Mediterraneo - foto Gilan |
di Gianni Lannes
Un anno fa (14 giugno 2023) la strage a largo del Peloponneso, a 47 miglia a sud di Pylos: un peschereccio sovraccarico con circa 700 persone a bordo si ribaltò a seguito dell'intervento di una motovedetta della Guardia Costiera ellenica che non prestò alcun soccorso. In quella tragedia si contarono soltanto 104 sopravvissuti. Il mare ha restituito 82 corpi. Tutti gli altri, comprese le donne e i bambini ammassati nella stiva, risultano ancora oggi "dispersi". Non si trattò di un episodio isolato, bensì di una prassi consolidata e tacitamente approvata. Questo è il risultato delle politiche migratorie dell'Unione europea, sempre più ossessivamente concentrate sulla riduzione del diritto d'asilo e sul contrasto alla mobilità delle persone, potenziali richiedenti protezione internazionale. Proprio l'Europa con lo struttamento economico di altri continenti, nonché la vendita di armi a regimi autoritari e corrotti, alimenta tali tragedie. Prendiamo a riferimento paradigmatico il caso documentato di Meloni e Salvini: non solo il piano Mattei, ma tutte le iniezioni a grandi dosi di razzismo nel corpo sociale.
La mobilità è un diritto universale. Questo è il campo della lotta in corso, definito dal contrasto tra l'interesse degli Stati a usare le migrazioni in modo utilitaristico, ovvero come manodopera a basso costo economico o come oggetto-nemico per costruire il consenso sociale sulla base della paura e/o del razzismo e l'interesse dei potenziali richiedenti asilo a cercare luoghi sicuri, lontani da guerre, minacce e lutti, anche a rischio della vita.
Tale situazione è alimentata dalle politiche dell'Ue e dei suoi Stati membri in modo da erodere diritto e diritti, mediante dichiarazioni pubbliche, memorandum, accordi bilaterali, condotte di polizia in deroga ai trattati della medesima Unione.
Lungo l'intera area orientale del continente europeo, dai paesi della ex Jugoslavia alla Turchia, incluse Albania, Grecia ed Italia, si dispiega un sistema di violenza strutturale contro le persone in fuga dalla disumanità, attraverso una molteplicità di pratiche basate sul sopruso degli Stati.
Sul corpo dei protagonisti delle migrazioni governati come minacce da tenere lontane o abbandonare in alto mare si è sviluppato un vocablario della repressione, impastato di parole quali respingimenti, rimpatri, riammissioni, espulsioni, esternalizzazioni, controllo delle frontiere esterne, illegalità, irregolarità, interdizione dei movimenti secondari, centri di detenzione preventiva (hotspot), utile per allestire un'ideologia autoritaria a sostegno della legittimazione delle violenza istituzionale contro gli esseri umani indesiderati, poiché non utili al momento.
Nel vecchio continente è ormai evidente la centralità delle pratiche di confinamento degli indesiderati. Esse determinano un distingue tra chi può passare da un territorio a un altro senza percepire l'esistenza di un confine e chi invece, è costretto a sopravvivere nella frontiera (trasformata in prigione). Questa separazione tra esseri umani legittimi e esseri umani indesiderati va per sempre concretamente bandita dal consesso civile.
Riferimenti:
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=migranti
Un quadro obiettivo ed implacabile del comportamento disumano degli Stati nei confronti del fenomeno migratorio.
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