GIUSEPPE DI VAGNO |
di Gianni Lannes
Nacque a Conversano il 12 aprile 1889 da famiglia di
lavoratori. Fu assassinato da sicari fascisti una sera di settembre del 1921, a
Mola di Bari, dove aveva terminato un comizio elettorale. Subì il vile agguato di un
gruppo di squadristi fascisti guidato da Peppino Caradonna, venendo colpito
alla schiena con tre colpi di pistola. Morì il 25 settembre, alcuni giorni dopo.
Gli assassini furono individuati e processati, ma
non subirono alcuna condanna in seguito all'amnistia voluta da Mussolini per i “crimini in favore
dello stato fascista”.
Di Vagno aveva ottenuto il seggio parlamentare nel nome della moltitudine di “cafoni, terrazzani, pezzenti e diseredati” del Sud, e nel nome di questi si batté, riuscendo ad ottenere dal Governo Giolitti l'avvio dei lavori per l'Acquedotto Pugliese.
Non vi è un paese in Puglia ma non solo, dove non sia presente una via o una piazza intitolata a lui. Era chiamato il “gigante buono” per la sua statura fisica e morale, mi ha narrato mio nonno quando indossavo i calzoni corti. Ed ogni volta il mio buon vecchio si emozionava al ricordo di Di Vittorio e Di Vagno, ed una lacrima si scioglieva quando raccontava gli storici moti contadini del 23 marzo 1950, quando San Severo si ribellò. Altri tempi.
Di Vagno dopo gli studi liceali nel seminario di Conversano
s’iscrisse alla Facoltà di Legge dell’Università di Roma conseguendo la laurea
nel 1912. Al ritorno nel paese natale s’inserì nella vita politica, ponendosi a
sostegno delle rivendicazioni contadine e popolari.
Nel giugno del 1914 è eletto consigliere comunale e
provinciale. Fu uno dei fondatori, nel 1920, della sezione barese della società
"Umanitaria". Collaborò a diversi periodici democratici e socialisti,
tra i quali "Humanitas" del repubblicano Piero Delfino Pesce e
"Puglia Rossa".
Si schierò a fianco dei contadini di Gioia del Colle
e di Minervino Murge colpiti, tra il 1920 ed il ’21, dalla violentissima e
sanguinosa reazione degli agrari, all’occupazione pacifica delle terre incolte
e dalla repressione poliziesca. Nelle
elezioni politiche del ’21 fu eletto deputato - con un mare di voti - al
Parlamento nella lista dei Socialisti Unitari.
«Nel settembre 1921 i delitti commessi dagli squadristi si contavano già a centinaia in tutta Italia, ma per la prima volta era ucciso un Parlamentare. Non era un caso che questo grave crimine politico fosse stato commesso in Puglia. Già nel 1913 le leghe bracciantili pugliesi erano più numerose di quelle di qualsiasi altra regione italiana» scrisse Leo Valiani in uno scritto apparso sul settimanale L’Espresso" per i cinquant’anni dell’assassinio di Giuseppe Di Vagno. Uno degli interpreti più significativi del socialismo democratico europeo del Novecento espresse compiutamente tutto il significato della violenza elevata a sistema che avrebbe in poco tempo spazzato via le istituzioni liberali e lo Stato di diritto.
Il delitto
del deputato socialista di Conversano, noto per la difesa gratuita di contadini
ed operai nelle aule dei tribunali, per l’impulso all’organizzazione dei
lavoratori e per il sostegno alle istituzioni assistenziali (Società
Umanitaria, Comitati per i profughi Serbi e Montenegrini) suscitò una profonda
impressione nell’intera opinione pubblica nazionale.
Ma i suoi oppositori dell’estrema destra avevano
progettato di eliminarlo già durante la campagna elettorale. I suoi interventi
antimilitaristi, a favore della pace provocarono la reazione dei più accesi
nazionalisti.
Il gran successo elettorale nel maggio del ’21
(ottenne dopo Vella il maggior numero di voti nella lista dei socialisti
unitari) fece scattare la caccia all’uomo da parte dei suoi nemici fascisti, al
soldo dei latifondisti.
Giuseppe Di Vittorio |
All’indomani della feroce esecuzione, in una lunga
lettera al quotidiano socialista L’Avanti!, il mitico Giuseppe Di Vittorio denunciò le responsabilità di Caradonna e del
fascismo pugliese, citando alcune affermazioni dello squadrista di Cerignola «che,
egli, Caradonna, se ne fregava del socialismo di Bonomi e degli altri Ministri
perché i fascisti quando sentono il bisogno di sopprimere un avversario
sorteggiano fra di loro il destinato a consumare la soppressione, senza alcuna
preoccupazione».
Caradonna negò ogni responsabilità nel delitto. Tuttavia
nell’aprile del ’22, secondo la denuncia dell’onorevole Vella alla Camera, dopo
una manifestazione a Conversano, non lontano dall’abitazione della famiglia di
Di Vagno, un gruppo di seguaci del Caradonna, capo del fascismo cerignolese che
aveva partecipato di persona, rivolse frasi oltraggiose e minacce all’indirizzo
della vedova e del figlio di pochi mesi.
Ecco la testimonianza diretta ed il vivo ricordo di Giuseppe Di Vittorio, apparso il 30
settembre 1921 su Puglia Rossa:
«L'automobile che ci conduce a Mola fila
"velocissima" interpretando la nostra ansia affannosa per rivedere il
nostro Peppino. Le prime vaghe incerte notizie, pur pervadendo l'animo nostro
di santo sdegno contro i vilissimi aggressori, non permettevano alla mente di
pensare che il nostro colosso, il Gigante Buono, fosse abbattuto, vinto e tanto
meno che quella maschia e robusta fibra di giovane esuberante, potesse essere
spezzata, infranta, disfatta! Scendiamo in fretta e ci precipitiamo alla
modesta saletta dell'ospedale, nella quale il nostro Peppino giace, come un
Ercole abbattuto, come un eroe vinto!
E' pallido ma sereno. Giace supino, con
gli occhi vivi ed appassionati. Sul viso aperto si leggono chiaramente l'intimo
tormento, gli atroci dolori che dilaniano il corpo insanguinato, avvelenato; ma
non emette un lamento. Sembra voler combattere e vincere la morte, con la
stessa tranquilla serenità con cui ha combattute e vinte le battaglie della
vita. Vede me, Favia, De Silvestro, Palladino, Nardulli, Santoiemma ed altri
ancora. Ci riconosce, ci saluta con lo sguardo dolce, ci rincora e fra gli
atroci tormenti che macerano la sua carne, che disfanno rapidamente il suo
corpo, trova la forza per sorridere lievemente. Ahimè! - fu l'ultimo che
vedemmo fiorire su quelle labbra pronte al sorriso come per rendere manifesta
l'infinita bontà dell'animo suo. Gli dicemmo parole di conforto. Qualcuno di
noi, stringendo la sua mano, gli disse: - Coraggio, Peppino! Tu sei forte. Sei
nato per vincere. Hai vinto i tuoi e nostri avversari, sempre, vincerai ancora!
La tua fibra ti salverà, coraggio!... - Sì - disse, con estrema bontà il nostro
Peppino -; sì, vincerò - Semplicemente! E nelle sue brevi e spezzate parole non
vi era ombra di odii e di ira. Sino agli ultimi istanti. Egli continuò a
lottare, serenamente.
Mentre era steso, vinto, sul lettuccio dell'Ospedale,
pensavo alla sua fiorente giovinezza, alla sua forza erculea e quasi
involontariamente ricordavo un disgustoso incidente avvenuto nel corridoio dei
"Passi perduti", a Montecitorio. Il deputato popolare ultra-fascista
Cappa tentava aggredire il compagno Matteotti, che è snello, esile. Vidi
Giuseppe Di Vagno prendere agilmente pel petto il Cappa e deporlo delicatamente
per terra a quattro passi di distanza, interponendosi fra i due litiganti per
impedirne il contatto. Lo prese con la stessa facilità che una madre sana
prende il suo bambino poppante. Avrebbe potuto fargli gran male, soltanto
buttandolo per terra. Ma Egli era il Gigante buono e lo depose reggendolo
perché non cascasse. Povero il nostro gigantesco Peppino! Rimaniamo dritti innanzi
a Lui, ansimanti, quasi volessimo rianimare con l'alito nostro il suo corpo
morente, quando vediamo precipitarsi al capezzale la giovine sposa e la vecchia
mamma sua ottantenne, entrambe angosciate, lagrimanti, doloranti, e noi ci
allontaniamo per rispettare quell'intimo profondo dolore che fa piangere tutti
noi.
Ma Egli non si abbatte. Singhiozza, lotta, respira affannosamente e guarda
con serenità e con forza la sua sposa e la sua mamma, come per dire: Non
piangete, abbiate fede e coraggio! Vedete, sto lottando, vincerò, vivrò: Non
voglio, non posso morire; io! Poi ancora singhiozzi, un gemito lungo, uno
sbalzo forte, un respiro strozzato ed Egli non è più. Povero il nostro Gigante
buono! Si è voluto uccidere in te il forte lottatore, Giuseppe Di Vagno, come
per seppellire un'Idea, per infrangere una Fede, e non si sono accorti, i
miserabili, che la soppressione del tuo corpo ha preparato la tua resurrezione.
Tu sei risorto. Eri un uomo ed ora sei un Mito. Tu sei sempre con noi, in noi e
nelle nostre battaglie, e nelle nostre vittorie».
Quando il pensiero ogni tanto corre a Peppino Di
Vagno, perché magari percorro a piedi una strada a lui intitolata, dove resiste
la mia antica scuola elementare, riecheggiano i racconti dei socialisti d’altri
tempi uditi nel corso dell’infanzia.
La sua breve ma intensa vita, la sua entusiastica
adesione all'idea di politica come servizio alla collettività, come strumento
di maturazione civile della persona umana costituisce ancora oggi uno straordinario
esempio, soprattutto, per i giovani.
La memoria è il filo che deve legare le generazioni,
tracciando un percorso nella conoscenza collettiva, perché ognuno impari a
combattere l’indifferenza, a ripudiare ogni forma di integralismo e di
estremismo, per costruire una società fondata sul rispetto della dignità di
ogni essere umano perché non possa mai più accadere quello che allora è
accaduto.
biblioteca comunale di Orta Nova - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) |
Ho scoperto casualmente che ad Orta Nova, in provincia
di Foggia, nella Biblioteca comunale fanno bella mostra ben 44 volumi: l’opera
omnia di Benito Mussolini. Sono
stati acquistati nel periodo del mandato da sindaco di tale Giuseppe Moscarella, già esponente del Movimento sociale italiano, Fuan, Alleanza
Nazionale, attualmente consigliere provinciale del Pdl. Sulla sua pagina Facebook è iscritto perfino al saluto romano.
biblioteca comunale di Orta Nova - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) |
acquisto libri di Mussolini per la biblioteca comunale di Orta Nova sotto il mandato Moscarella |
biblioteca comunale di Orta Nova - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) |
l'ex sindaco Giuseppe Moscarella |
Insomma,
apologia del fascismo nuda e cruda.
Sarebbe quantomeno opportuno un interessamento penale della Procura della Repubblica
di Foggia.
A meno che non si voglia dar torto al Capo dello Stato, calpestare la Costituzione repubblicana ed antifascista, nonché violentare l'animo e la mente delle giovani generazioni. Come ha attestato il Presidente della Repubblica, «Giuseppe
Di Vagno cadde per affermare i suoi ideali di democrazia, di libertà, di
giustizia, di solidarietà, di pace, valori oggi divenuti patrimonio comune di
tutti gli italiani, anche grazie al sacrificio estremo di coloro che, come lui,
non si piegarono di fronte alla violenza fascista».
Alla luce di quanto esposto anche dal vertice del Quirinale non è possibile tollerare una situazione del genere.
Certi gravi reati penali non si prescrivono mai,
anche alla luce di un passivo realizzato dalla gestione Moscarella spalleggiato dai suoi sodali di maggioranza in consiglio comunale, - tra cui il suo “legale
Francesco Americo (ex consigliere comunale di maggioranza con Moscarella dal 2006 al 2011), coniugato Mercaldi - nelle casse del municipio di ben 14 milioni di euro, certificato dalla Corte dei Conti che fa riferimento a leggerezza e scelleratezza della gestione Moscarella. Dove sono finiti quei soldi pubblici? Qualcuno ha cambiato improvvisamente tenore di vita arricchendosi alle spalle dell'ignaro contribuente? Sarà il caso di interessare quantomeno la Guardia di Finanza.
Americo Francesco, "legale di Moscarella ed ex consigliere comunale con Moscarella dal 2006 al 2011" |
Riferimenti:
Ennio Corvaglia, Giulio Esposito, Vito Antonio
Leuzzi (a cura di), Il processo Di
Vagno. Un delitto impunito dal fascismo alla democrazia, Camera dei
deputati, Roma 2011
-
Gli atti del processo sull’omicidio di
Giuseppe Di Vagno si trovano presso l’Archivio di Stato di Potenza
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2013/06/giacomo-matteotti-regia-di-un-omicidio.html
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2013/06/giacomo-matteotti-regia-di-un-omicidio.html
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