28.4.17

DAUNIA: LA RAPINA MAFIOSA DEL METANO

fonte: Unmig




di Gianni Lannes

La coltivazione del sottosviluppo programmato, imposto e calato dall’alto, mentre l’emigrazione continua inarrestabile, proprio come negli anni ’50. Lo sfruttamento e il saccheggio di una colonia del Mezzogiorno perdura a gonfie vele dopo più di mezzo secolo. Risale al 1962 la scoperta in provincia di Foggia di vasti giacimenti di gas naturale, sfruttato a tutt’oggi, soprattutto dall’Eni con ben 125 pozzi operativi, ed ulteriori concessioni in attesa di rilascio - grazie all’accondiscendenza del governo regionale prima di Vendola, poi di Emiliano - dal Mise a note multinazionali. Oggi sono operative addirittura due centrali turbogas a Candela (Edison) e a San Severo (En Plus, già Mirant). Agli autoctoni in compenso sono toccati solo inquinamento, malattie e morte, nonché il pagamento delle bollette alla francese Edf. In virtù della mafiosità istituzionale questo territorio del Sud è diventato terreno di coltura della criminalità organizzata: al vertice della piramide bivaccano i politicanti dediti allo sperpero dei finanziamenti pubblici, mentre alla base si lascia ingrassare più o meno impunemente la delinquenza comune (furti, sfruttamento della prostituzione, traffico di droga, schiavismo, estorsioni, usura). Insomma, Stato di mafia e multinazionali del crimine.

La vicenda accuratamente nascosta degli idrocarburi nella Daunia è iniziata in gran segreto nel 1947-48, con la ricerca di petrolio ad Orsara di Puglia, in contrada Lama di Bove, così almeno attestano le carte dell’Archivio di Stato a Foggia. Nello stesso periodo la Costituente aveva deciso di accorpare la Capitanata alla provincia di Bari, ma un movimento popolare impedì la manovra speculativa. Purtroppo, ancora oggi la Puglia è politicamente baricentrica, ma questa è un’altra storia.
 
Al 1954 risalgono le prime ricerche del gas naturale, ma si dovranno attendere 8 anni perché la popolazione autoctona inizi a chiedersi cosa avessero scoperto quei tecnici in tuta e casco che incessantemente trivellano il terreno nei Monti dauni e nell’Alto Tavoliere, tra Chieuti e Serracapriola. La prima risposta ufficiale a tali interrogativi, dopo che il 13 maggio del 1962 il settimanale La Gazzetta di Foggia fa luce sulla situazione «Una fonte di ricchezza - Metano in Capitanata - Importanti giacimenti sarebbero stati individuati a 20 chilometri da Foggia - Concrete prospettive per la provincia» arriva nel 1964 durante un convegno a Brindisi. Il primo e l’unico a descrivere la situazione con dovizia di riscontri è stato Mario Giorgio (già direttore della biblioteca provincia di Foggia) con il prezioso libro Metano di capitanata. Una sconfitta che brucia ancora, pubblicato nel 1977 dalla Basilicata editrice di Matera , poi riedito nel 1998 dalle Edizioni del Rosone. Ha scritto Giorgio: «la storia nascosta della vicenda metano fin dal 1954, quando una società della Snia Viscosa - società “Terra Apuliae” - aveva iniziato le prime ricerche di idrocarburi in provincia di Foggia e dei vari permessi di ricerca fino alla delimitazione di una zona di circa 44 mila ettari, compresa tra i comuni di Candela, Deliceto, Sant’Agata di Puglia, Bovino e Troia, nella quale erano stati perforati 17 pozzi produttivi per complessivi 28.300 metri ed una stima ragionevole faceva aggirare la potenzialità del giacimento sull’ordine dei 10 miliardi di metri cubi».

Alla fine del 1964, le società titolari di permessi di ricerca e coltivazione dei pozzi erano diventate sette: alla Snia, si erano aggiunte la Castelgrande-Montecatini, la Montecatini, l’IMI, la S.O.R.I., l’Agip e addirittura sotto mentite spoglie la Fiat.
Scovato il metano, occorre però realizzare le opere con cui il prezioso gas potesse essere sfruttato, ossia le condotte. Si deve decidere che farne, dove portarlo. Mentre i politicanti locali si dividono la torta - sono gli anni in cui nella democrazia cristiana a livello locale si beccano fra loro Gustavo De Meo, De Leonardis e Vincenzo Russo - e con ritardo pone il problema dell’utilizzazione in loco del metano, le decisioni che contano a Roma sono già state assunte. L’Isveimer (grazie anche al voto favorevole dell’avvocato Mario Follieri, preappenninico di Lucera, futuro senatore fanfaniano, componente del consiglio di amministrazione di quell’ente) decide infatti di finanziare la costruzione di due metanodotti: il primo da Biccari a Napoli, il secondo da Candela a Manfredonia, Barletta e Taranto per alimentare l’acciaieria statale Italsider (poi privatizzata Ilva dai Riva).

La costruzione dei metanodotti getta le premesse della beffa, vale a dire dell’espropriazione di una risorsa naturale del territorio. Il metano arraffato e portato altrove diventa una merce d scambio per contrattare insediamenti industriali sia pubblici che privati da ubicare - questo è il punto - nelle zone del Tavoliere. Gli autoctoni se ne accorgono troppo tardi, quando i giochi sono fatti. La disponibilità di energia a basso costo in una provincia agricola e pre-industriale -  fa gola ai gruppi industriali, e in effetti, tra le società che detengono i permessi per lo scavo e la coltivazione si scatena una lotta senza esclusione di colpi. La logica del profitto di pochi a danno di tanti è quella di trasferire il metano, ieri come oggi, altrove, dove sono già presenti altri insediamenti industriali. Infatti il metanodotto Biccari-Napoli servirà alla Snia per alimentare uno stabilimento petrolchimico nella città partenopea. 
L’unica zona della Capitanata che viene servita dai metanodotti è quella di Manfredonia, e qui la Snia annuncia la volontà di realizzare uno stabilimento petrolchimico per la produzione di caprolattame. I giochi a questo punto si complicano e si legano a doppio filo ai non meno complessi intrighi politici che si consumano a Foggia, ma soprattutto a Roma. La Snia è un’azienda privata ed è sostenuta dal nucleo area industriale presieduto dall’onorevole De Meo. Ma nella battaglia per accaparrarsi quasi gratis il metano, è presente anche l’Eni, il cui faccendiere locale è l’onorevole Russo, che dell’ente è un dirigente. Dalla parte dell’Eni a livello nazionale è schierato anche il partito comunista che non vede di buon’occhio la rampante iniziativa privata. La Snia propende per un uso sia pure parziale del metano in loco: petrolchimico di Manfredonia. L’Eni invece è orientata per una soluzione nazionale che punta ad un’utilizzazione differenziata del gas, con alcune contropartite in termini di investimenti dell’industria pubblica in provincia di Foggia. Nel frattempo, la posta in palio cresce sempre di più: i pozzi coltivati sono diventati 31, con 22 miliardi di metri cubi e un’enorme potenzialità viste le numerose concessioni. Nell’agosto dell’anno 1966, si registra un’improvvisa svolta nella vicenda: la Snia vende quasi tutto il gas - ipotecato alla Daunia - all’Eni e smobilita, rinunciando peraltro anche alla costruzione dello stabilimento petrolchimico a Manfredonia, che verrà assicurata dall’Anic, dello stesso gruppo Eni. Nel 1964 si parla di un’industria tessile a Siponto. 

«Un alto funzionario dell’Eni- scrive nel suo libro Mario Giorgio - come contropartita del metano di Biccari, promette una fabbrica di catalizzatori e combustibili nucleari… Il Pci, in proposito, sostiene da tempo la necessità che sia lo Stato, attraverso l’Eni, a dover intervenire per assicurare lo sfruttamento in loco delle risorse naturali, collegando questo sfruttamento a un programma di sviluppo democratico dell’intera economia della Capitanata».

Solo contentini ma niente di più. Mentre la battaglia politica ed economica procede senza esclusione di colpi, una sola cosa sembra chiara. Le prospettive di uno sfruttamento in loco del metano diventano sempre più sfumate. Quando le popolazioni dei Monti Dauni iniziano a mobilitarsi  con una lotta - veicolata dalla volontà popolare ma non dalle succubi forze politiche - che divampa furiosa e porta all’occupazione dei pozzi metaniferi, è ormai troppo tardi. Nascono comitati, si susseguono convegni e tavole rotonde che disegno sulla carta improbabili modelli di sviluppo per la Capitanata. La prima manifestazione di piazza è del 23 febbraio del 1967. La Snia annuncia la volontà di costruire uno stabilimento per la produzione di materiali sintetici a Biccari. Di più non si riuscirà ad avere, nonostante la vertenza segni proprio in questo periodo il suo livello apicale.

Quando esploderà la rabbia popolare nella storica marcia del metano a Foggia di contadini, braccianti, manovali e artigiani, i margini operativi e decisionali sono praticamente nulli. Ma quella che il 23 maggio del 1969 si tiene a Foggia è la più grande manifestazione popolare mai tenuta nella Daunia. La gente anche se troppo tardi ha intuito l’importanza del gas trovato sotto i suoi piedi e inaspettatamente fatto passare sopra la sua testa.

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