di Gianni Lannes
Vuoti di memoria collettiva. Qualcuno ha fatto caso al clima agiografico per
festeggiare in Italia le stragi disumane del primo conflitto mondiale? Imbarazzante:
pubblicazioni, libricini, mostre, e così via. Certo, la storia è scritta dai vincitori. Nello staterello dei criminali di
casa Savoia le libertà erano limitate e coloro che manifestavano dissenso nei
confronti della macelleria bellica venivano immediatamente denunciati e
arrestati. I trasgressori erano puniti con un periodo di detenzione non
inferiore a un mese o con l’ammenda di 50 lire. Le associazioni che
organizzavano dimostrazioni con conseguenti problemi di ordine pubblico
potevano essere sciolte, le loro sedi chiuse e l’eventuale materiale di
propaganda sequestrato. Spettacoli e rappresentazioni teatrali erano soggetti a
censura e la pubblica sicurezza aveva la facoltà di sospendere le licenze a
teatri, cinematografi, caffè concerto e altri locali destinati all’intrattenimento. Le pene previste per chi parlava di pace contro la guerra erano durissime: coloro
che diffondevano notizie diverse da quelle ufficiali, governative e militari, incorrevano
nella detenzione fino a sei mesi e in un’ammenda da 100 a 1000 lire; se il
reato era ritenuto lesivo della pubblica
tranquillità, la pena era estesa A due
anni di carcere e 3 mila lire di ammenda.
Ma c’era anche chi, in terra d’anarchia, gettava
alle ortiche la divisa militare e sfidava il potere costituito. Dal 1916 al 1918, come attestano alcuni atti parlamentari
della XXIV legislatura (dal 27 novembre 1913 al 29 settembre del 1919) nella Daunia, ma non solo, furono migliaia i cosiddetti “disertori” e “renitenti alla leva”.
Essi dissero no alla guerra e si diedero alla macchia nella Montagna del sole e
nei Monti Dauni, diventando così briganti per la legge fuorilegge dominante.
E’ una storia sconosciuta ai più, custodita nelle
carte impolverate dell’Archivio di Stato a Foggia, della sezione staccata a
Lucera (inspiegabilmente chiusa), nonché dell’archivio Centrale dello Stato a
Roma. La vicenda del “brigantaggio garganico” durante la prima guerra mondiale,
unica in Italia per le sue vaste dimensioni, assieme a quella del brigantaggio
ad opera dei disertori, sorto nello stesso periodo fra le montagne della Sicilia
centrale, finì anche sula scrivania del primo ministro Vittorio Emanuele
Orlando, a seguito di un’interpellanza parlamentare depositata dai deputati
eletti nel 1913 nei collegi di Sam Nicandro Garganico e Manfredonia. Nel divenire
del 1917, infatti, i “briganti” assalirono anche l’azienda agricola del
fratello del deputato Domenico Zaccagnino, il quale a sua volta portò la
faccenda all’attenzione del presidente del consiglio Orlando. Quella protesta
determinò la consueta risposta repressiva dello Stato, che impiegò quaranta
squadriglie di carabinieri a cavallo provenienti dalla Sicilia, guidate dall’ufficiale
Giuseppe Battioni, setacciarono il Gargano facendo centinaia di arresti
sommari. Ad aumentare il fenomeno della diserzione di massa nel Gargano,
concorreva l’attività dei sovversivi socialisti, in primo luogo il deputato
provinciale Leone Mucci di San Severo (in seguito perseguito dal fascismo),
decisi a sabotare la guerra dei capitalisti. Nei comuni del Gargano alle
elezioni del 1913 i socialisti avevano ottenuto risultati rilevanti, confermati
dalle elezioni provinciali del 1914, che videro la proclamazione nel mandamento
di San Nicandro di Domenico Fioritto (in seguito segretari nazionali del PSI),
ed in quello di san Marco in Lamis di Michele Maitilasso.
Errico Malatesta e Roberto D’Angio in loco erano
di casa. Uno dei più famosi anarchici nato in Capitanata (a Foggia il 5 giugno
1871) era Michele Angiolillo, che l’8 agosto 1897 uccise nelle terme di santa
Agueda (Paesi baschi) il ministro spagnolo Antonio Canovas del Castillo, ma
questa è un’altra storia, come quella del confino alle Isole Tremiti che,
appunto, in quel periodo pullulava di anarchici.
riferimenti:
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2017/03/come-comincia-una-dittatura.html
Nn sapevo che anche la Puglia avesse una forte tradizione anarchica,credevo fosse un pregio di noi toscani e ne sono positivamente colpito. Anarchici veri nn hanno niente a che vedere con i ragazzini dei centri sociali di adesso
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