29.8.23

ITALIA: BOMBE ALL'IPRITE E ALL'ARSENICO IN MARE!

 




di Gianni Lannes

«Esistono tuttora aree marittime sui cui fondali è presente armamento bellico inesploso di varia natura: trattasi non solo di armamento navale (mine, siluri, bombe di profondità) impiegato durante la guerra sul mare, ma anche munizioni di altra natura, terrestre o aerea (bombe d’aereo, proiettili di vario calibro, bombe da mortaio, bombe a mano) conseguenza sia di azioni belliche ma soprattutto di smaltimento a mare nell’immediato periodo post-bellico».

Questa conferma ufficiale è contenuta nel Portolano della navigazione (da pagina 30 a 41), edito nel 2021 dall'Istituto Idrografico della Marina Militare italiana, nonché nei successivi aggiornamenti del 2023. Le zone più colpite ricadono in Sardegna, Sicilia, Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Puglia, Marche, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia. Comunque non risparmiano Venezia, Genova, comprese le isole di Ischia, Capri e Pianosa delle Tremiti; addirittura le aree naturalistiche “protette” sulla carta (parchi blu). Senza contare le numerose zone perennemente «interdette alla navigazione», a causa di «Intensa attività aerea militare ed esercitazioni di tiri a fuoco» dalla terra al mare e viceversa, incluse le sperimentazioni belliche. E che dire delle brulicanti piattaforme per lo sfruttamento degli idrocarburi ad un soffio dalla riva?

Nell'estate dell'anno 2023 mentre imperversano sulla scena le finte bandiere blu, comprate con denaro pubblico un tanto al chilo dagli enti locali per imbellettare e vendere meglio l'ex giardino d'Europa, i mari e le coste del Belpaese sono ancora pieni di pericolose bombe inesplose, caricate perfino con aggressivi chimici come l'iprite, l'arsenico e il fosforo, nonché l'uranio impoverito (risalente alla guerra d'aggressione Nato in Jugoslavia) inabissato nell'Adriatico. Più che uno Stivale l'Italia (ormai colonizzata e inquinata ad oltranza) è stata ridotta soprattutto dallo zio Sam, in una discarica bellica. Quali sono le conseguenze sulla salute degli ecosistemi e dell'ignara popolazione tricolore che mangia il pescato e vive su coste e litorali? A proposito d'attualità: perché il governino Meloni - sia pure telecomandato dall'estero - non chiede il conto dei danni ambientali e sanitari a Washington e Berlino?

Nel periodo 1943-1945 sono stati deliberatamente affondati - dagli Alleati anglo-americani e pure dai tedeschi in ritirata - almeno un milione di ordigni chimici proibiti dalla Convenzione di Ginevra del 1925. Uno dei casi più emblematici è quello del litorale tra Fano, Gabicce, Cattolica e Pesaro. Nella capitale italiana della cultura 2024, perché nessuno più fiata sull'esplosivo argomento?



Ad una duplice sollecitazione del sindaco di Pesaro, Luca Ceriscioli (presidente della regione Marche dal 2015 al 2020), sotto forma di missive risalenti al 10 marzo ed al 30 aprile 2010, il Ministero della Difesa - con propria nota numero 2010/2/28833/6-4-2 del 21 giugno 2010 a firma del sottosegretario Giuseppe Cossiga - ha risposto sostenendo che «Da alcuni documenti risalenti al mese di luglio 1944 risulta testimoniato l’affondamento di ordigni al largo di Pesaro mediante una chiatta denominata ‘Maria Pia’. Peraltro l’esame della documentazione concernente ‘l’attività di dragaggio e sminamento eseguita dalla Marina Militare’ ha confermato l’attività di bonifica svolta dalla predetta Forza Armata tra il 1945 e il 1950 nei porti e nelle acque interessate dalla presenza di ordigni bellici incluso il tratto di mare di fronte alla costa del Suo Comune: in tale ambito risulta essere stato recuperato e neutralizzato un ingente quantitativo di ‘fusti e bombe ad aggressivi chimici’ per un totale di 9345 ordigni. In tale quadro ulteriori attività per la verifica dei fondali in parola appaiono di dubbia utilità e foriere di ingiustificato allarmismo. Non risultano in epoca recente testimonianze di ordigni bellici con caricamento all'iprite nelle acque antistanti il litorale marchigiano». 

Invece, come attestano le testimonianze dei pescatori locali e una risposta ufficiale datata anno 1951 dell'allora sottosegretario Tambroni, nonché dai documenti rinvenuti nel National Archives di Londra, tali ordigni effettivamente sono effettivamente presenti all'altezza della costa tra Misano e Cattolica e nel litorale compreso tra Pesaro e Fano.




Nel luglio dell'anno 1944, ben 1316 tonnellate di iprite e 84 tonnellate di arsenico contenuti in ordigni e fusti metallici sono stati affondati nei bassi fondali sabbiosi dinanzi alle coste marchigiane, in particolare davanti alle baie di Fano, Pesaro e Gabicce all'interno di 4300 bombe d'aereo C500T prelevate dalla Luftwaffe in una base di Urbino. Si tratta di materiali altamente tossici giacenti sui fondali dell'Adriatico e che rilasciano lentamente il loro veleno in mare: un fatto ampiamente documentato grazie agli studi e approfondimenti sugli archivi della Luftwaffe di Carlo Gentile, consulente delle principali inchieste giudiziarie sulle stragi naziste in Italia e docente dell'università di Colonia.

L'unità comandata dal maggiore Meyer nascose in un deposito di Urbino notevoli quantità di ordigni, ma il 19 dicembre 1943 - come si evince da un ordine cartaceo di Hitler - emerge dovevano essere spostati in Germania per non cadere nelle mani anglo-americane. Muovere le sostanze letali, per di più in periodo di guerra, era molto difficile; nel luglio 1944, quando il comando tedesco dispose» l'immediata evacuazione del deposito di Urbino senza riguardi per le possibili conseguenze», vennero trasportati con dei camion a Fano e a Pesaro alla vigilia dell'offensiva sulla Linea Gotica e fatti svuotare di notte in mare da squadre speciali.


 




Come già detto, nella seduta pomeridiana della Camera dei deputati del 20 novembre 1951, in risposta a una interrogazione dell'onorevole Capalozza, il Sottosegretario alla Marina mercantile, onorevole Tambroni, confermava la presenza di tale arsenale nei fondali e individuava anche le coordinate dei siti ove si sarebbero trovate almeno una parte delle bombe, ma da allora nulla si è fatto per la bonifica dell'area, né tantomeno è stato oggetto di discussione in ambito parlamentare. Il sindaco di Pesaro, Luca Ceriscioli, in data 10 marzo e 30 aprile 2010 ha inviato al Ministro della difesa due lettere per sollecitare spiegazioni e provvedimenti sopra in oggetto; il 21 giugno 2010 il sottosegretario alla difesa, onorevole, Giuseppe Cossiga (attuale presidente dell'Aiad, nonché figlio di un padre depistatore per eccellenza), propinò al sindaco una menzogna colossale, sostenendo che il dicastero «ha promosso i pertinenti approfondimenti e che le ricerche e le bonifiche dell'area sono state portate a termine tra il 1945 e il 1950. Da alcuni documenti risalenti al mese di luglio 1944 risulta testimoniato l’affondamento di ordigni al largo di Pesaro mediante una chiatta denominata ‘Maria Pia’. Peraltro l’esame della documentazione concernente ‘l’attività di dragaggio e sminamento eseguita dalla Marina Militare’ ha confermato l’attività di bonifica svolta dalla predetta Forza Armata tra il 1945 e il 1950 nei porti e nelle acque interessate dalla presenza di ordigni bellici incluso il tratto di mare di fronte alla costa del Suo Comune: in tale ambito risulta essere stato recuperato e neutralizzato un ingente quantitativo di ‘fusti e bombe ad aggressivi chimici’ per un totale di 9345 ordigni. In tale quadro ulteriori attività per la verifica dei fondali in parola appaiono di dubbia utilità e foriere di ingiustificato allarmismo».

Anche l'ammiraglio Giampaolo Di Paola (in veste di ministro della Difesa) in risposta ad un'interrogazione parlamentare, datata 7 agosto 2012, glissando spudoratamente aveva dichiarato:

«In particolare, evidenzio che da un esame della documentazione concernente l'«Attività di dragaggio e sminamento eseguita dalla Marina militare», si è rilevato che, nel corso dell'attività condotta tra il 1945 e il 1950 nei porti e nelle acque interessate dalla presenza di ordigni bellici, è stato recuperato e neutralizzato un quantitativo di 9.345 «fusti e bombe ad aggressivi chimici... A questa documentazione sono accluse alcune rappresentazioni grafiche che individuano le aree marittime antistanti la città di Pesaro interessate dall'attività. Non risulta, invece, alcuna testimonianza di rinvenimenti, in epoca recente, di ordigni bellici con caricamento all'iprite nelle acque antistanti il litorale marchigiano-romagnolo. I residuati bellici a caricamento chimico si trovano in uno stato di conservazione pessimo, a seguito della prolungata azione della corrosione marina; ciò determina ulteriori difficoltà nella loro rimozione e un elevato rischio per gli operatori, oltre a richiedere l'impiego di mezzi tecnologicamente avanzati, con conseguente aumento dei costi».

Il Resto del Carlino nell'edizione del 16 settembre 2014 ha riportato la seguente intervista: «Le bombe chimiche sepolte davanti alle nostre coste? I nostri amministratori preferiscono mettere la testa sotto la sabbia, mentre in Lazio e in Puglia sono già iniziate le bonifiche». A parlare è stato il presidente del Coordinamento nazionale bonifica armi chimiche, il professor Alessandro Lelli, docente di Economia all’Università di Bologna ma pesarese d’adozione. Il suo obiettivo e ripulire i nostri fondali dai “Veleni di Stato”, ovvero 4300 grandi bombe contenenti iprite ed arsenico che Hitler, il 10 agosto del 1944, diede ordine di disperdere in Adriatico proprio davanti a Pesaro e Cattolica. “Bagagli velenosi” su cui, fino adesso si è preferito non indagare troppo. Professor Lelli, a quattro anni dalla denuncia cos’è cambiato? «Da noi poco o nulla purtroppo. Mentre a Molfetta e a Vico-Ronciglione, grazie anche alla forte mobilitazione civile, sono già iniziati i monitoraggi, e in qualche caso la bonifica». Eppure sono state fatte interrogazioni parlamentari. Lei stesso è riuscito ad ottenere con il Coordinamento nazionale un’audizione in Commissione Ambiente in Senato con Di Feo… «E’ vero. Inizialmente tutti i politici si appassionano al problema, ma poi si scontrano con la criticità della situazione, e tutto muore nel nulla».Ma la situazione è critica? «Certo, le bombe sono ancora lì. Non si sa se si siano aperte, o quanto siano pericolose. Quello che è certo è che i pescatori molto probabilmente le pescano ancora, poi ributtano tutto in mare, compreso il pescato». Eppure verificare dove sono è possibile… «Ci sono documenti ufficiali e noti che riportano le coordinate precise dei cimiteri sottomarini».  Sono le coordinate già contenute in una risposta del sottosegretario Tambroni all’interrogazione parlamentare dell’onorevole fanese Capalozza del 1951. Con le moderne tecnologie a disposizione, non dovrebbe essere difficile individuare le bombe. «In realtà delle sei coordinate indicate, due risultano a terra, probabilmente per un errore di trascrizione, quindi andrebbero verificate. Ma con la tecnologia e i mezzi della Marina Militare, la loro individuazione dovrebbe essere veloce e non troppo costosa. Un’azione doverosa, soprattutto perché il mare è un elemento fondamentale per la nostra economia».

Denunce e convegni, lettere di sindaci e presidente di Regione, interrogazioni parlamentari ripetute più o meno con le stesse parole. Insomma, tante roboanti dichiarazioni di principio, scaricate nel solito dimenticatoio tricolore. Gli ordigni a carica di gas proibiti nei fondali italiani sono ancora innescati in fondo al mare a mietere vittime.


Post scriptum

La Convezione di Parigi del 1997, istitutiva dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC), prevede, tra l'altro, che la suddetta Organizzazione assicuri l'attuazione della Convenzione, fornisca assistenza e protezione a tutti gli Stati Parte vittime di minacce o aggressioni con armi chimiche e promuova la cooperazione internazionale per lo sviluppo della chimica a fini pacifici, nonché attribuisce all'Organizzazione la facoltà di effettuare accertamenti di vario tipo per verificare che gli Stati Parte rispettino i prescritti obblighi ed, in particolare, che distruggano tutte le armi chimiche in loro possesso e non ne producano di nuove. L'Italia risulta essere in possesso di armi chimiche prodotte prima del 1946. Tali armi avrebbero dovuto essere distrutte nel rispetto di una particolare procedura entro il 31 dicembre 2012. Tuttavia, all'Italia è stata concessa una deroga temporale, per il prosieguo dell'attività di distruzione delle suddette armi, senza la prescrizione di una data stabilita, né a breve né a medio termine. Pertanto, l'Italia deve distruggere gli ordigni chimici in suo possesso «nel più breve tempo possibile» fornendo su base volontaria un rapporto riguardante le attività di distruzione. L'Organizzazione ha riconosciuto all'Italia per la distruzione delle residue armi chimiche presenti nel territorio nazionale un contributo pari a 3.347.667 euro. Ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 496 del 1995 «Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche e sulla loro distruzione, con annessi, fatta a Parigi il 13 gennaio 1993», come modificata dalla legge 93 del 1997, il Ministero degli affari esteri è designato come Autorità nazionale. il Ministero della difesa provvede tramite il Centro tecnico logistico interforze (Ce.T.L.I.) alla distruzione degli ordigni a caricamento chimico dando attuazione agli accordi internazionali sottoscritti dall'Italia sulla distruzione delle armi chimiche; il centro può contare fino al 2023 su un finanziamento annuo di 1,2 milioni di euro (articolo 57, legge n. 99 del 23 luglio 2009) avendo le potenzialità tecnico-economiche per neutralizzare circa 1.500 ordigni l'anno.


Riferimenti:

https://www.marina.difesa.it/noi-siamo-la-marina/pilastro-logistico/scientifici/idrografico/Pagine/AggiornamentiPubblicazioni.aspx

https://www.youtube.com/watch?v=WnV2dr260Ms

https://www.marina.difesa.it/noi-siamo-la-marina/pilastro-logistico/scientifici/idrografico/Documents/PREMESSA_2021/Premessa_2021_aggiornata_al_27_2020.pdf

https://legislature.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0801/rsi0801.pdf

https://documenti.camera.it/_dati/leg13/lavori/bollet/200002/0208/pdf/08.pdf

https://www.marina.difesa.it/noi-siamo-la-marina/pilastro-logistico/scientifici/idrografico/Pagine/Avvisi.aspx

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=iprite

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2022/07/ustica-adriatica.html

https://www.ilrestodelcarlino.it/pesaro/cronaca/bombe-chimiche-sepolte-in-mare-lelli-1.214742

https://www.ilrestodelcarlino.it/pesaro/cronaca/armi-chimiche-fondali-1.292742

https://www.ilrestodelcarlino.it/pesaro/cronaca/foto/bombe-spiaggia-fiorenzuola-ficara-1.669999

https://va.mite.gov.it/File/Documento/128180

https://aic.camera.it/aic/scheda.html?core=aic&numero=2/02239&ramo=C&leg=13 

https://aic.camera.it/aic/scheda.html?core=aic&numero=4/24318&ramo=C&leg=13

https://www.startmag.it/economia/difesa-chi-e-giuseppe-cossiga-nuovo-presidente-aiad-al-posto-di-crosetto/

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=meloni

Gianni Lannes, IL GRANDE FRATELLO. STRATEGIE DEL DOMINIO, Draco edizioni, Modena, 2012.

Gianni Lannes, ITALIA USA E GETTA, Arianna editrice, Bologna, 2014.

Gianni Lannes, BOMBE A.. MARE!, Nexus edizioni, Battaglia Terme, 2018.


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