Carta titoli minerari aggiornata al 28 febbraio 2023 |
di Gianni Lannes
“Nuove trivelle in mare, per rendere l'Italia più indipendente sul fronte del gas e metterlo a disposizione delle aziende più energivore a prezzi calmierati”. Nel novembre 2022 il Consiglio dei ministri targato Meloni (con l'appendice Berlusconi) ha dato il via libera alla norma sulle nuove concessioni per aumentare l'estrazione di gas in Adriatico, anche a partire dalle 9 miglia dalla costa. Obiettivo è aumentare l'estrazione di gas dai giacimenti già esistenti, da cui nel 2021 sono stati ricavati appena 3,3 miliardi di metri cubi per contribuire - in teoria - a ridurre l'importazione dalla Russia e rendere l'Italia più indipendente sul fronte energetico. Fumo negli occhi della gente?
Evidenti obiezioni? Ammesso che venga estratto chissà quanto gas e petrolio nell’Adriatico e più in generale nei mari italiani, se va bene potremmo soddisfare tra il 5 e il 7 per cento del fabbisogno nazionale fra non meno di un lustro, ossia quantitativi risibili che i concessionari otterranno con la deroga ad estrarre entro e non oltre le 12 miglia marine. Di questo 5 – 7 per cento di gas o petrolio estratto ai cittadini andrebbe, a prezzo calmierato, solo una parte “concessa” dai concessionari. Mi chiedo invece cosa sarà dei tre giganteschi parchi eolici, anch’essi dal forte impatto che verranno realizzati nell’Adriatico ambientale, ad esempio nel Gargano, tra Bari e Barletta e in Salento tra Castro e Leuca, proprio nelle zone dove si rischia che vengano rilasciate le autorizzazioni alle ricerche petrolifera.
Il pericolo è lo sprofondamento dei terreni e dei fondi marini, che in seguito alle trivellazioni degli anni Cinquanta sono stati imponenti e devastanti. Ci sono zone in cui il fondo si è abbassato di quattro metri, con una progressione dei cedimenti anche oggi inesorabile. Nel Polesine è stato un disastro colossale. Più di tutto, l'estrazione di idrocarburi può indurre e provocare terremoti disastrosi. Ma la popolazione ignora questo aspetto della questione.
In Italia i giacimenti di gas realmente operativi sono circa 500 sul totale di circa 1300 censiti, che producono quasi 4.500 miliardi di metri cubi di gas. Le coste dell’Adriatico centro-settentrionale fanno la parte del leone producendone oltre la metà, il resto viene dai giacimenti della terraferma, soprattutto della Basilicata che da sola garantisce i tre quarti di gas estratto a terra. Le stime del nuovo Ministero dell’ambiente e sicurezza energetica parlano di un potenziale di poco meno di 40 miliardi di metri cubi di gas da estrarre, di cui meno della metà (il 46%) dalle profondità marine.
Nelle attività di ricerca ed estrazione di gas sono state inserite anche quella al largo della foce del Goro sul delta del Po (storicamente esclusa per rischi di subsidenza e per la fragilità del sistema complessivo della foce del fiume) e la costa al largo di Agrigento, con la possibilità per ENI di riproporre la richiesta di concessione per i due pozzi siciliani Panda e Panda W1. In entrambi i casi i concessionari devono dimostrare non solo l’assenza di effetti di subsidenza significativi, ma anche la presenza di “elevato potenziale minerario”, traducibile in una capacità complessiva del giacimento superiore a 500 milioni di metri cubi.
Il ministro pro tempore dell’Ambiente, tale Gilberto Pichetto Fratin ha dato i numeri, dichiarando che “potenzialmente si stima una quantità di 15 miliardi di metri cubi sfruttabili nell’arco di 10 anni”. A conti fatti, tuttavia, è minimo l’impatto sulla indipendenza energetica. Sommando riserve certe e probabili, avremmo poco più di un anno di consumi di gas. Con impatti minimi su indipendenza e costo dell’energia. Le motivazioni ufficiali alla base della solita decretazione d’urgenza relative alla sicurezza degli approvvigionamenti sono inconsistenti, dato che il nostro fabbisogno annuale di gas si aggira attorno ai 76 miliardi di metri cubi e che la produzione annuale di gas nazionale pesa attorno ai 3-5 miliardi di metri cubi l’anno e, secondo le stime del governo, l’incremento atteso con l’emendamento sblocca trivelle è di 15 miliardi di metri cubi in 10 anni, vale a dire 1,5 miliardi di metri cubi l’anno, che sarebbero equivalenti solo all’1,9 per cento del fabbisogno nazionale. Un intervento che non contribuirebbe a sganciarci dalla dipendenza dal gas russo e danneggerebbe gli ecosistemi marini già messi a dura prova da uno sfruttamento senza limiti.
Riferimenti:
https://www.agi.it/economia/news/2022-11-04/ok-a-nuove-trivelle-gas-calmierato-per-aziende-18717107/
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=gas
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