10.2.17

I TESORI SOMMERSI DI MANFREDONIA



 
foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)


di Gianni Lannes

Il levantazzo è gonfio d’acqua salata e sferza la distesa dai colori d’arcobaleno in cui spiccano il verde e il blu cobalto. Alla terza immersione il corallo rosso appare in tutta la sua primordiale bellezza. La ricerca sul campo dà sempre i suoi frutti. Infatti l’indicazione che avevo letto sui Banchi di corallo esplorati dalla Regia nave Volta nell’estate del 1913, di G. Mazzarilli (in Annuali dell’Industria, Roma, Tip. Cecchini, 1915) riporta questa citazione: «Dalle notizie ricevute risulterebbe che soltanto nel Golfo di Manfredonia, a distanza variabile dalla costa, esistono banchi coralliferi. La pesca tentata anni fa riuscì infruttuosa». C’è di più: sulla carta numero 014 (edizione del 1872) del Regio Istituto Idrografico il fondo del luogo è indicato proprio come “corallifero”.
Una visione diretta attesta l’integrità e la varietà di vita - Posidonia e Zosteracee (Zostera o Cymodocea) - che caratterizza questi fondali comunque martoriati dai razziatori esplosivi soprattutto baresi, documentata peraltro anche dalle carte biocenotiche bentoniche più aggiornate dell’Adriatico Meridionale.

In fondo a questo mare, inoltre, giacciono innumerevoli reperti e relitti di navi risalenti ad antiche epoche, ma addirittura una città sommersa (l'antica Siponto). Perché lo Stato non riporta alla luce questi tesori nascosti, invece di seguitare a distruggere e devastare questa bellezza unica al mondo? Il beneficio culturale ed economico sarebbe a dir poco incommensurabile. Ma prima di tutto l'Eni deve sanare effettivamente le ferite inferte senza pietà che hanno provocato malattie e morti.

Non è tutto in questo angolo magnifico del Mediterraneo. La terraferma è uno scrigno archeologico quasi del tutto inesplorato comunque ampiamente saccheggiato dai tombaroli spesso con il beneplacito istituzionale. Come aveva già accertato nel 1945, l’archeologo John Bradford, individuando attraverso la fotografia aerea, ben 200 siti archeologici ufficialmente sconosciuti, il Tavoliere è una ricca sopresa; a tutt’oggi ne sono stati esplorati appena una dozzina. La letteratura scientifica, inoltre, è una miniera storica straordinaria, a cui ha dato impulso soprattutto una schiera di ricercatori inglesi dell’università di Oxford. Il volume Daunia Vetus sulle lagune scomparse di Catherine Delano Smith, edito nel 1978, si trova alla Biblioteca Provincia di Foggia: fondamentale per un’immersione preliminare in questa terra magica, amata più di ogni altra da  Federico II di Svevia. In loco suo figlio, Manfredi, dopo il terremoto che distrusse Siponto, fondò nel 1256 l’odierna Manfredonia.
 
Qui ai piedi del mitico Gargano, esattamente nella Daunia, dove si legge la continuità di ben 10 mila anni di storia (il più antico popolamento umano d’Europa), si avverte una profondità del tempo che fa perdere l’orientamento. C’è n’è abbastanza ad un’oculata politica del bene comune, per garantire il futuro degli autoctoni. Questo paradiso in terra può essere goduto per sempre da tutti, a patto di non distruggerlo o di svenderlo al peggior profittatore di turno. Ma allora perché non realizzare un acquario mediterraneo, regate veliche di livello internazionale, ed immersioni subacquee guidate? Perché mai l'Università di Foggia non apre una facoltà di Biologia Marina?
 
Parola del Puer Apuliae: «Se il Signore avesse conosciuto questa piana di Puglia, luce dei miei occhi, si sarebbe fermato a vivere qui».

Giovani di Manfredonia siete il presente ed il futuro: su la testa! 







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