16.11.19

FIABA: ARCHITRAVE D'EUROPA

foto Gianni Lannes ©


di Gianni Lannes

Favole, racconti, canti, fiabe e riti, più delle religioni, sono un patrimonio comune e migrante del vecchio continente. Una volta l'Europa era una ninfa che, come ricorda il mito (padre e matrice della fiaba), viaggiava verso il nord provenendo da sud, collegando così le montagne ed il mare, il cuore nordico delle culture europee con le vicende di un Mediterraneo che allora, come ora, dovrebbe essere capace di ospitare, ascoltare e dialogare.

 
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foto Gianni Lannes


Da ragazzo dopo aver letto il “Manifesto di Ventotene”, elaborato da Altiero Spinelli, ho sognato il vecchio continente magico e razionale, variegato e unito, fatto di tante voci e canti di popoli, ma non risuonante di merci, armi, finanza, euri sonanti e divisioni di muri, speculazione e imposizione. Alla maturità del liceo classico, nel lontano 1984, scelsi non a caso la traccia sull'unione europea. Ci ho creduto fino a quando, tanti anni fa, ho messo il naso da giornalista a Bruxelles e Strasburgo per toccare con mano il potere delle multinazionali; quei sodalizi criminali che dettano legge attraverso burocrati e politicanti telecomandati dai soldi.

Ho sempre pensato all'idea di un'Europa capace di svolgere il proprio ruolo nella storia del mondo, ma senza guerra di conquista; capace di immaginare una propria missione di pace che significasse dialogo tra culture diverse e riconoscimento del valore di ciascuna. Così non è stato. Ma forse non tutto è perduto. Ecco cosa ci unisce realmente: l'immaginario collettivo intrecciato dalla storia comune.

foto Gianni Lannes
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La fiaba popolare europea è la voce poetica dello spirito delle nazioni e dei popoli oralmente narranti, che vi hanno racchiuso come in un magico scrigno, i loro simboli, i loro sogni, le forme religiose e rituali, ma anche le conoscenze tradizionali, gli usi civici, il tramandarsi di antichi mestieri, i legami di solidarietà e cooperazione, nonché le interazioni complesse con madre Natura, con gli animali, gli alberi, il mare e le stelle.

Ogni popolo, anzi ogni microcosmo di comunità ha così elaborato una propria fiaba, modulandola in base al proprio genius loci, arricchendola, come dicono i Grimm “dell'odore della propria terra e della luce del proprio cielo”. Vale a dire: ogni popolo ha edificato una propria identità narrativa su cui ha fondato - anche quando la nazione non era ancora uno Stato - un'identità politica, un orizzonte etico, una coesione civile.

Ogni popolo però, ha viaggiato e ospitato. La civiltà infatti non cammina e non si evolve se si impiantano muri, confini e barriere. La civiltà esige una via di terra o di mare, ma sempre aperta. Perciò ogni fiaba ha migrato, ha seguito le tracce dei mercanti, le transumanze dei pastori, le carovane dei pellegrini, le barche dei naviganti. Quando si è fermata nei porti, nelle piazze, nelle cucine, nelle osterie e nelle cantine, si è mescolata e per contaminare, così che, ha scritto Calvino “il mio lupo è diventato il tuo lupo, e la mia la tua lanterna”.

L'ospitalità narrativa ha offerto anche una struttura universale, che attesta appunto l'universalità della vicenda umana nella sua formazione. Un viaggio, la vita, pieno di prove, e in cui nessuno si salva da solo, come spiegò Gramsci imprigionato in carcere dal fascismo, traducendo la fiaba di Giovannino senza paura, presa a modello di un sapere comunitario, contro un mondo improvvisamente divenuto “grande e terribile”.

La strada della fiaba è quindi impastata di identità e differenze, di radici e di comunioni, di derive e di approdi. Insomma, è la linea, o meglio l'architrave reale su cui si è costruita spontaneamente l'Europa.