30.3.23

ENI REWIND: UN INCENERITORE DI RIFIUTI A VENEZIA

 

foto Gilan

di Gianni Lannes

Un preannunciato disastro ambientale, autorizzato e legalizzato in un ecosistema delicato. Al peggio sembra non  esserci fine per la martoriata Venezia. Non bastavano i fosfogessi radioattivi a Porta Marghera gettati in laguna.  Nel mese di novembre 2022, Eni Rewind s.p.a. ha presentato alla regione Veneto istanza per l'avvio del procedimento teso all'emanazione del provvedimento di autorizzazione unica regionale per la realizzazione di un impianto di valorizzazione fanghi da depurazione civile nel comune di Venezia.

Il progetto riguarda la costruzione e l'esercizio di un nuovo impianto di termovalorizzazione, localizzato nell'ambito del sistema portuale di Porto Marghera e finalizzato al trattamento di 190.000 tonnellate l'anno di fanghi, la maggior parte dei quali provenienti dagli impianti di depurazione a servizio di tutti i gestori del servizio idrico integrato della regione Veneto.

L'area di progetto risulta essere l'isola 46, di circa 58.000 metri quadri, ai margini del polo chimico, verso il bordo sud-ovest della seconda zona industriale di Porto Marghera, che affaccia sul Canale industriale sud. A nord, oltre la strada, l'area confina con un'area classificata umida minore dal Piano di assetto del territorio (Pat) del comune di Venezia.

L'intervento interessa aree perimetrate a pericolosità e rischio idraulico dal «Primo aggiornamento del Piano di gestione del rischio alluvioni» (Pgra).

L'area di progetto si affaccia sul Canale industriale sud, direttamente connesso ai corpi idrici della Laguna di Venezia, primo fra tutti il corpo idrico denominato «Marghera» e pertanto la realizzazione dell'impianto avrebbe impatti diretti ai fini della tutela dei corpi idrici sul delicato e già compromesso ecosistema della Laguna di Venezia, sito della rete Natura 2000, Zps identificata dal codice IT3250046.

Il polo industriale di Porto Marghera è classificato Sito di bonifica di interesse nazionale (Sin) perimetrato con Dma del 23 febbraio 2002.

I fanghi di depurazione civile derivano dal trattamento non solo dei reflui domestici, ma anche dei reflui provenienti da attività industriali e artigianali. Per quanto questa categoria di rifiuti (identificata con codice EER 100805) non sia considerata pericolosa, numerose analisi effettuate dagli stessi gestori degli impianti di depurazione e dagli enti di controllo come Arpav, dimostrano che nelle frazioni liquide e solide a valle del trattamento sono presenti numerose sostanze tossiche o nocive, come ad esempio: idrocarburi, metalli, diossine, Pcb, pesticidi, e soprattutto Pfas.

a seguito del processo di combustione di tali sostanze tossiche, verrebbero disperse in atmosfera e, di conseguenza, nei suoli e nelle acque, provocando pericolose conseguenze di ordine sanitario e ambientale.

Diversi documenti scientifici, tra cui un importante relazione di Epa (l'Agenzia per la protezione dell'ambiente degli Stati Uniti), informano sui gravi rischi dell'incenerimento di rifiuti a contenuto Pfas, in quanto tali composti risulterebbero difficilmente degradabili e molto resistenti alle alte temperature e quindi ancora presenti nei gas in uscita dai camini, come frammenti delle molecole originarie. Inoltre è da tenere in considerazione che la normativa di settore non prevede alcun limite di riferimento per le emissioni gassose di tali sostanze.

L'elevata contaminazione dei fanghi prodotti in Veneto trova conferma nel fatto che solo una minima percentuale può essere riutilizzata in agricoltura. Particolarmente grave è la contaminazione da Pfas, soprattutto nelle aree delle province di Vicenza, Verona e Padova interessate dal grave disastro ambientale provocato dalla ditta Miteni.

 

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