foto Gianni Lannes © |
di
Gianni Lannes
Favole,
racconti, canti, fiabe e riti, più delle religioni, sono un patrimonio comune e migrante del vecchio
continente. Una volta l'Europa era una ninfa che, come ricorda il
mito (padre e matrice della fiaba), viaggiava verso il nord
provenendo da sud, collegando così le montagne ed il mare, il cuore
nordico delle culture europee con le vicende di un Mediterraneo che
allora, come ora, dovrebbe essere capace di ospitare, ascoltare e
dialogare.
© foto Gianni Lannes |
Da ragazzo dopo aver letto il “Manifesto di Ventotene”, elaborato da Altiero Spinelli, ho sognato il vecchio continente magico e razionale, variegato e unito, fatto di tante voci e canti di popoli, ma non risuonante di merci, armi, finanza, euri sonanti e divisioni di muri, speculazione e imposizione. Alla maturità del liceo classico, nel lontano 1984, scelsi non a caso la traccia sull'unione europea. Ci ho creduto fino a quando, tanti anni fa, ho messo il naso da giornalista a Bruxelles e Strasburgo per toccare con mano il potere delle multinazionali; quei sodalizi criminali che dettano legge attraverso burocrati e politicanti telecomandati dai soldi.
Ho
sempre pensato all'idea di un'Europa capace di svolgere il proprio
ruolo nella storia del mondo, ma senza guerra di conquista; capace di
immaginare una propria missione di pace che significasse dialogo tra
culture diverse e riconoscimento del valore di ciascuna. Così non è
stato. Ma forse non tutto è perduto. Ecco cosa ci unisce realmente:
l'immaginario collettivo intrecciato dalla storia comune.
foto Gianni Lannes © |
La
fiaba popolare europea è la voce poetica dello spirito delle nazioni
e dei popoli oralmente narranti, che vi hanno racchiuso come in un
magico scrigno, i loro simboli, i loro sogni, le forme religiose e
rituali, ma anche le conoscenze tradizionali, gli usi civici, il
tramandarsi di antichi mestieri, i legami di solidarietà e
cooperazione, nonché le interazioni complesse con madre Natura, con
gli animali, gli alberi, il mare e le stelle.
Ogni
popolo, anzi ogni microcosmo di comunità ha così elaborato una
propria fiaba, modulandola in base al proprio genius loci,
arricchendola, come dicono i Grimm “dell'odore della propria terra e della luce
del proprio cielo”. Vale a dire: ogni popolo ha edificato una
propria identità narrativa su cui ha fondato - anche quando la
nazione non era ancora uno Stato - un'identità politica, un orizzonte
etico, una coesione civile.
Ogni
popolo però, ha viaggiato e ospitato. La civiltà infatti non
cammina e non si evolve se si impiantano muri, confini e barriere. La
civiltà esige una via di terra o di mare, ma sempre aperta. Perciò
ogni fiaba ha migrato, ha seguito le tracce dei mercanti, le
transumanze dei pastori, le carovane dei pellegrini, le barche dei naviganti. Quando si è fermata nei porti, nelle piazze, nelle cucine, nelle
osterie e nelle cantine, si è mescolata e per contaminare, così
che, ha scritto Calvino “il mio lupo è diventato il tuo lupo, e
la mia la tua lanterna”.
L'ospitalità
narrativa ha offerto anche una struttura universale, che
attesta appunto l'universalità della vicenda umana nella sua
formazione. Un viaggio, la vita, pieno di prove, e in cui nessuno si
salva da solo, come spiegò Gramsci imprigionato in carcere dal
fascismo, traducendo la fiaba di Giovannino senza paura, presa a
modello di un sapere comunitario, contro un mondo improvvisamente
divenuto “grande e terribile”.
La
strada della fiaba è quindi impastata di identità e differenze, di
radici e di comunioni, di derive e di approdi. Insomma, è la linea,
o meglio l'architrave reale su cui si è costruita spontaneamente
l'Europa.