Stretto di Messina - foto Gilan |
di Gianni Lannes
Nel 2018 proprio l'INGV ha pubblicato il primo modello probabilistico di pericolosità da tsunami di origine sismica per l'area del Mediterraneo e dell'Atlantico nord-orientale.
Numerosi lavori scientifici hanno evidenziato come il nostro Paese sia interessato da un'intensa attività tettonica di origine naturale, ma che sempre piu' spesso viene innescata dall'uomo, che si è manifestata anche recentemente tramite terremoti disastrosi, che hanno causato perdita di tante vite umane. Quando questa attività si manifesta in aree costiere o sottomarine, agli effetti dello scuotimento sismico si possono associare la creazione di maremoti come quello devastante che ha interessato Fukushima nel 2011, con ripercussioni inimmaginabili dirette ed indirette non solo nelle immediate vicinanze dell'epicentro, ma anche a migliaia di chilometri di distanza.
Il terremoto associato al collasso della caldera di Santorini, ad esempio, ha avuto effetti devastanti in tutte le coste del Mediterraneo centro-orientale. La presenza di vulcani attivi nei pressi della costa ed in varie isole del Mar Tirreno rende questa area particolarmente critica.
Alessandro Amato, geologo, sismologo, già direttore del Centro nazionale terremoti dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, gia' responsabile del Centro allerta tsunami dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Cat-Ingv), ha evidenziato, in numerosi lavori scientifici, le faglie attive lungo tutto il versante tirrenico e ligure della penisola. In particolare, lo Stretto di Messina è caratterizzato da un esteso sistema di faglie, che caratterizzano larga parte del versante orientale dell'isola e, in modo particolare, nel settore etneo. In questo settore si è manifestato uno dei principali terremoti italiani del secolo scorso: il grande terremoto del 1908, che rase al suolo le città costiere adiacenti allo Stretto e in particolare Reggio Calabria e Messina, facendo oltre 80 mila vittime. Amato ha evidenziato che circa duemila persone probabilmente morirono per lo tsunami associato al terremoto.
Il rischio di tsunami si estende a tutte le coste italiane, dato che terremoti, e dunque maremoti, devastanti sono noti in tutta l'area egea e lungo la costa dalmata dall'INGV (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) si apprende che negli ultimi mille anni, lungo le coste italiane, sono state documentate varie decine di maremoti, solo alcuni dei quali distruttivi. Le aree costiere più colpite sono state quelle della Sicilia orientale, della Calabria, della Puglia e dell'arcipelago delle Eolie. Maremoti di modesta entità si sono registrati anche lungo le coste liguri, tirreniche e adriatiche.
Dal 2005 l'Italia partecipa al sistema di allerta internazionale per il rischio maremoto nel nord est Atlantico, Mediterraneo e mari collegati NEAMTWS, sotto il coordinamento dell'IOC (Intergovernmental oceanographic commission) dell'Unesco.
Nel 2017 è stato istituito il SiAM (sistema di allertamento nazionale per i maremoti generati da sisma), di cui fanno parte tre istituzioni: l'INGV che opera attraverso il Cat (centro allerta tsunami), l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il 28 dicembre 2002, a seguito di una fase effusiva del vulcano Stromboli, lungo la Sciara del fuoco, si aprì una bocca vulcanica a quota 500 metri sul livello del mare, dalla quale fuoriuscì una colata lavica che originò, in rapida successione, una frana di circa 16 milioni di metri cubi di materiale ed un maremoto che colpì le coste della Sicilia, le isole Eolie, le coste della Calabria con effetti non privi di rilievo anche lungo le coste del Cilento tra Marina di Camerota e Pioppi.
Non e' tutto. Il più grande vulcano d'Europa, tra quelli sommersi, è il Marsili che, appartenente all'arco insulare eoliano e disponendosi lungo la direttrice Campi Flegrei-Etna, si localizza nel Tirreno meridionale in posizione equidistante rispetto alle coste della Sicilia, della Calabria, della Campania.
Il Marsili è stato indicato come potenzialmente pericoloso, perché potrebbe innescare un maremoto che interesserebbe le coste di Campania, Calabria e Sicilia. Questo vulcano sottomarino è stato scoperto negli anni '20 del XX secolo e battezzato in onore dello scienziato Luigi Ferdinando Marsili. Esso è stato studiato a partire dal 2005 nell'ambito di progetti strategici del CNR che ha stabilito che il monte si eleva per circa 3.000 metri dal fondo marino, raggiungendo con la sommità la quota di circa 450 metri al di sotto della superficie del mar Tirreno.
I fenomeni vulcanici sul monte Marsili sono tuttora attivi e sui fianchi si stanno sviluppando numerosi vulcanici satellitari e sono state rilevate tracce di collassi di materiali, i quali potrebbero già aver causato maremoti nelle regioni costiere tirreniche dell'Italia meridionale; unitamente al Magnaghi, al Vavilov e al Palinuro, il Marsili è inserito tra i vulcani sottomarini pericolosi del mar Tirreno, perché mostra il rischio di un esteso collasso in un unico evento di un crinale del monte;
Nel febbraio 2010 la nave Urania del CNR ha rilevato rischi di crolli potenzialmente pericolosi, che testimoniano una notevole instabilità: una regione significativamente grande della sommità del Marsili risulta costituita da rocce di bassa densità, fortemente indebolite da fenomeni di alterazione idrotermale. Queste caratteristiche farebbero prevedere un evento di collasso di grandi dimensioni tanto che il sismologo Enzo Boschi, gia' presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), fu portato ad affermare: "la nostra ultima ricerca mostra che il vulcano non è strutturalmente solido, le sue pareti sono fragili, la camera magmatica è di dimensioni considerevoli. Tutto ciò ci dice che il vulcano è attivo e potrebbe entrare in eruzione in qualsiasi momento. Il movimento delle pareti muoverebbe milioni di metri cubi di materiale, che sarebbe capace di generare un'onda di grande potenza. Il rischio è reale e di difficile valutazione. Quello che serve è un sistema continuo di monitoraggio, per garantire attendibilità".
La caduta rapida di una notevole massa di materiale scatenerebbe un potente tsunami che investirebbe le coste della Campania, della Calabria e della Sicilia provocando disastri. Il vulcano Marsili, interessato da un'attività idrotermale e da un'attività sismica legata ad eventi di fratturazione superficiale e a degassamento, come pure risulta da recenti, autorevoli studi, è stato dichiarato “strutturalmente non solido, le sue pareti sono fragili, la camera magmatica è di dimensioni considerevoli" il che fa ragionevolmente concludere che "il vulcano è attivo e potrebbe entrare in eruzione in qualsiasi momento”. Secondo l'INGV, “il cedimento delle pareti del Marsili muoverebbe milioni di metri cubi di materiale, che sarebbe capace di generare un'onda di grande potenza" con scenari di "rischio reali e di difficile valutazione”. E il vulcano sommerso Palinuro, ancorché di minori dimensioni, genera rischi di non trascurabile importanza.
Anche l'Etna non scherza. Nel corso degli ultimi 5 anni ha continuato nella sua attività eruttiva con getti di lava alti fino a centinaia di metri, forti esplosioni e colonne di cenere, tanto da far affermare agli esperti che episodi di simile violenza e intensità non si verificavano dall'anno 2000. E pure il Vesuvio e' attivo, mentre nelle vicinanze ci vivono milioni di persone ignare.
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