Più gas dall'Adriatico? Venezia e Chioggia andranno per sempre sott'acqua. Non bastava il noto rischio maremoti in Italia, la subsidenza e i terremoti indotti dalle trivelle. Nel Consiglio dei ministri che ha approvato il Nadef, nel quale si prevedono 30 miliardi di euro per fronteggiare il costo delle bollette nel 2023, è stato dato il via libera a nuove concessioni in Italia per le trivelle off-shore. La norma dovrebbe essere inserita con un emendamento nel nuovo decreto-legge “Aiuti ter”, all’esame del Parlamento, con l’obiettivo di rifornire di gas italiano soprattutto le imprese energivore a prezzi calmierati.
“Chiederemo ai concessionari che dovessero aderire di mettere a disposizione, in cambio, da gennaio gas tra 1 miliardo e 2 miliardi di metri cubi da destinare ad aziende energivore a prezzi calmierati”, ha spiegato inquilina di Palazzo Chigi, Giorgia Meloni, nella prima conferenza stampa a fine Cdm. Il provvedimento era stato già avanzato dall’ex ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ed è passato nelle mani dell’attuale responsabile dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, e potrebbe autorizzare nuove concessioni decennali tra le 9 e 12 miglia nel Sud e nel medio Adriatico “in deroga al decreto legislativo del 2006 che invece precludeva nuove attività in materia di idrocarburi nelle aree marine protette e nelle 12 miglia da dette aree e dalla costa” come ha spiegato il neo-ministro.
La deroga è prevista solo con riferimento “a siti con elevato potenziale minerario (riserva certa superiore a 500 milioni metri cubi) e a condizione che i titolari delle nuove concessioni aderiscano a sostegno dei clienti finali industriali a forte consumo di gas” a prezzo calmierato.
“Potenzialmente si stima una quantità di 15mld mc sfruttabili nell’arco di 10 anni“, ha spiegato Pichetto Fratin. La produzione di gas italiano negli ultimi vent’anni è crollata da 17 miliardi di metri cubi l’anno ai 3,3 miliardi del 2021. Una volta a regime, le nuove concessioni dovrebbero permettere di raddoppiare la produzione fino a 5-6 miliardi di metri cubi all’anno, con i quantitativi da assegnare gestiti attraverso aste del Gse, il Gestore servizi energetici.
A conti fatti, l'apporto di questa attività estrattiva all'autonomia energetica dell'Italia non appare particolarmente significativa. Ecco il responso tecnico e scientifico di uno studio risalente all'anno 2020:
«La subsidenza nella Regione Emilia-Romagna rappresenta un fenomeno particolarmente critico per la fascia costiera contribuendo ad accentuare i fenomeni di erosione costiera e ingressione marina. Numerosi studi e monitoraggi dei suddetti fenomeni sono stati effettuati da Università, enti di ricerca e dalla Regione Emilia-Romagna stessa; ciò che è emerso da questi studi è un rilevante abbassamento del suolo riconducibile ad una più intensa attività antropica dell’area nel corso del XX secolo. È stato osservato che tra i diversi fattori potenzialmente rilevanti per la deformazione del suolo vi è certamente la forte urbanizzazione, aumentata esponenzialmente negli ultimi 65 anni; inoltre, altri fenomeni potenzialmente rilevanti sono riconducibili allo sviluppo del sistema portuale, l’aumento dei sistemi di difesa costiera rigida, e non ultimo, lo sviluppo a partire dagli anni ’50 e ’80 di attività estrattive minerarie, oltre ai prelievi idrici dal sottosuolo».
L’area a cui punta l'esecutivo tricolore che prende ordini dallo zio Sam, è quella a largo del comune di Goro, in provincia di Ferrara, dove sarebbero presenti almeno dai 50 ai 70 miliardi di metri cubi di gas in vari giacimenti già scoperti e mappati negli anni ‘90 dall’allora Agip, ma mai messi in produzione, nella maggior parte dei casi a più di 12 miglia di distanza dalla costa. Secondo il ministro per le Imprese e made in Italy, il tuttologo Adolfo Urso, non ci sarebbe nemmeno bisogno di nuove trivellazioni ma “si può ripartire raddoppiando la produzione dagli attuali pozzi e poi con le trivellazione nell’Adriatico centrale al largo della coste, c’è un giacimento comune con la Croazia da cui estrarre 70 miliardi di metri cubi in più anni”.
I pozzi italiani sono in tutto 1298: 514 sono classificati come ‘eroganti’, quindi attivi, mentre 752 sono ‘non eroganti’, quindi al momento non sfruttati. I restanti 32 sono impiegati come raccordi tra altri pozzi o per il controllo dei flussi. Secondo Assorisorse, le trivelle attive al momento in Italia sarebbero una novantina fra terra e mare, localizzate in 15 regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto. Le piattaforme marine sono 138, di cui il 40 per cento non è operativo, con 94 piattaforme a meno di 12 miglia di distanza dalla costa.
Nel telecomandato governo Meloni c'è già una classica novità: il rientro a Palazzo Chigi di Roberto Cingolani, ex ministro della Transizione energetica, fortemente voluto da Draghi, che resta, dopo il colloquio con miss Meloni, nel ruolo di advisor all’energia, nonoxtante i suoi enormi conflitti di interesse e la sua dimostrata incapacità ministeriale. “Occorre terminare il lavoro sul price cap e sul rigassificatore – ha spiegato Cingolani all’Adnkronos -. Sarò consigliere di Meloni in materia energetica. C’è da finire tutto il lavoro sul tetto al prezzo del gas, che è stato sì approvato, ma ora bisogna lavorare su termini e condizioni. Resterò a lavoro, ma non retribuito, per superare l’inverno vista l’emergenza che ci troviamo a fronteggiare”, dunque “mettere in sicurezza questo periodo”.
La preoccupazione per le gravissime conseguenze che un fenomeno di subsidenza, indotto dall’estrazione di metano dal sottosuolo, provocherebbe nel fragile territorio lagunare, ha indotto la popolazione del Veneto ad esprimere la propria contrarietà alle trivelle con un referendum.
L’alto Adriatico, e soprattutto la
laguna di Venezia, è un territorio di formazione geologica molto
recente, con sedimentazioni alluvionali del quaternario, che è
quindi già soggetto in ogni caso ad un processo di compattazione e
di subsidenza naturale (da 4 a 10 centimetri al secolo, con valori
superiori nel delta del Po). La gestione ambientale, socio-economica
e degli insediamenti nel territorio ha avuto, pero`, di anno in anno
e di secolo in secolo, il tempo di adattarsi e attrezzarsi facendo
fronte a questo fenomeno naturale ineliminabile. Ma i fenomeni a cui
si va incontro in caso di subsidenza con valori molto consistenti e
in tempi molto brevi sono estremamente piu` gravi e territorialmente
sconvolgenti. Il fenomeno piu` evidente, perche ́ immediatamente
percepito, è quello delle «acque alte» a Venezia e a Chioggia,
ulteriormente aggravatosi negli ultimi decenni per l’innalzamento
del livello del mare (eustatismo di 8,8-10,5 centimetri in questo
secolo), per l’abbassamento del suolo (subsidenza complessiva da
9,5 a 13 centimetri, indotta soprattutto dalla grande estrazione di
acqua dal sottosuolo nel dopoguerra per le industrie di Marghera,
sospesa dopo l’alluvione del 1966), per lo squilibrio
idraulico-morfologico (in grado anche di accentuare le punte di
marea) causato dagli interventi meno compatibili attuati nel bacino
lagunare.
Occorre aver anche presente che, sulla
base delle frequenze delle maree alle diverse quote negli ultimi
decenni, un fenomeno di subsidenza ulteriore indotto dall’estrazione
di gas porterebbe in caso di meno 20 centimetri all’allagamento di
piazza San Marco per due giorni su tre e in caso di meno 30
centimetri all’allagamento permanente. Ma, oltre questi, vi sono
altri fenomeni e problemi. Prima di tutto con fenomeni di subsidenza
anche del fondo marino si indebolisce il sistema delle «difese a
mare». Inoltre si diminuisce o si impedisce il ripascimento naturale
o artificiale dei litorali (gli abbassamenti dei fondali fungono da
«trappole» che catturano il materiale), innescando processi di
erosione che confliggono con l’uso turistico-balneare delle
spiagge.
Alle spalle della costa, nei terreni
agrari, la subsidenza fa avanzare il cuneo salino con conseguente
riduzione di volume e percio` abbassamento dei terreni torbosi, e
anche nelle aree piu` interne fa «saltare» il franco di bonifica,
innalza le quote delle falde freatiche, modificando le
caratteristiche stesse del suolo, portando alla morte delle
coltivazioni (come, ad esempio, la moria di pescheti nel ravennate) e
sconvolgendo l’intero sistema di bonifica e di gestione delle
acque.
Sono i processi di subsidenza che hanno
messo fuori gioco in Polesine la grande idrovora di Cà Vendramin e
il sistema di uscita delle acque dal canale, o «scolo» veneto,
verso la bocca del Po di Goro con sistemi di porte ormai
inutilizzabili. In presenza di terreni di natura torbosa la mancanza
di acque dolci e l’avanzamento del nucleo salino e di acque salate
portano ad una drastica riduzione volumetrica dei terreni con
conseguente ulteriore drastico abbassamento del suolo; è questo
fenomeno che dopo il taglio del canale Brenta Novissimo (1613)
determino` l’abbassamento repentino dei suoli agricoli e la
comparsa delle valli da pesca nella laguna di Venezia sud-occidentale
(fenomeno chimico-fisico spiegato ancora nel 1809 da Antonio
Tadini).
Anche il sistema delle valli da pesca
viene completamente sconvolto dalla subsidenza: la coltivazione
naturale del pesce con la «monta» e la «smonta» che funzionano
con il gioco di dislivello delle acque viene impedita; è quello che
è successo nelle valli da pesca del delta del Po ricomprese tra il
Po di Venezia, il Po di Pila e l’Adige.
Inoltre, va tenuto presente che nel caso di città come Chioggia e Venezia la subsidenza non provoca solo il fenomeno delle acque alte, ma insidia le stesse basi strutturali su cui poggiano le città. Ciò permette alle acque di dissestare sempre piu` le fondazioni degli spazi aperti e degli edifici con il «gioco» delle maree ordinarie e di intaccare con l’umidità e la salsedine parti sempre piu` consistenti degli edifici e dell’armatura urbana. Non si può discutere del rischio di subsidenza solo sulla base di modelli matematici, sia perchè essi hanno clamorosamente sbagliato le previsioni in precedenti occasioni, sia perchè modifiche nel numero e nella qualità delle variabili considerate e anche minimali variazioni nei parametri e negli indici inseriti nei modelli possono portare a conclusioni completamente diverse. Sono necessari quindi sia i dati scientifici relativi alla consistenza e alle caratteristiche dei giacimenti, del terreno soprastante e dei loro dintorni, sia i dati complessivi che permettano una valutazione strutturale dell’intero sottosuolo adriatico antistante e sottostante la laguna di Venezia e il delta del Po. In particolare, è necessario conoscere la struttura e la geometria degli acquiferi laterali per valutare la possibilità di fenomeni di subsidenza indotta sotto i litorali e sotto la laguna, conconseguenze che si irradierebbero a grande distanza – decine di chilometri – dai pozzi di estrazione, come quelle che si sono gia` verificate per estrazioni dal sottosuolo nel basso Polesine, nel ravennate e nel mare antistante.
Si deve tenere presente che sino ad
oggi non si dispone di una sicura tecnologia che consenta di
ripressurizzare il sottosuolo contestualmente all’estrazione di
gas, unica soluzione che potrebbe forse rendere possibile un giorno
l’estrazione del gas dal sottosuolo senza ingenerare fenomeni di
subsidenza. In realtà, neanche in questo caso si potrebbe essere
sicuri di un rischio di subsidenza zero, essendo possibili diversi
comportamenti fisici e chimici dei gas e dei fluidi nel sottosuolo in
interazione con i diversi, e diversamente situati e relazionati,
materiali del contesto. Una volta innescato il fenomeno della
subsidenza, anche interrompendo l’estrazione di gas, l’abbassamento
del suolo continuerebbe a manifestarsi per diversi anni (almeno
sei-nove anni).
Vanno anche studiati elementi come
faglie tettoniche e mappe di rischio e i pericoli di movimenti
sismici come quelli verificatisi per estrazioni di idrocarburi
nell’Olanda del nord (120 scosse dal 1968, di un’intensita` fino
a 3,2 gradi della scala Richter). In Italia ci sono ormai certezze, dopo il recente sisma al largo di Pesaro (9 novembre 2022): il grande giacimento Barbara, al largo di Ancona, è
stato sospettato di essere all’origine di sciami sismici
verificatisi nei primi anni Settanta (4 giugno 1972: terremoto di
Ancona). Va ricordato che la città fu oggetto di fenomeni sismici di
bassa intensità, ma per un periodo molto lungo (almeno due anni) e
che le scosse più forti furono avvertite anche a Venezia. Il legame
causale tra sfruttamento del giacimento Barbara e il terremoto di
Ancona non è mai stato dimostrato, cosı` come non è stato
dimostrato che lo sfruttamento non vi abbia mai avuto alcuna
influenza. Quello che è certo, come risulta dalla mappa del 1987 del
Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) di Trieste, è la presenza
di discontinuita` tettoniche che dalla pianura veneta si prolungano
nella laguna e nel golfo di Venezia; queste faglie attraversano i
giacimenti e presso la facoltà di Fisica Terrestre dell’universita`
di Padova esiste una mappatura di epicentri di sismi avvenuti in alto
Adriatico.
Una volta avuti a disposizione i dati di conoscenza
strutturale del sottosuolo, questi devono servire non tanto e non
solo per elaborare modelli matematici quanto per comparare questo
sottosuolo con analoghe situazioni strutturali. Ovviamente sui
fenomeni di subsidenza incidono la composizione e la struttura del
sottosuolo, la profondita` dei giacimenti, e di molti altri fattori
(lo spessore dei giacimenti, la quantita` e la qualita` dei fluidi
estratti, la depressurizzazione indotta, i tempi di estrazione,
eccetera). Ma trattandosi dell’alto Adriatico, con strutture del
sottosuolo e profondita` molto piu` sfavorevoli, va chiarito che i
fenomeni di subsidenza indotti sarebbero comunque superiori a quelli
gia` verificatisi nelle aree gia` sfruttate piu` vicine (subsidenza
compresa tra –40 e –60 centimetri nelle zone di estrazione e –20
centimetri a 25 chilometri di distanza, secondo le documentazioni del
professor Zambon dell’universita` di Padova). E questo in una
situazione nella quale il contesto naturalistico-ambientale,
storico-culturale e socio-economica impone che il rischio di
subsidenza indotta da estrazione di gas sia dimostrato essere pari a
zero con margini di errore e di approssimazione scientificamente
indiscutibili.
del terreno, neppur minima; nonchè alla luce della subsidenza provocata dalla coltivazione di giacimenti di gas metano nel ravennate, preso atto che lo studio dell’AGIP prevede la depressurizzazione e la conseguente compattazione del sistema mineralizzato e quindi la subsidenza del fondo marino e` pervenuto alle seguenti conclusioni:
Il gruppo di lavoro ha osservato
anche che la potenzialita` dei giacimenti di gas naturale nell’alto
Adriatico rappresenta soltanto il 40 per cento del fabbisogno
nazionale di un solo anno nel 2005. Su queste basi scientifiche
il Consiglio comunale di Venezia ha approvato all’unanimita` nella
seduta del 14 luglio 1997 un ordine del giorno che, nel condividere
il parere e le conclusioni del gruppo di lavoro, ritiene, alla luce
delle attuali conoscenze gia` ampiamente documentate, anche dalle
stesse elaborazioni dell’AGIP, che non si puo` escludere che le
attivita` di estrazione di idrocarburi liquidi o gassosi dal
sottosuolo del tratto di mare compreso tra il parallelo passante
per la foce del fiume Tagliamento ed il parallelo passante per la
foce del ramo di Goro del fiume Po possano contribuire a provocare
fenomeni di subsidenza. Il Consiglio comunale ritiene quindi che,
secondo quanto prescritto dall’articolo 2-bis del decreto-legge 29
marzo 1995, n. 96, convertito, con modificazioni, dalla legge 31
maggio 1995, n. 206, si debba «escludere che tali attività di
estrazione possano iniziare o riprendere». Ricordando la
gravita` dei fenomeni generalizzati di dissesto che i territori
lagunare e costiero potrebbero subire in caso di estrazione di
idrocarburi dal sottosuolo, il Consiglio comunale di Venezia impegna
pertanto il sindaco e il presidente del Consiglio comunale ad
attivarsi presso il Governo, il Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio, il Parlamento e la regione Veneto affinchè
sia negata qualsiasi attività di estrazione di idrocarburi dal
sottosuolo e si approvi al più presto una nuova legge che tuteli
definitivamente questo territorio, cosı` fragile e di grandissima
valenza storico-culturale, ambientale ed economica, da qualunque
attività che possa rischiare di contribuire all’aumento del
fenomeno della subsidenza già naturalmente in essere.
Un patrimonio unico e inestimabile del Paese e del mondo come Venezia, Chioggia e la Laguna, non puo` essere soggetto a ulteriori rischi. E nessuno oggi può escludere in scienza e coscienza che le estrazioni non comportino alcun rischio.
Riferimenti:
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2022/11/la-terra-trema-di-gianni-lannes.html
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=cingolani
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=gas
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=adriatico
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=maremoti
https://www.ilrestodelcarlino.it/veneto/infrastrutture-zaia-salvini-1.8268051
https://www.mite.gov.it/notizie/pubblicato-il-report-del-progetto-subsidenza
https://unmig.mise.gov.it/images/buig/BUIG-Il_Mare-Terza_edizione.pdf
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