5.11.19

ILVA: FABBRICA DI MORTE!

  foto Gilan

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di Gianni Lannes

Una landa di malati e morti viventi. Insomma, vedi Taranto e te ne vai all'altro mondo. Nel belpaese della fantapolitica eterodiretta dall'estero va pure in onda il recesso dal contratto. Il ministro per lo Sviluppo Economico ha fatto sapere che «il governo non consentirà la chiusura dell’Ilva. Non esistono presupposti giuridici».

Invece di avviare la riconversione ecologica che assicurerebbe lavoro per i prossimi 20 anni con ricadute occupazionali nel turismo sostenibile dalla Natura, invece di bonificare il territorio pesantemente inquinato per volontà dello Stato italiano annientando la salute di migliaia di persone pur di assicurare il profitto privato a pochissimi miracolati, invece di chiudere a Taranto l'acciaieria che detiene il record europeo nella produzione delle micidiali diossine cancerogene unitamente a tanti altri veleni, così come i ras del movimento 5 stelle per anni avevano promesso in campagna elettorale ai cittadini creduloni, i telecomandati politicanti grulpiddini, consentono ad una multinazionale straniera di fare i comodi suoi con gli operai e la popolazione della regione Puglia.

La fabbrica uccide cittadini e operai ed è interamente illegale come dimostra lo stesso management di Arcelor Mittal che senza una immunità penale speciale, che esisteva in Europa solo per loro e che non è consentita a nessun’altra azienda, intima con arroganza allo Stato italiano di riprendersi la fabbrica entro 30 giorni. Sempre in loco, in tribunale, è in corso il tardivo processo penale per l'inquinamento provocato dai Riva, che vede imputato anche l'ex governatore Nichi Vendola. Quanto a Di Maio può soltanto dimettersi da ministro (vale a dire: sparire per sempre dalla scena politica), chiedere scusa agli italiani, e andare finalmente a lavorare, imparando almeno la lingua italiana. Proprio l' 8 settembre 2018, con tono trionfalistico il capetto dei 5 stelle, tale Di Maio, dichiarò: "Abbiamo risolto la crisi dell'Ilva in tre mesi".




ArcelorMittal ha fatto notare che anche gli altri due altoforni in funzione dovrebbero adottare "ragionevolmente e prudenzialmente" le precauzioni tecniche previste per l'altoforno 2. In tal modo l'azienda ammette implicitamente che anche gli altri due altoforni non adottano le tecnologie per garantire la sicurezza per i lavoratori.
 
La messa a norma di tutti gli impianti e l'adozione per gli altoforni delle migliori tecnologie disponibili doveva terminare nel luglio 2014, secondo il cronoprogramma dell'Autorizzazione Integrata Ambientale ILVA. I lavori, cominciati pro forma nel 2012, hanno segnato continuamente il passo in una sceneggiata che ha rasentato il grottesco. Se non fosse avvenuta l'adozione delle migliori tecnologie disponibili, la prima legge Salva Ilva del dicembre 2012 prevedeva il fermo degli impianti, che attualmente sono sotto sequestro penale in virtù dei provvedimenti della magistratura che sta processando i vertici dell'ILVA. Con sfrontata determinazione i vari governi hanno cambiato quella legge con proroghe e deroghe che hanno rendo poi necessaria l'adozione dell'immunità penale in quanto gli attuali impianti sono in funzione a rischio e pericolo di chi li fa funzionare. Permangono numerose carenze ed emerge la mancanza di requisiti minimi importanti quali i certificati di prevenzione incendi degli altoforni, delle cokerie e degli altri impianti ad alto rischio.

In queste condizioni è stato ridotto lo stabilimento siderurgico più grande d'Europa con una politica di proroghe e deroghe che è servita solo a tirare a campare e a spostare sul governo successivo la "patata bollente". Abbiamo assistito a uno scaricabarile continuo che non ha fatto onore allo Stato Italiano che è infatti stato condannato dalla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo) per non aver protetto i cittadini di Taranto.

ILVA vanta impianti a dir poco pericolosi e fuori norma che richiederebbero investimenti mai fatti e che - date le ingenti perdite economiche - non verranno mai realizzati. Più di tutto: il siderurgico è assolutamente incompatibile con il territorio. Volevano proseguire con uno scudo penale in questo andazzo, ma ormai la sceneggiata è arrivata al suo termine ed emerge tutta la vergogna di uno Stato che - governo telecomandato dopo esecutivo eterodiretto - non ha protetto la popolazione di Taranto, forse perché troppo a sud.

ArcelorMittal aveva fatto pressioni durante l'estate e Di Maio (allora ministro al MISE) dopo le proteste della multinazionale, era intervenuto ad agosto sull'art. 2 del d.l. del 2015, ampliando lo spettro delle condotte che non potevano far sorgere responsabilità penale per gli affittuari e gli acquirenti (ossia ArcelorMittal).

Tuttavia in sede di conversione del suddetto decreto, una volta cambiato il governo, si è tolta la modifica di agosto, sopprimendo l'articolo che ampliava lo scudo penale. 

Guarda caso il passaggio dal "grande scudo penale" al "piccolo scudo penale" entra in vigore proprio domani 5 novembre, ecco il perché della decisione di ArcelorMittal di lasciare l'ILVA. Ma a ben vedere vi sarebbe stata una più che probabile sentenza della Corte Costituzionale, nuovamente interpellata dal GIP, e una più che prevedibile richiesta di spegnimento dell'altoforno numero 2 da parte della magistratura che aveva dato l'ultimatum definitivo per dicembre, a fronte del quale i lavori previsti di messa a norma risultano attualmente non eseguiti.