13.1.12

CAMPANIA D'AMIANTO

Non solo fabbriche e raffinerie: anche ospedali, abitazioni, scuole, manicomi, carceri e caserme. Un’autentica polveriera con tanto di miccia innescata. «La Campania presenta una delle situazioni di maggior concentrazione del rischio amianto in Italia, condizione di primato negativo resa ancor più allarmante da una mancata attuazione di un piano per la prevenzione e la fuoriuscita dal pericolo. Programma che doveva essere varato almeno dal 1992 in base alla legge 257 del ’92, come da tempo si dovevano attrezzare le aziende sanitarie locali per seguire quelle migliaia di lavoratori esposti al pericoloso minerale». L’Osservatorio nazionale amianto non esagera. La sua denuncia è cruda, rivela il presidente dell’Ona, l’avvocato Ezio Bonanni: «In Italia sono dislocate numerosissime imprese le cui lavorazioni implicano ancora oggi l’uso di materiali contenenti amianto, con conseguenti danni alla salute dei dipendenti e alla popolazione civile esposta». L’elenco delle aziende - secondo una ricognizione della Cgil - dove la presenza della fibra cancerogena supera il livello di guardia è corposo. Si parte dal comparto ferroviario: dalla famigerata Sofer (Breda-Menarini), all’Ansaldo, all’Avis, alla Firema, alla Sepsa, alle Ferrovie dello Stato, all’Isochimica di Elio Graziano. Ma coinvolti sono un po’ tutti i settori: il navalmeccanico (Italcantieri, Camed, aziende e aziendine dell’indotto portuale, compagnie di navigazione), il siderurgico (Ilva, Wagi, Partenofond), il petrolchimico (Q8), il cemento-amianto (Eternit, Nuova Sacelit, Tecnotubi). Soltanto a Napoli si va da numerosi edifici scolastici ad altrettanti nosocomi, dai quartieri popolari all’ex palazzone Sip nel bel mezzo della città. E il pericolo amianto non risparmia nemmeno l’ambito pubblico: dall’ex Atan (oggi Azienda napoletana mobilità) all’Actp. E pensare che la circolare 45 del Ministero della Sanità predisponeva già nel 1986 una rilevazione sempre a cura delle Regioni, di scuole e strutture sanitarie in cui vi fosse presenza del minerale letale. Invece non n’è fatto niente. Con i rischi facilmente comprensibili e, per sovrapprezzo, con le cifre dell’Istituto superiore di Sanità, che indicano la Campania come la regione più a rischio per il mesotelioma, l’incurabile patologia che colpisce la pleura e il peritoneo. Sono numerose le leggi e le circolari che in passato hanno stabilito anche in Italia direttive per la fuoriuscita dal rischio amianto.
 La regione Campania non ha saputo o voluto approntare il piano regionale né altre misure di prevenzione, nonostante le continue sollecitazioni. La montagna ha partorito il classico topolino, licenziando il 14 marzo ’97 (d.g.r. 1078, approvata il 29 ottobre ’98) la costituzione dell’unità operativa regionale amianto. Insomma, un organismo di carta. «Non solo a tutt’oggi è stato disatteso il censimento delle strutture edilizie scolastiche e ospedaliere contenenti amianto, ma non sono stati attivati nemmeno specifici settori di vigilanza nelle Asl e, non è stato realizzato ancora un piano regionale di protezione dell’ambiente, di decontaminazione, di smaltimento e bonifica ai fini della difesa dai pericoli derivanti dal minerale, come previsto dall’articolo 10 della normativa 257» denuncia l’Ona. Una legge quadro che andava applicata già nella seconda metà del 1992, l’anno della sua approvazione. Il piano doveva essere redatto da ciascuna Regione entro il 27 settembre ’92 e doveva prevedere una completa mappatura nel territorio regionale delle imprese utilizzatrici d’amianto, il censimento degli edifici contenenti la sostanza allo stato libero o in matrice friabile, i siti da utilizzare per lo smaltimento dei rifiuti, la predisposizione di specifici corsi di formazione professionale per gli addetti alle attività di bonifica.

Bassolino - presentava un esposto alla magistratura per denunciare l’abbandono di 7700 tonnellate di amianto a cielo aperto nell’area dell’ex Eternit a Bagnoli: «amianto esposto agli agenti atmosferici e praticamente nell’assenza totale di qualsiasi forma di sconfinamento, sì da consentire che i bambini vi avessero liberamente accesso per giocarvi a pallone, e barboni vi trovassero ricovero, senza contare l’alto rischio di contaminazione ambientale». Cinque mesi dopo la stessa associazione segnalava alla Procura della Repubblica di Napoli il ritrovamento di amianto occultato nel sottosuolo dell’area industriale dimessa della Bagnoli spa, ex Italsider. La denuncia verrà confermata dalla testimonianza di lavoratori della medesima società per azioni che racconteranno di essere stati obbligati a manipolare ancora nel 1998, senza alcuna precauzione e senza alcuna forma di messa in sicurezza dell’area inquinata, necessaria ad evitare dispersione di fibre nel territorio circostante la fabbrica, durante le operazioni di smantellamento degli impianti. In quell’esposto i VAS hanno denunciato «lo smaltimento illegale di circa 1600 tonnellate di amianto, di cui si ignora la collocazione attuale, ma che, dall’esame attento delle relazioni ufficiali rese dalla Bagnoli spa e dalla ex Ilva (incaricate della bonifica) risultano misteriosamente mancare all’appello». A Bagnoli l’aspetto più inquietante è l’alto rischio al quale è stata esposta tutta la popolazione civile, quando senza alcuna precauzione atta ad evitare l’aerodispersione e la ricaduta sul territorio circostante, sono state fatte esplodere ciminiere ed altri manufatti contenenti asbesto. Ma quali sono le patologie connesse? E quante persone sono da considerarsi a rischio? «Impossibile quantificare con precisione coloro che sono stati colpiti dagli effetti micidiali derivanti dal contatto con l’amianto - osserva il dottor Fernando D’Angelo, Presidente Nazionale di Medicina Democratica - Com’è pure impossibile azzardare un numero esatto di esseri umani in pericolo, considerando il lungo periodo di incubazione (anche 30 anni). Certo, si tratta di cifre molto elevate». L’universo scientifico prevede che l’asbesto provocherà in Europa - con asbestosi, mesoteliomi e carcinomi - il maggior numero di morti nei prossimi dieci anni.





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