4.2.17

L’ ITALIA CONDANNATA PER I RIFIUTI ENICHEM DI MANFREDONIA


di Gianni Lannes


Un ecocidio in piena regola e ancora in atto, favorito dall'omertà delle istituzioni italiane, a livello nazionale e locale. Chi ha autorizzato un impianto di maricoltura in un'area notoriamente inquinata dall'Eni, perimetrata dal ministero dell'Ambiente il 10 gennaio 2000 (Gazzetta Ufficiale del 26 febbraio 2000), dove l'Ispra ha riscontrato oltre all'arsenico anche il mercurio nei sedimenti marini? Muore il presente: se non verranno sanate al più presto queste ferite sanguinanti Manfredonia e la Daunia non avranno futuro.
 
Con la sentenza della Corte di Giustizia europea (quinta sezione) del 25 novembre 2004, nella causa C-447/03, avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’ articolo226 CEE, proposto il 22 ottobre 2003, l’Italia è stata condannata per non avere adottato le misure necessarie per assicurare che i rifiuti stoccati o depositati in discarica, presenti nel sito dell’ex area Enichem di Manfredonia fossero recuperati e smaltiti senza pericolo per la salute.

In ogni caso, non c’è ancora giustizia terrena, dopo la farsa del processo terminato con una vergognosa assoluzione giudiziaria nel 2011 al tribunale di Foggia. Un crimine di Stato della multinazionale Eni che dal 1971 avvelena e falcidia la popolazione civile, mentre i sindaci Prencipe, Campo e Riccardi non hanno tutelato e salvaguardato la salute pubblica e l'ambiente. In compenso, il contratto d’area gestito dai “primi cittadini” ha sperperato una gran quantità di denaro pubblico, intascato da famigerati prenditori soprattutto del nord, in particolare Sangalli e Marcegaglia, nonché da esponenti della casta parassitaria per eccellenza. Oggi l’Eni invece di essere obbligata a bonificare terra e mare, intende realizzare un altro affare a spese della Daunia, tombando le aree inquinate che disperdono nel sottosuolo, nelle falde idriche e nell’Adriatico i loro pericolosi veleni tossici e radioattivi, impiantando un impianto fotovoltaico benedetto dal “primo cittadino” pro tempore che si atteggia a feudatario invece di dimettersi. Addirittura, lo Stato italiano intende autorizzare la realizzazione in loco di un gigantesco impianto di gas a petrolio liquefatto imposto dall’Energas/Kuwait Petroleum, dopo la vendita di Finmeccanica al governo del Kuwait di 28 aerei da guerra sponsorizzati dal ministro Pinotti.
 
Nella poco nota sentenza del 25 novembre 2004 emessa dalla Corte di Giustizia Europea, si legge a chiare lettere:

«La Commissione ha quindi constatato, per quanto riguarda i rifiuti presenti sul sito Enichem, che le autorità italiane non avevano chiarito, salvo il suolo contaminato da arsenico e da anidride arseniosa, se i rifiuti fossero stati asportati o meno e che le stesse autorità non avevano fornito alcuna informazione sull’effettiva esecuzione dei progetti preliminari per la messa in sicurezza dell’area di cui trattasi, né sull’approvazione definitiva di tali progetti. La Commissione ha altresì rilevato che le autorità italiane non avevano fornito alcuna informazione sul ricupero o lo smaltimento dei fanghi «accelator», contenuti in una delle discariche denominate «4», nell’isola 12 del sito Enichem, sul ricupero o lo smaltimento dei 3 500 fusti metallici contenenti rifiuti contaminati da arsenico, situati nell’isola 14 dello stesso sito, sul ricupero o lo smaltimento dei rifiuti depositati nelle discariche delle isole 16 e 17 del detto sito (code benzoiche, code tolueniche, rifiuti provenienti dall’impianto di purificazione di caprolattame, costituiti essenzialmente da farine fossili, caprolattame e biossido di manganese). Le autorità italiane hanno altresì indicato che, sul sito Enichem, risultavano depositati rifiuti nelle isole 5, 12, 14, 16 e 17, aggiungendo che le discariche contenenti tali rifiuti sono sprovviste di presidi idonei ad impedire la dispersione degli inquinanti nell’ambiente e che, per di più, i lavori di messa in sicurezza di emergenza di tali discariche erano impediti dal sequestro disposto dall’autorità giudiziaria che aveva richiesto, prima di qualsiasi intervento, l’espletamento dell’iter istruttorio relativo al progetto di bonifica…  Il governo italiano ha fatto valere inoltre che, per quanto riguarda in particolare le discariche «D» e «A» dell’isola 16 del sito Enichem, la fine dei lavori di svuotamento e relativo smaltimento sarebbe avvenuta rispettivamente nel febbraio e nel dicembre 2004 e che l’attuazione del complesso delle misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica assicurerà la rimozione delle fonti inquinanti ed il loro conseguente smaltimento, prevenendo in tal modo la diffusione dell’inquinamento… Non avendo adottato le misure necessarie per assicurare che i rifiuti stoccati o depositati in discarica, presenti nel sito dell’ex stabilimento Enichem di Manfredonia (provincia di Foggia) e nella discarica di rifiuti urbani Pariti I, sita nella zona di Manfredonia, fossero ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente, e non avendo adottato le disposizioni necessarie affinché il detentore dei rifiuti stoccati o depositati in discarica presenti nel sito Enichem e il detentore dei rifiuti presenti nella discarica Pariti I e nella discarica di rifiuti urbani Conte di Troia, anch'essa sita nella zona di Manfredonia, consegnassero tali rifiuti ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni previste nell’allegato II A o II B della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata della direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, oppure provvedessero essi stessi al loro ricupero o smaltimento, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4 e 8 della detta direttiva. La Repubblica italiana è condannata alle spese».

Il sito del petrolchimico Enichem è diventato sede di nuove attività industriali, spesso fallimentari e di rapina del denaro pubblico,  nate  nell’ambito  del  Contratto  d’Area inventato da prodi nel 1996, che,  con  un investimento di 1.200 miliardi delle vecchie lire, ha consentito l’avvio  di  circa  80  iniziative affaristiche.  L’insediamento delle nuove aziende è avvenuto, però, tenendo in scarsa considerazione  la  presenza  di  aree  ancora  occupate  dagli  impianti dello  stabilimento  chimico  in  corso  di  smantellamento  e  l’esigenza di bonificare l’intera area, soggetta oltretutto ad una particolare procedura, in quanto inserita tra i 15 maggiori «Siti di interesse nazionale». I problemi maggiori  della  complicata  vicenda  Enichem  riguardano  oggi  i rifiuti tossici che per anni l’azienda ha sepolto, abusivamente, nei terreni dello stabilimento. Secondo i dati forniti dalla stessa Enichem le discariche contengono 28.000 tonnellate di code benzoiche, 9.000 tonnellate di code tolueniche, 1.000 tonnellate di fanghi permanganato, 2.000 tonnellate di fanghi biologici, oltre a decine di migliaia di tonnellate di materiali contaminati dall’arsenico fuoriuscito nel 1976. Lo Stato italiano, disattendendo  l’obbligo  di  bonificare  il  sito,  è  stato  condannato dalla  Corte  di  Giustizia  europea,  con  sentenza  del  25  novembre 2004, per inadempienza in materia ambientale nella gestione dell’inquinamento del sito «Enichem» di Manfredonia. Le bonifiche – per le quali l’Enichem ha ricevuto ingenti finanziamenti  statali,  in  contrasto  con  il  principio  europeo (Convenzione di Aarhus del 1998) del «chi inquina paga» –  non è mai stata avviata avviata dopo anni dall’inserimento di Manfredonia nel Sin della legge 426.

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