22.5.24

GIOVANNI FALCONE: “VALERIO FIORAVANTI È L'ASSASSINO DI PIERSANTI MATTARELLA”

 

Piersanti e Sergio Mattarella (Palermo, 6 gennaio 1980) - foto Letizia Battaglia

 


 

di Gianni Lannes

La verità prima o poi viene a galla, basta cercarla per farla emergere e mostrarla ancora una volta anche se giace sotto gli occhi di tutti. Un'unica pista annerita e infarcita del peggio sulla piazza tricolore: Nar, banda della Magliana, Cosa nostra, Stefano Delle Chiaie, Bruno Contrada, Sisde, solo per indicare alcuni riferimenti probanti che ancora attualmente inquinano e condizionano la fragile democrazia italiana. L'ultima indagine di Giovanni Falcone condusse il magistrato ad individuare l'assassino di Piersanti Mattarella. Giovanni Falcone aveva dato un nome e un volto a quegli spietati criminali che avevano ucciso il Presidente della Regione Siciliana davanti alla sua famiglia, nel giorno dell’Epifania del 1980. Si tratta di Valerio Fioravanti, ritenuto il killer dagli occhi di ghiaccio rimasto impresso nella memoria della vedova Irma Chiazzese, e di Gilberto Cavallini, ritenuto il guidatore dell’autovettura usata dai due sicari. Nell'audizione dinanzi alla Commissione antimafia del 22 giugno 1990 (declassificata e resa pubblica soltanto il 14 luglio 2021), Falcone ricostruì dettagliatamente la collaborazione dell'esponente dei Nar:

“Noi eravamo al punto in cui stava faticosamente emergendo la realtà estremamente singolare di Cristiano Fioravanti, che era passato attraverso approssimazioni progressive da un convincimento che il fratello Valerio fosse coinvolto nell'omicidio Mattarella alla affermazione sicura, convinta perché diceva che era stato il fratello stesso a dirglielo. Cristiano Fioravanti ci diede anche la spiegazione: si era deciso a dire quelle cose perché suo fratello negava di essere l'autore della strage di Bologna e dell'omicidio Mattarella”.

 

 



Ora (22 maggio 2024) risulta ufficialmente: "Iter in corso". Infatti dal 20 ottobre 1989 l'interrogazione parlamentare numero 3/02006 - presentata da 4 deputati indipendenti - attende una risposta dal governo italiano: “Sulle valutazioni del Governo in merito all'incriminazione da parte del magistrato palermitano dottor Falcone del terrorista nero Giusva Fioravanti per l'omicidio Mattarella”.



Da tempo Giuseppe Valerio Fioravanti è a piede libero: per lui il 2 agosto 2007 - con l'interpellanza 2/00695 - si sono scomodati - per negare l'evidenza giudiziaria - camerati che oggi siedono al governo, come Giorgia Meloni e Adolfo Urso, pure a capo del Senato come Ignazio La Russa, in relazione alla strage di Bologna. Persone uccise: circa un centinaio, mai pentito dei suoi crimini. Giuseppe Valerio Fioravanti per gli innumerevoli omicidi realizzati e per le stragi commesse (ad esempio, quella di Bologna) ha accumulato ben 8 ergastoli e appena 143 anni e 8 mesi di reclusione, eppure, non è in prigione. Il camerata Giusva è in circolazione. Non a caso l'interrogazione a risposta orale numero 3/01857 datata 18 novembre 2015 a firma dell'allora deputato Paolo Bolognesi (presidente dell'associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980) non ha mai avuto risposta dal governo italiano, alla stregua dell'interrogazione a risposta scritta numero 4/05867 presentata da Daria Bonfietti e Guido Calvi il 15 maggio 1997. 

 





Anche il brigatista rosso Mario Moretti che di ergastoli ne ha sommati ben 6, da tempo è fuori dal carcere come tanti altri assassini seriali e stragisti prezzolati. Uno sconto di Stato per la bocca cucita: come sempre dalla cosiddetta Unità d'Italia.



 

 

C'è un buco nero con cui non si sono fatti i conti. Giusva Fioravanti qualche tempo fa ha pubblicamente dichiarato: “Sono un assassino e ho pagato”. Cosa? Ma quando mai. Per il delitto di Piersanti Mattarella (a tutt'oggi, un omicidio giudiziariamente irrisolto) l'accusa fondata è quella avanzata dall'allora giudice istruttore Giovanni Falcone, trucidato da un apparato segreto dello Stato tricolore, il 23 maggio 1992 a Capaci, con la copertura a livello di manovalanza depistatoria di Cosa nostra. L'omicidio di Piersanti Mattarella, presidente della Regione Siciliana, venne commesso domenica 6 gennaio 1980 a Palermo. Mentre si recava a messa con la moglie Irma Chiazzese, la figlia Maria e la suocera Franca. Le indagini identificarono negli esecutori materiali Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, terroristi di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Il processo che ne seguì però non riuscì a determinare univocamente gli esecutori materiali dell'omicidio. La sentenza della Corte d'Assise di Bologna del 7 gennaio 2021 che ha condannato all'ergastolo Gilberto Cavallini per la strage alla stazione ferroviaria felsinea, avvalora i riscontri di Falcone e mette in discussione la frettolosa assoluzione dei due assassini neofascisti.



La pista dei giovani estremisti neofascisti assoldati dalla mafia siciliana attraverso la Banda della Magliana era stata intercettata da Giovanni Falcone, che indagò Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini per omicidio e ne chiese l'arresto. Era stata confermata dalla moglie di Piersanti, Irma Chiazzese, che riconobbe in Giusva l'individuo che si era avvicinato al finestrino della Fiat 132 guidata da Piersanti e lo aveva freddato. Ma il vero rivelatore degli esecutori fascisti e primo accusatore del fratello Giusva fu Cristiano Fioravanti, per cui il 4 agosto 1982 si era fatto avanti con l'atto parlamentare 5/03376 nientedimeno che il mammasantissima nazifascista Giorgio Almirante (ideatore della fiamma tricolore). Andando a rileggere i molteplici interrogatori e le missive indirizzate da Cristiano Fioravanti a Giovanni Falcone - presenti nell'archivio Pio La Torre custodito alla Camera - si mettono a fuoco figure della destra eversiva e trame oscure.

 

 

Proprio Cristiano Fioravanti, fratello minore di Giusva, a diversi pm (di Rovigo, Bologna, Firenze, Roma e Palermo) e in diversi interrogatori sempre più sofferti a partire dal 1982 rivelerà: “Mio fratello ha commesso un omicidio politico a Palermo, in presenza della moglie del politico, tra gennaio e marzo 1980”. Dettaglierà: “Mio fratello e Gilberto Cavallini hanno fatto quell'omicidio per ottenere favori per l'evasione di Concutelli dal carcere dell'Ucciardone”. Infine: “È stato Valerio a dirmi che avevano ucciso un politico siciliano... C'è stata una riunione in casa di Ciccio Mangiameli, di Terza posizione, cui aveva partecipato uno della Regione Sicilia che aveva dato le dritte”. La prima rivendicazione dell'omicidio Mattarella fu del Nucleo fascisti rivoluzionari, vicini alla sezione Prati del Msi romano. Al pm di Bologna che indagava sulla strage della stazione, Cristiano Fioravanti ha evidenziato “il rapporto tra Giusva e la Banda della Magliana”. Nel 1987 raccontò tutto al giudice istruttore di Palermo. Altri testi della destra eversiva (Stefano Soderini) hanno raccontato di un Giusva Fioravanti autore materiale dell'omicidio Mattarella e di Carminati basista. Per l'omicidio Mattarella, Valerio Giusva Fioravanti è stato assolto, Massimo Carminati non è mai andato a processo. Sono stati condannati all'ergastolo i boss mafiosi Riina, Greco, Brusca, Provenzano, Calò, Madonia e Geraci. Solo i mandanti.



All'epoca era considerato uno dei più pericolosi terroristi italiani. Dopo una breve carriera di attore che gli diede notorietà alla fine degli anni Sessanta, iniziò la militanza politica nel Movimento Sociale Italiano e, intorno alla metà degli anni Settanta, decise di abbracciare la lotta armata fondando i NAR, sodalizio con cui sarà protagonista di una stagione di violenze terminata solo con il suo arresto, avvenuto a Padova, il 5 febbraio del 1981. Processato e riconosciuto colpevole di diversi reati, tra cui l'omicidio di 95 persone (85 nella strage di Bologna - da lui negata - più altri 8, di cui 4 come esecutore materiale con altri, di cui si riconobbe colpevole), venne condannato, complessivamente, a 8 ergastoli, 134 anni e 8 mesi di reclusione. Non si è mai pentito dei reati commessi. Nel luglio del 1999 (dopo 18 anni anziché 20) ottiene la semi-libertà e nel 2004 la liberazione condizionale. Nell'aprile del 2009, dopo 26 anni di carcere, 5 di libertà vigilata e a 31 dall'arresto, è completamente libero dalla pena cumulativa come previsto dall'incredibile legge Gozzini.




Ma torniamo a focalizzare l'attenzione sull'omicidio di Piersanti Mattarella, attraverso le dichiarazioni di Leonardo Sciascia riportate sulla rivista Notizie Radicali (numero 5 del 7 gennaio 1980): “Ritiene che l’assassinio del Presidente della Regione siciliana Pier Santi Mattarella non sia opera della mafia. Lo scrittore e parlamentare radicale Leonardo Sciascia, in relazione all’omicidio di Pier Santi Mattarella, ha rilasciato al “Corriere della Sera” la seguente dichiarazione”:

«Io sono stato tra i pochissimi a credere che Michele Reina, segretario provinciale della DC, fosse stato assassinato dai terroristi. Terroristi magari “sui generis”, come qui ogni cosa; ma terroristi. Può darsi abbia allora sbagliato, ma non credo fossero assolutamente nel giusto coloro che invece erano sicuri che Reina fosse stato ucciso dalla Mafia. Oggi, di fronte all’assassinio del presidente della Regione, Mattarella, quella mia ipotesi, che quasi mi ero convinto ad abbandonare, mi pare torni ad essere valida. Non mi pare insomma di trovarmi di fronte ad un delitto di Mafia, anche se nessun dato di fatto possa in questo momento appoggiare la mia impressione. Non sono, d’altra parte, d’accordo con coloro che lo vedono come un delitto terroristico a partecipazione mafiosa. O è mafia, o è terrorismo. O mafia camuffata da terrorismo o terrorismo che, inevitabilmente o confortevolmente, ci si ostina a vedere come mafia».



Addirittura il “Maestro Venerabile” Licio Gelli, capo della loggia P2 (a cui era anche affiliato Silvio Berlusconi con la tessera numero 1816), ebbe a dichiarare, in una sorprendente intervista rilasciata alla giornalista Marcella Andreoli per il settimanale Panorama del 13 agosto 1989, in risposta a una domanda sulle indagini dei magistrati di Palermo sul delitto Mattarella e, specificatamente, sul ruolo del terrorista nero Valerio Fioravanti: «Gli inquirenti non possono scoprire ogni responsabilità: alcuni delitti sono perfetti. Ma è ridicolo accusare i servizi segreti deviati o la P2».



La mattina di domenica 6 gennaio 1980, in via della Libertà a Palermo, mentre il presidente della Regione Sicilia, alla guida della propria Fiat 132, si apprestava a recarsi a messa insieme alla moglie Irma Chiazzese, seduta al suo fianco, alla suocera Franca Chiazzese Ballerini e alla figlia Maria, sedute sul divano posteriore, un sicario si avvicinò all'automobile e lo freddò con colpi di rivoltella calibro 38 attraverso il finestrino, che venne frantumato. Il killer, di cui la moglie Irma fissò l'andatura ballonzolante con l'espressione del viso gentile e lo sguardo glaciale, dopo i primi cinque o sei colpi si allontanò per avvicinarsi a una Fiat 127 bianca ferma pochi metri più avanti, ricevendo da un complice che era alla guida un'altra rivoltella calibro 38 con cui, tornato indietro verso la vettura di Mattarella, esplose altri colpi con traiettoria diagonale attraverso il finestrino posteriore destro che attinsero la vittima e ferirono a una mano la signora Irma Chiazzese, che aveva tentato di coprire e proteggere il volto di suo marito, ormai con il busto reclinato sulla destra, sulle gambe della moglie.



Successivamente anche il figlio Bernardo, che si era attardato nel seminterrato adibito ad autorimessa in cui Mattarella era solito parcheggiare la propria vettura, accorse risalendo la rampa di accesso al garage potendo osservare la Fiat 127 che si allontanava lungo via Libertà. La Fiat 127 bianca venne poi ritrovata, verso le ore 14:00, abbandonata lungo lo scivolo di un garage di via Maggiore De Cristoforis, angolo via degli Orti, a circa 700 metri dal luogo del delitto. 

 


 

Al momento del rinvenimento, sulla FIAT 127 erano montate targhe contraffatte: la targa anteriore era composta da due pezzi, rispettivamente "54" e "6623 PA"; quella posteriore da tre pezzi, rispettivamente "PA", "54" e "6623". La Fiat 127 risultava sottratta mentre era momentaneamente parcheggiata, in seconda fila e con le chiavi inserite nel quadro, in via De Cosmi, a circa 500 metri dal luogo del delitto, intorno alle ore 19:30 del precedente giorno 5 gennaio. Le targhe originali dell'auto (PA 536623) erano state alterate mediante l'applicazione degli spezzoni delle targhe PA 549016, asportate (dopo le 23:00 dello stesso giorno 5 gennaio) da una Fiat 124 posteggiata in via delle Croci, a circa un chilometro di distanza dal luogo del delitto. Non venivano ritrovate le altre parti delle targhe delle due auto (PA - 53 - 9016), non utilizzate per le alterazioni. Risultava quindi, e veniva evidenziato nel rapporto di polizia giudiziaria, che i luoghi dell'agguato e del rinvenimento della Fiat 127, ma anche - con particolare singolarità - quelli dei furti preliminari al delitto (della Fiat 127 e delle targhe della Fiat 124), distavano poche centinaia di metri l'uno dall'altro, dando conto di una preparazione dell'azione delittuosa svolta a pochissima distanza dal luogo in cui dopo poche ore la si sarebbe portata a compimento.

 




Le perizie balistiche disposte dalla Procura della Repubblica di Palermo accertarono che per l'omicidio di Piersanti Mattarella vennero usati “due revolver, probabilmente un Colt Cobra e un Rohm oppure un Charter Arms, utilizzando munizioni calibro 38 special con palla wadcutter e palla Super Police da 200 grani. Il particolare dell'utilizzo della palla wadcutter”, il cui uso è insolito al di fuori dei poligoni di tiro (dove trova applicazione per via della precisione con cui, grazie alla punta cilindrica, produce le tipiche forature circolari senza slabbrature ben visibili sui bersagli di cartone), trova riscontro nella perizia autoptica svolta dal professor Paolo Giaccone (che sarà a sua volta vittima l'11 agosto 1982 di un agguato mafioso all'interno del Policlinico universitario di Palermo oggi a lui intitolato) insieme al dottor Alfonso Verde, dell'Istituto di medicina legale dell'Università degli Studi di Palermo, che evidenziò come tre dei proiettili repertati, esplosi dalla sinistra verso destra della vittima e quasi orizzontalmente mentre Mattarella era seduto alla guida della propria autovettura, fossero tutti di piombo nudo a testa piatta.



Inizialmente fu considerato un attentato terroristico, poiché subito dopo il delitto arrivarono rivendicazioni da parte di un sedicente gruppo neofascista. In seguito e per tutto l'iter della lunga istruttoria e del conseguente processo penale l'omicidio di Piersanti Mattarella è stato considerato un delitto politico-mafioso e come tale trattato insieme agli omicidi di Michele Reina (9 marzo 1979) e di Pio La Torre e Rosario Di Salvo (30 aprile 1982).




Pur nel disorientamento del momento, il delitto apparve anomalo per le sue modalità. L'omelia del cardinale Salvatore Pappalardo, Arcivescovo di Palermo, nel corso della messa esequiale per Piersanti Mattarella celebrata l'8 gennaio 1980 nella cattedrale di Palermo sostenne con vigore che “una cosa sembra emergere sicura, ed è l'impossibilità che il delitto sia attribuibile a sola matrice mafiosa. Ci devono essere anche altre forze occulte, esterne agli ambienti, pur tanto agitati, della nostra Isola. Palermo e la Sicilia non possono accettare o subire l'onta di essere l'ambiente in cui ha maturato l'atroce assassinio”.


 


 

Le indagini giudiziarie procedettero con difficoltà e lentezza; il primo a fornire un rilevante contributo investigativo fu - come detto - Cristiano Fioravanti, appartenente, insieme al fratello Valerio, a gruppi romani dell'estrema destra - che dopo il suo arresto (8 aprile 1981) maturava un progressivo e autentico pentimento e si apriva a una fattiva collaborazione con la magistratura, ammettendo la propria responsabilità e fornendo precise e coerenti indicazioni probatorie in relazione a numerosi e gravissimi delitti. In particolare, con riferimento all'omicidio di Piersanti Mattarella, Cristiano Fioravanti fornì le prime indicazioni tra il 1982 e il 1985, iniziando a parlarne già nella sua deposizione davanti al Giudice istruttore di Roma del 28 ottobre 1982, proseguendo poi con quelle rese al Giudice istruttore di Palermo il 25 gennaio 1983:

«Io ho sempre espresso la convinzione che gli autori materiali di quell'omicidio fossero mio fratello e Luigi [Gilberto, ndr] CAVALLINI, coinvolti in ciò dai rapporti equivoci che stringeva Mangiameli in Sicilia. La storia dell'eliminazione di Mangiameli da parte di mio fratello richiama quei collegamenti. Peraltro, mi risultava che in quei giorni mio fratello e anche Cavallini e Francesca Mambro erano in Sicilia per loro contatti con Mangiameli. Quando furono pubblicati gli identikit degli autori materiali dell'omicidio Mattarella sui giornali, ricordo che mio padre esclamò, per la somiglianza degli identikit con mio fratello e Cavallini, somiglianza che io stesso avevo rilevato immediatamente, «hanno fatto anche questo!».

Queste le dichiarazioni di Cristiano Fioravanti davanti al giudice Falcone del 29 marzo 1986, che legano il delitto di Mattarella con la necessità di eliminare anche Francesco Mangiameli, dirigente siciliano di Terza posizione, poi ucciso dai fratelli Fioravanti il 9 settembre del 1980:

«Fu poi compiuto l'omicidio del Mangiameli e come ho detto, sua moglie non venne all'appuntamento. Il giorno dopo rividi Valerio e lui era fermo nel suo proposito di andare in Sicilia per eliminare la moglie e la bambina di Mangiameli, e diceva che bisognava agire in fretta prima che venisse scoperto il cadavere di Mangiameli e la donna potesse fuggire. Io non capivo quell'insistenza nell'agire contro la moglie e la figlia del Mangiameli [...] e allora Valerio mi disse che avevano ucciso un politico siciliano in cambio di favori promessi dal Mangiameli e relativi sempre all'evasione di Concutelli oltre ad appoggi di tipo logistico in Sicilia».

Secondo la testimonianza del fratello Cristiano, Valerio Fioravanti avrebbe goduto dell'appoggio di esponenti dell'estrema destra palermitana: oltre a Mangiameli, avrebbe fornito un supporto anche Gabriele De Francisci, militante del FUAN e parente del prefetto Gaspare De Francisci, direttore dell'UCIGOS del Ministero dell'interno dal 1978 al 1981, che avrebbe messo a disposizione un appartamento nei pressi dell'abitazione della vittima, e la contropartita dell'omicidio sarebbe stata l'aiuto della mafia nel fallito tentativo d'evasione del leader ordinovista Pierluigi Concutelli, all'epoca detenuto nel carcere dell'Ucciardone (poi trasferito a Taranto). Le indagini accertarono che le zie di Gabriele De Francisci possedevano in effetti tre abitazioni nella zona di via Libertà, a pochi metri dal luogo del delitto Mattarella: la prima, in via Rapisardi, di proprietà di Enrica De Francisci, sposata Di Cristina; la seconda, in via Ariosto, di proprietà di Lidia De Francisci, sposata Montalbano; la terza, in via Tasso, di proprietà della zia Brigida De Francisci, sposata Chimenti. Tali circostanze facevano apparire credibile, riscontrandolo, il racconto di Cristiano Fioravanti e si ricollegavano alle modalità di preparazione ed esecuzione del delitto precedentemente descritte, tutte confinate a una zona in prossimità del luogo del delitto, rispetto alle quali la disponibilità di una "base di appoggio" vicinissima (a poche decine di metri dal luogo dell'agguato) - certamente non usuale per un delitto di mafia - avrebbe potuto giocare un ruolo determinante per l'ospitalità dei killer prima e dopo l'esecuzione del delitto e per la buona riuscita dell'intera operazione criminale.

Il lungo e travagliato percorso di pentimento e di collaborazione di Cristiano Fioravanti con il giudice Falcone durò fino al 1990. Negli ultimi interrogatori resi al giudice istruttore di Palermo Cristiano Fioravanti, che invero non ritrattò mai le sue accuse al fratello, precisò e spiegò i motivi per cui non era in grado di proseguire la sua collaborazione. In particolare, il 16 marzo 1990 dichiarò:

«Intendo avvalermi della facoltà di non rispondere, anche se riconosco integralmente tutte le dichiarazioni sin qui rese, in quanto non ho più la forza né fisica né psichica per continuare ad accusare mio fratello, subendo tutte le conseguenze di carattere morale, affettivo e familiare connesse a questa mia scelta, che mi è costata e mi costa un prezzo altissimo. Tra l'altro, ho interrotto quasi del tutto ogni rapporto con l'esterno, all'infuori di mia sorella. Intendo chiarire che non è un ripensamento alla mia scelta di collaborazione, anzi sostengo tutt'oggi che sia stata la scelta più giusta che mi ha permesso di trovare la via per tentare di espiare i miei gravissimi reati. Tale collaborazione, però, per il motivo avanti indicato, non comprende proprio e soltanto il processo riguardante l'omicidio dell'on. MATTARELLA, o meglio, non intendo andare oltre nella collaborazione già resa dell'istruttoria di quest'ultimo processo».

Successivamente, nell'interrogatorio del 24 luglio 1990 aggiunse: «Intendo continuare ad avvalermi della facoltà di non rispondere, anche se riconosco integralmente, le dichiarazioni sin qui rese giacché, da quando ho preso questa decisione, ho finalmente trovato quella tranquillità di animo che in precedenza avevo inutilmente cercato. Ho ripreso efficacemente un sereno rapporto familiare con mia sorella Cristina e non intendo più perderlo, anche perché è l'unico che mi è rimasto. Infatti, da circa 2 anni non vedo più mio padre, il quale, schierato apertamente dalla parte di Valerio, ritiene forse in tal modo di condizionare il mio comportamento fino a quando questa istruttoria non sarà conclusa. Intendo chiarire che la decisione ancora oggi riaffermata è frutto anche di questo comportamento di mio padre, ma è soprattutto determinata da una mia riflessione sui veri valori della vita tra i quali ritengo di collocare al primo posto quello della famiglia. E siccome, allo stato, la mia famiglia è costituita da mia sorella Cristina, intendo salvaguardare questo rapporto».

Nonostante le contraddittorie testimonianze rese da soggetti appartenenti a universi criminali apparentemente distinti quali il terrorismo nero e l'associazione mafiosa, Giovanni Falcone seguiva un percorso d'indagine molto cauto e all'insegna della riservatezza ma molto deciso: solo la recente desecretazione da parte della Commissione parlamentare antimafia ha consentito di conoscere il tenore delle sue dichiarazioni del 3 novembre 1988, che indicavano chiaramente la sua linea interpretativa dei fatti oggetto di indagine, che poi avrebbe trasposto negli atti giudiziari, a cominciare dalla requisitoria per i delitti politici. Dichiarò in proposito in quella sede Giovanni Falcone, che nel 1988 ricopriva il ruolo di giudice istruttore: «L'indagine è estremamente complessa perché si tratta di capire se e in quale misura 'la pista nera' sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa. Il che potrebbe significare altre saldature e soprattutto la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani».

La chiara linea interpretativa anzidetta viene ribadita negli atti giudiziari che portarono la Procura di Palermo a quella corposa requisitoria di 1690 pagine sui “delitti politici” siciliani (le uccisioni di Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia Cristiana, dello stesso Mattarella, di Pio La Torre e del suo autista Rosario Di Salvo) che, depositata il 9 marzo 1991, costituì l'ultimo atto investigativo di Giovanni Falcone. Questi, che la sottoscrisse nella qualità di procuratore aggiunto, puntava fermamente sulla colpevolezza dei terroristi di estrema destra Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, leader dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), quali esecutori materiali del delitto, in un contesto di cooperazione tra Cosa nostra (nella persona di Pippo Calò, “ambasciatore” dei Corleonesi a Roma), gli ambienti del terrorismo eversivo neofascista, la P2 di Licio Gelli e la banda della Magliana: questi rapporti furono chiariti da diversi personaggi vicini a questi ambienti che avevano scelto di collaborare con la giustizia, tra cui Cristiano Fioravanti, Paolo Bianchi, Angelo Izzo, Sergio Calore, Stefano Soderini, Paolo Aleandri e Walter Sordi.

L'ipotesi accusatoria di Falcone e della Procura della Repubblica, cui risultava la presenza a Palermo di Valerio Fioravanti nel gennaio 1980 peraltro da questi ammessa in dichiarazioni rese ad altre autorità giudiziarie, era fondata in particolare sulle dichiarazioni del fratello Cristiano Fioravanti e sul riconoscimento di Valerio Fioravanti sia da parte di Irma Chiazzese (moglie di Piersanti Mattarella), testimone oculare ravvicinata del delitto, sia da parte di Marina Pipitone (moglie di Michele Reina), testimone oculare (anch'essa ravvicinata) dell'agguato del 9 marzo 1979 in cui aveva perso la vita suo marito, all'epoca segretario provinciale della Democrazia Cristiana a Palermo.

Nel giugno 1991 il giudice istruttore Gioacchino Natoli rinviò a giudizio per il delitto Mattarella i membri della “Commissione” o “Cupola” di Cosa nostra (Michele Greco, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca, Francesco Madonia, Antonino Geraci) sulla base del cosiddetto "teorema Buscetta" (secondo cui gli omicidi di un certo rilievo non potevano avvenire senza l'assenso del vertice mafioso) unitamente a Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, quali esecutori materiali del delitto, facendo sostanzialmente propria la requisitoria della Procura di Palermo. Furono rinviati a giudizio anche i falsi pentiti Giuseppe Pellegriti e Angelo Izzo, accusati di calunnia: infatti Pellegriti, interrogato da Falcone, dichiarò di essere venuto a conoscenza, tramite il capo mafioso Nitto Santapaola, di fatti inediti sul ruolo dell'onorevole Salvo Lima negli omicidi Mattarella e La Torre, circostanza confermata dal suo compagno di cella Izzo; dopo due mesi di indagini, Falcone lo incriminò insieme a Izzo, spiccando nei loro confronti due mandati di cattura per calunnia (poi annullati dal Tribunale della libertà in quanto essi erano già in carcere). Pellegriti, dopo l'incriminazione, ritrattò, attribuendo a Izzo di essere l'ispiratore delle accuse.

Queste le conclusioni di Falcone integralmente riprese dal giudice istruttore Gioacchino Natoli:

«Per le considerazioni già svolte, deve ritenersi provato che l'omicidio di Piersanti MATTARELLA fu materialmente eseguito da Valerio FIORAVANTI e Gilberto CAVALLINI. Dalle fonti di prova esaminate è risultato, altresì, che l'omicidio del Presidente della Regione Siciliana fu un omicidio "politico-mafioso", attuato in virtù di uno specifico "pactum sceleris" intervenuto fra i detti esponenti della destra eversiva e "Cosa Nostra". […] Più particolarmente, per quanto riguarda questo gravissimo episodio criminoso, la genesi logica della scelta, da parte di "Cosa Nostra", di due esponenti del terrorismo "nero" quali esecutori materiali deve essere individuata nella eccezionalità del crimine, le cui motivazioni trascendevano la ordinaria logica dell'organizzazione mafiosa e coinvolgevano interessi politici che dovevano restare assolutamente segreti, nonché nel momento storico che questa criminale associazione attraversava per dinamiche interne» (pagine 897-898 dell'ordinanza-sentenza del G.I.).

Il 12 aprile 1995 vennero condannati all'ergastolo i boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci come mandanti dell'omicidio Mattarella, mentre furono assolti i terroristi neri Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini dall'accusa di essere gli esecutori materiali; furono invece condannati a quattro anni ciascuno di reclusione per calunnia i falsi pentiti Izzo e Pellegriti. Durante il processo, la moglie di Mattarella, testimone oculare, dichiarò inoltre di riconoscere l'esecutore materiale dell'omicidio nella persona di Giuseppe Valerio Fioravanti, ma la testimonianza della signora Mattarella e le altre testimonianze contro di lui (quella del fratello Cristiano Fioravanti e di Angelo Izzo) non furono ritenute abbastanza attendibili. Bernardo Mattarella, figlio di Piersanti, commentò amareggiato: «A mia madre è stato preferito il pentito che dice di non aver mai sentito il nome di Fioravanti. Il mancato ricordo dei pentiti porta a scagionare l'imputato. È l'aberrazione del diritto».

Nelle motivazioni della sentenza è scritto che "l'istruttoria e il dibattimento hanno dimostrato che l'azione di Piersanti Mattarella voleva bloccare proprio quel perverso circuito (tra mafia e pubblica amministrazione) incidendo così pesantemente proprio su questi illeciti interessi" e si aggiunge che da anni aveva "caratterizzato in modo non equivoco la sua azione per una Sicilia con le carte in regola". Sempre secondo la sentenza, a ordinare la sua uccisione fu Cosa nostra perché Mattarella voleva portare avanti un'opera di modernizzazione dell'amministrazione regionale e per questo aveva incominciato a contrastare l'ex sindaco Vito Ciancimino per un suo rientro nel partito con incarichi direttivi, come sostenuto dai “pentiti” Gaspare Mutolo e Giuseppe Marchese; Ciancimino infatti era il referente politico dei Corleonesi. Per queste ragioni, alla fine del 1979 Mattarella aveva deciso di chiedere al segretario nazionale del partito, Benigno Zaccagnini, il commissariamento del Comitato Provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana, perché aveva visto “ritornare con forte influenza Ciancimino”, il quale aveva siglato un patto di collaborazione con la corrente andreottiana, in particolare con l'onorevole Salvo Lima. La sentenza di primo grado - per quanto riguarda il delitto Mattarella - venne confermata in appello il 17 febbraio 1998. Il sostituto procuratore generale, Leonardo Agueci, rappresentante dell'accusa nel secondo grado, aveva chiesto di condannare Fioravanti e Cavallini come esecutori materiali, insistendo sulle dichiarazioni di Cristiano Fioravanti, ma la Corte d'Assise d'appello, considerandolo del tutto inattendibile, non fu dello stesso avviso. La sentenza divenne definitiva con la conferma in Cassazione nel maggio del 1999.

Il lavoro di Falcone era sfociato nella requisitoria del 9 marzo 1991, firmata nella veste di Procuratore della Repubblica aggiunto, insieme al collega Elio Spallitta e ai sostituti procuratore Giusto Sciacchitano, Guido Lo Forte, Giuseppe Pignatone e Roberto Scarpinato. Procuratore della Repubblica era all’epoca Pietro Giammanco. Su questo straordinario atto d’accusa si era basata l’ordinanza-sentenza del 9 giugno 1991, redatta dal giudice istruttore Gioacchino Natoli, con cui vennero rinviati a giudizio gli imputati. Il dibattimento nel giudizio di primo grado, iniziato il 14 febbraio 1992 condusse alla sentenza di primo grado del 15 aprile 1995.

Nel 1992 il dibattimento era quindi appena iniziato e non era ancora stato trattato il delitto Mattarella, episodio delittuoso che Falcone riteneva, per usare parole del magistrato assassinato, più di altri trascendesse le finalità e gli interessi tipici della criminalità mafiosa e per cui era fermamente convinto di avere individuato gli esecutori materiali. Il dibattimento in aula per quel delitto ebbe luogo dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992, e il processo, in assenza di Falcone, prese un’altra piega. L’emersione in nuovi e vecchi collaboratori di giustizia di ricordi prima offuscati fornì alla magistratura giudicante, così come a quella inquirente su altri fatti delittuosi, la chiave per interpretazioni alternative, portando all’assoluzione dei due imputati. Le dichiarazioni di alcuni pentiti, taciute dagli stessi collaboratori negli anni precedenti e formulate dopo la morte di Falcone, erano state ritenute, pur nella loro genericità e talvolta scarsa tenuta logica, più credibili del lavoro del coraggioso magistrato e dei suoi colleghi della Procura e dell’Ufficio istruzione di Palermo.

Nel 2018 quotidiani nazionali hanno diffuso la notizia di una riapertura delle indagini sull'omicidio, anche con riferimento ai rapporti tra Cosa nostra palermitana e l'eversione del terrorismo di destra: l'indagine della Procura di Palermo è stata affidata al Procuratore Francesco Lo Voi, all'Aggiunto Salvatore De Luca e al Sostituto Roberto Tartaglia. Allora, quale giustizia se Giusva Fioravanti non è stato neppure bandito dal consesso civile e da efferato stragista si è trasformato in mascherato editorialista?


Riferimenti:

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