contro la Società presente. Perché quando l’articolo 3 vi dice “E’
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale
che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce, con questo,
che questi ostacoli oggi ci sono, di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un
giudizio, la Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo, contro
l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare, attraverso questo
strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la Costituzione ha messo
a disposizione dei cittadini italiani. Ma non è una Costituzione immobile, che
abbia fissato, un punto fermo.
E’ una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire, non voglio
dire rivoluzionaria, perché rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche
cosa che sovverte violentemente; ma è una Costituzione rinnovatrice,
progressiva, che mira alla trasformazione di questa Società, in cui può
accadere che, anche quando ci sono le libertà giuridiche e politiche, siano
rese inutili, dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità, per molti
cittadini, di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma
spirituale che, se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica,
potrebbe anch’essa contribuire al progresso della Società. Quindi polemica
contro il presente, in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare
questa situazione presente. Però vedete, la Costituzione non è una macchina che
una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta,
la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci
dentro il combustibile.
Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di
mantenere queste promesse, la propria responsabilità; per questo una delle
offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica,
indifferentismo, che è, non qui per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in
larghi strati, in larghe categorie di giovani, un po’ una malattia dei giovani.
La politica è una brutta cosa. Che me ne importa della politica. E io quando
sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia
storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà di quei due emigranti, due
contadini che traversavano l’oceano, su un piroscafo traballante. Uno di questi
contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che
c’era una gran burrasca, con delle onde altissime e il piroscafo oscillava. E
allora uno di questi contadini, impaurito, domanda a un marinaio “ ma siamo in
pericolo?” e questo dice “secondo me, se continua questo mare, tra mezz’ora il
bastimento affonda.” Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno,
dice: “Beppe, Beppe, Beppe”,….“che c’è!” … “Se continua questo mare, tra
mezz’ora, il bastimento affonda” e quello dice ”che me ne importa, non è mica
mio!” Questo è l’ indifferentismo alla politica. E’ così bello e così comodo.
La libertà c’è, si vive in regime di libertà, ci sono altre cose da fare che
interessarsi di politica. E lo so anch’io. Il mondo è così bello. E vero! Ci
sono tante belle cose da vedere, da godere oltre che ad occuparsi di politica.
E la politica non è una piacevole cosa. Però, la libertà è come l’aria. Ci si
accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di
asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e
che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai. E vi auguro, di non trovarvi
mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a
creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate
provare mai, ricordandovi ogni giorno, che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare,
dando il proprio contributo alla vita politica. La Costituzione, vedete, è
l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario
non sono belli, ma l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della
solidarietà umana, della sorte comune, che se va affondo, va affondo per tutti
questo bastimento.
E’ la Carta della propria libertà. La Carta per ciascuno di
noi della propria dignità d’uomo. Io mi ricordo le prime elezioni, dopo la
caduta del fascismo, il 6 giugno del 1946; questo popolo che da venticinque
anni non aveva goduto delle libertà civili e politiche, la prima volta che andò
a votare, dopo un periodo di orrori, di caos: la guerra civile, le lotte, le
guerre, gli incendi, andò a votare. Io ricordo, io ero a Firenze, lo stesso è
capitato qui. Queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni.
Disciplinata e lieta. Perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria
dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per
contribuire a creare, questa opinione della comunità, questo essere padroni di
noi, del proprio paese, della nostra patria, della nostra terra; disporre noi
delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese. Quindi voi giovani alla
Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere,
sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza
civica, rendersi conto, questo è uno delle gioie della vita, rendersi conto che
ognuno di noi, nel mondo, non è solo! Che siamo in più, che siamo parte di un
tutto, tutto nei limiti dell’Italia e nel mondo. Ora vedete, io ho poco altro
da dirvi.
In questa Costituzione di cui sentirete fare il commento nelle
prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro
passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie: son tutti
sfociati qui negli articoli. E a sapere intendere dietro questi articoli, ci si
sentono delle voci lontane. Quando io leggo: nell’articolo 2 “L’adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale” o quando
leggo nell’articolo 11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa
alla libertà di altri popoli”, “la patria italiana in mezzo alle altre patrie”
ma questo è Mazzini! Questa è la voce di Mazzini. O quando io leggo nell’articolo
8: “Tutte le confessioni religiose, sono ugualmente libere davanti alla legge”
ma questo è Cavour! O quando io leggo nell’articolo 5 ”La Repubblica, una ed
indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali” ma questo è Cattaneo! O
quando nell’articolo 52 io leggo, a proposito delle forze armate “L’ordinamento
delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”,
l’esercito di popolo, e questo è Garibaldi! O quando leggo all’art. 27 “Non è
ammessa la pena di morte” ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria!!
Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!! Dietro ogni articolo di questa Costituzione o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Quindi quando vi ho detto che questa è una Carta morta: no, non è una Carta morta. Questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione”.
Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!! Dietro ogni articolo di questa Costituzione o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Quindi quando vi ho detto che questa è una Carta morta: no, non è una Carta morta. Questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione”.
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