fonte: Unmig |
di Gianni Lannes
La coltivazione del sottosviluppo programmato,
imposto e calato dall’alto, mentre l’emigrazione continua inarrestabile,
proprio come negli anni ’50. Lo sfruttamento e il saccheggio di una colonia del
Mezzogiorno perdura a gonfie vele dopo più di mezzo secolo. Risale al 1962 la
scoperta in provincia di Foggia di vasti giacimenti di gas naturale, sfruttato
a tutt’oggi, soprattutto dall’Eni con ben 125 pozzi operativi, ed ulteriori
concessioni in attesa di rilascio - grazie all’accondiscendenza del governo
regionale prima di Vendola, poi di Emiliano - dal Mise a note multinazionali.
Oggi sono operative addirittura due centrali turbogas a Candela (Edison) e a
San Severo (En Plus, già Mirant). Agli autoctoni in compenso sono toccati solo
inquinamento, malattie e morte, nonché il pagamento delle bollette alla
francese Edf. In virtù della mafiosità istituzionale questo territorio del Sud è
diventato terreno di coltura della criminalità organizzata: al vertice della
piramide bivaccano i politicanti dediti allo sperpero dei finanziamenti
pubblici, mentre alla base si lascia ingrassare più o meno impunemente la
delinquenza comune (furti, sfruttamento della prostituzione, traffico di droga,
schiavismo, estorsioni, usura). Insomma, Stato di mafia e multinazionali del
crimine.
Al 1954 risalgono le prime ricerche del gas
naturale, ma si dovranno attendere 8 anni perché la popolazione autoctona inizi
a chiedersi cosa avessero scoperto quei tecnici in tuta e casco che
incessantemente trivellano il terreno nei Monti dauni e nell’Alto Tavoliere,
tra Chieuti e Serracapriola. La prima risposta ufficiale a tali interrogativi,
dopo che il 13 maggio del 1962 il settimanale La Gazzetta di Foggia fa luce
sulla situazione «Una fonte di ricchezza - Metano in Capitanata -
Importanti giacimenti sarebbero stati individuati a 20 chilometri da Foggia -
Concrete prospettive per la provincia» arriva nel 1964 durante un convegno a
Brindisi. Il primo e l’unico a descrivere la situazione con dovizia di
riscontri è stato Mario Giorgio (già direttore della biblioteca provincia di
Foggia) con il prezioso libro Metano di
capitanata. Una sconfitta che brucia ancora, pubblicato nel 1977 dalla
Basilicata editrice di Matera , poi riedito nel 1998 dalle Edizioni del Rosone.
Ha scritto Giorgio: «la storia nascosta della vicenda metano fin dal 1954,
quando una società della Snia Viscosa - società “Terra Apuliae” - aveva iniziato
le prime ricerche di idrocarburi in provincia di Foggia e dei vari permessi di
ricerca fino alla delimitazione di una zona di circa 44 mila ettari, compresa
tra i comuni di Candela, Deliceto, Sant’Agata di Puglia, Bovino e Troia, nella
quale erano stati perforati 17 pozzi produttivi per complessivi 28.300 metri ed
una stima ragionevole faceva aggirare la potenzialità del giacimento sull’ordine
dei 10 miliardi di metri cubi».
Alla fine del 1964, le società titolari di permessi
di ricerca e coltivazione dei pozzi erano diventate sette: alla Snia, si erano
aggiunte la Castelgrande-Montecatini, la Montecatini, l’IMI, la S.O.R.I., l’Agip
e addirittura sotto mentite spoglie la Fiat.
Scovato il metano, occorre però realizzare le
opere con cui il prezioso gas potesse essere sfruttato, ossia le condotte. Si
deve decidere che farne, dove portarlo. Mentre i politicanti locali si dividono
la torta - sono gli anni in cui nella democrazia cristiana a livello locale si
beccano fra loro Gustavo De Meo, De Leonardis e Vincenzo Russo - e con ritardo pone
il problema dell’utilizzazione in loco del metano, le decisioni che contano a
Roma sono già state assunte. L’Isveimer (grazie anche al voto favorevole dell’avvocato
Mario Follieri, preappenninico di Lucera, futuro senatore fanfaniano,
componente del consiglio di amministrazione di quell’ente) decide infatti di
finanziare la costruzione di due metanodotti: il primo da Biccari a Napoli, il
secondo da Candela a Manfredonia, Barletta e Taranto per alimentare l’acciaieria
statale Italsider (poi privatizzata Ilva dai Riva).
La costruzione dei metanodotti getta le premesse
della beffa, vale a dire dell’espropriazione di una risorsa naturale del
territorio. Il metano arraffato e portato altrove diventa una merce d scambio
per contrattare insediamenti industriali sia pubblici che privati da ubicare -
questo è il punto - nelle zone del Tavoliere. Gli autoctoni se ne accorgono
troppo tardi, quando i giochi sono fatti. La disponibilità di energia a basso
costo in una provincia agricola e pre-industriale - fa gola ai gruppi industriali, e in effetti,
tra le società che detengono i permessi per lo scavo e la coltivazione si
scatena una lotta senza esclusione di colpi. La logica del profitto di pochi a
danno di tanti è quella di trasferire il metano, ieri come oggi, altrove, dove
sono già presenti altri insediamenti industriali. Infatti il metanodotto Biccari-Napoli
servirà alla Snia per alimentare uno stabilimento petrolchimico nella città
partenopea.
L’unica zona della Capitanata che viene servita
dai metanodotti è quella di Manfredonia, e qui la Snia annuncia la volontà di
realizzare uno stabilimento petrolchimico per la produzione di caprolattame. I
giochi a questo punto si complicano e si legano a doppio filo ai non meno complessi
intrighi politici che si consumano a Foggia, ma soprattutto a Roma. La Snia è un’azienda
privata ed è sostenuta dal nucleo area industriale presieduto dall’onorevole De Meo. Ma nella battaglia per accaparrarsi quasi gratis il metano, è presente
anche l’Eni, il cui faccendiere locale è l’onorevole Russo, che dell’ente è un
dirigente. Dalla parte dell’Eni a livello nazionale è schierato anche il
partito comunista che non vede di buon’occhio la rampante iniziativa privata.
La Snia propende per un uso sia pure parziale del metano in loco: petrolchimico
di Manfredonia. L’Eni invece è orientata per una soluzione nazionale che punta
ad un’utilizzazione differenziata del gas, con alcune contropartite in termini
di investimenti dell’industria pubblica in provincia di Foggia. Nel frattempo,
la posta in palio cresce sempre di più: i pozzi coltivati sono diventati 31, con
22 miliardi di metri cubi e un’enorme potenzialità viste le numerose concessioni.
Nell’agosto dell’anno 1966, si registra un’improvvisa svolta nella vicenda: la
Snia vende quasi tutto il gas - ipotecato
alla Daunia - all’Eni e smobilita, rinunciando peraltro anche alla costruzione
dello stabilimento petrolchimico a Manfredonia, che verrà assicurata dall’Anic,
dello stesso gruppo Eni. Nel 1964 si parla di un’industria tessile a Siponto.
«Un
alto funzionario dell’Eni- scrive nel suo libro Mario Giorgio - come contropartita
del metano di Biccari, promette una fabbrica di catalizzatori e combustibili
nucleari… Il Pci, in proposito, sostiene da tempo la necessità che sia lo
Stato, attraverso l’Eni, a dover intervenire per assicurare lo sfruttamento in
loco delle risorse naturali, collegando questo sfruttamento a un programma di
sviluppo democratico dell’intera economia della Capitanata».
Solo contentini ma niente di più. Mentre la
battaglia politica ed economica procede senza esclusione di colpi, una sola
cosa sembra chiara. Le prospettive di uno sfruttamento in loco del metano
diventano sempre più sfumate. Quando le popolazioni dei Monti Dauni iniziano a
mobilitarsi con una lotta - veicolata
dalla volontà popolare ma non dalle succubi forze politiche - che divampa
furiosa e porta all’occupazione dei pozzi metaniferi, è ormai troppo tardi. Nascono
comitati, si susseguono convegni e tavole rotonde che disegno sulla carta
improbabili modelli di sviluppo per la Capitanata. La prima manifestazione di
piazza è del 23 febbraio del 1967. La Snia annuncia la volontà di costruire uno
stabilimento per la produzione di materiali sintetici a Biccari. Di più non si
riuscirà ad avere, nonostante la vertenza segni proprio in questo periodo il
suo livello apicale.
Quando esploderà la rabbia popolare nella storica
marcia del metano a Foggia di contadini, braccianti, manovali e artigiani, i
margini operativi e decisionali sono praticamente nulli. Ma quella che il 23 maggio
del 1969 si tiene a Foggia è la più grande manifestazione popolare mai tenuta
nella Daunia. La gente anche se troppo tardi ha intuito l’importanza del gas
trovato sotto i suoi piedi e inaspettatamente fatto passare sopra la sua testa.
riferimenti:
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2017/04/provincia-di-foggia-la-rapina-del-gas.html
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=DAUNIA
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2017/04/italia-la-mafia-del-gas.html
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2017/04/terremoto-idrocarburi-nel-gargano.html
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=DAUNIA
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2017/04/italia-la-mafia-del-gas.html
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2017/04/terremoto-idrocarburi-nel-gargano.html
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