1.1.24

IN TUO NOME


 di Gianni Lannes

Aveva giovani primavere, un sorriso contagioso e sincero, un’ironia coinvolgente e amore in dono. Così era Ros racconta chi l’ha conosciuta: spontanea, generosa, un’anima straordinaria, L'abbiamo persa in un mese o poco più. Allora correva Natale e il nuovo anno. Speravamo in un finale diverso. Da allora non ho più riposato ed è svanita la serenità di un tempo che non tornerà mai ad aleggiare sulla terrena esistenza. Pensavo di andarmene prima di lei, in ragione del mio mestiere; ma invece il destino ci ha inesorabilmente beffato senza sconti.

Dall’inizio di quella notte interminabile e indimenticabile non ci siamo staccati un attimo. Abbiamo respirato vicini, tenendoci per mano. In questo tempo improvvisato abbiamo trovato un modo tutto nostro per comunicare, non so se sia originale ma non importa. Lei mi ha prestato i suoi occhi, le sue mani e il suo cuore per mettere su carta queste spicciole parole.

Il nemico che si è trovata a fronteggiare era troppo forte, anzi implacabile. Se solo non ci fossero state le metastasi gli avrebbe dato filo da torcere. Il suo cuore ha resistito a più non posso e ha ceduto per ultimo.

I medici hanno spiegato che quel cancro al cervello è raro, ma raro significa solo una cosa, che a qualcuno viene e non se va più via fino a stroncare senza alcuna pietà una vita umana. Una cosa estranea con un nome orrendo (glioblastoma), che si è nascosta nel punto più prezioso della sua mente, e l’emorragia che ha provocato ha danneggiato i talami, una cosa che si chiama con una parola antica, che Omero usava per indicare il posto più segreto della casa, la camera nuziale, il talamo. 

Il tempo trascorso in ospedale è stato incredibile o forse indescrivibile, un pò come l’attimo in cui ti abbandoni al sonno, quando ti sembra di cadere nel vuoto. Non c’è luce, ma non c’è neanche buio, c’è qualcosa come quando stringi forte le palpebre, le stropicci, e si formano tanti puntini colorati scintillanti. In quella bolla si sentono il calore e il profumo delle persone che ti vogliono bene e ti sono vicine per sempre, ma anche l'imperturbabile distanza emotiva di tante altre. Ognuna di loro risuona in un modo diverso.

Le spie della terapia intensiva sono una delle cose che ricorderò a lungo. Immaginate di stare in uno stanzone con delle luci sempre accese, che dopo un pò vi fanno male gli occhi, e di avere continuamente nelle orecchie il bip intermittente.

È morta lei, l’unica che meritava di vivere. Portano traccia dei suoi richiami improvvisi anche tanti compiti di italiano dei suoi studenti. Le ho promesso che avrei scritto della sua esistenza. Farò attenzione a non dimenticare niente ma certe cose le terrò per me. Parlare di Ros potrebbe essere più facile adesso. L’assenza permette di fare aggiustamenti; anzi, forse dare una mano di bianco è il dovere di chi resta, anche se l'esilio non lenisce la sofferenza di una perdita vitale.

La giovinezza, quella vera, è finita da un pezzo. Ieri ho pensato al biglietto che mi ha lasciato una mattina. Ce l’ho ancora e prima o poi magari lo appenderò al muro. È un foglio a righe strappato da una vecchia agenda. Su quella pagina di un giorno a caso, se non sbaglio un 18 maggio, Ros ha scritto solo: “Buon compleanno”. Non pensavo che sarebbe finita con la sua repentina scomparsa. La morte è il divorzio più definitivo, senza ritorni possibili.

Sembrava ogni giorno più stanca, dolorante, come se fosse presa da una spossatezza invincibile. Il 27 gennaio, un giorno freddo ma con un cielo ottusamente azzurro, di primavera artificiale, abbiamo capito. Da quella mattinata ho appreso che non è ovvio esistere. Nessuno avrebbe pensato alla morte, ai suoi primi movimenti.

Ros quando mi vede, non so come sorride. Non ricordo bene le parole del medico, ho cercato di cancellarle già mentre le pronunciava. Rammento però il suo sguardo, l’aria cupa da burocrate in camice bianco, dopo l'operazione del 27 dicembre. Ora non c’è più tempo per pensare ai programmi del futuro con due ragazzini senza la mamma.

Proprio in ospedale mi aveva detto: “La luna di miele è finita”. Ero certo che non sarebbe mai uscita da quella stanza nosocomiale. La imboccavo e intanto immaginavo la sua agonia. La sua morte, ormai certa e in avvicinamento, mi sembrava troppo difficile. Ho parlato con mio fratello, non lo sentivo da un pò, sembrava dispiaciuto per Ros ma si è messo a parlare della sua carriera militare. Per la morte e la carriera: la stessa gravità. “Non preoccuparti, riguardati”. Ho messo giù, sarà stato contento. La burocrazia è stata veloce, ma meno di quello che Ros sperava. È arrivata a casa senza rendersene conto, come in uno stato di sonno profondo e infine ha avuto l'ultimo scampolo di energia vitale per accarezzare sul capo i suoi pargoli.

Ho letto il nome di Ros e il mio tante volte. Sulla porta ormai c’è il nome di una defunta e ho abbandonato quella casa dove in agguato attendono i ricordi. Pensando al ritorno di Ros mi sentivo impaziente come se la vita potesse cominciare di nuovo, anziché finire. All’ospedale, fino a qualche giorno prima, sembrava un pò meno abbandonata. Mi ha augurato “Buona fortuna” anche un infermiere con la faccia buona che è stato qualche ora con noi per vedere come andava con la chemio mai provata.

Ho potuto fare ben poco. Soprattutto, l’ho guardata dormire. Apriva gli occhi solo ogni tanto e in quei momenti ritornava misteriosamente alla vita. A volte ho l’impressione che mi osservi da un'altra dimensione, spero che sia felice di vedermi. Non so se mi riconosce, se riconosce casa sua. Non è chiaro neanche ai medici. Uno mi ha sussurrato: “Nessuno può avere la certezza di cosa sente sua moglie”. Preferisco pensare che non senta, che la coscienza si sia spenta prima del corpo. Prima di avere chiara la fine. 

Ormai le dà fastidio ogni rumore, ogni contatto. È più tranquilla con il silenzio intorno. Ho smesso di parlarle e anche di sussurrare e non le ho più dato carezze né baci perché appena sfioravo la sua pelle fredda, pronta a morire, lei stringeva gli occhi forte, come se avesse paura. Come prima di sbattere a grande velocità contro un muro.

Nell’ultimo, lungo giorno di Ros mi sono sentito sospeso dal mondo anch'io. Sarà una bella primavera, le giornate si sono allungate. Ros non se ne è accorta. Non sa e non saprà niente delle notizie di oggi, delle cronache dal mondo nel suo ultimo giorno sulla Terra. Non saprà che proprio oggi è stata annunciata una nuova cura per il tumore in America. Non saprà che è previsto un bel sole, per domani, e che invece la settimana prossima, la prima in cui lei non sarà al mondo, ci sarà una perturbazione nordamericana, con temperature in salita. Chissà cosa ricorderò io, di questi giorni. Tutto senza di lei. Non credevo che sarebbe trapassata prima di me, e tanto presto. Ne parlavamo con la leggerezza sinistra di quando si è giovani e quel momento sembra ancora lontano.

Respirava forte, come se stesse dormendo profondamente. Dopo quel respiro forte c’è stato come un fischio, un soffio di aria veloce. Le ho sentito il polso e non c’era più.

È strano vederla con una tunica bianca che terrà addosso per sempre. È troppa tanta bellezza per la morte. Sembra quasi una presa in giro. Cerco di ricordarmi cosa indossava l’ultima volta che l’ho vista vestita per la festa, prima di queste rapide settimane a letto, in camicia da notte. E infine il viaggio a Udine da un autentico luminare della medicina, quando era troppo tardi per improvvisare una difesa dal male. Penso all'immensa solitudine e a tutte le persone care che se ne sono andate prima del tempo: Antonio e Rossano, due ragazzi davvero unici e buoni, cugini dell'infanzia intramontabile e dell'adolescenza spensierata. Penso a cosa possiamo esserci detti a cena, in cucina, quando ancora non immaginavamo niente. Quella mattina d'inverno che sembrava estate, a duecento all'ora verso l'ospedale, mi ha dato fastidio il sole.

Grazie è una parola che abbiamo usato infinite volte, eppure suona nuova. È una parola semplice, scontata e poco usata ma accidenti, quanto è potente. Non amavo dirtelo, ma ti voglio tanto bene. Quante volte ho conosciuto nuove persone grazie a te, alla tua capacità di farti amare in pochi minuti e quante volte mi hai spronato. Ora, Ros, devo proprio andare, abbiamo pianto a più non posso versando fiumi di lacrime dolenti. A nessuno è andata giù come è finita. È stata una bella avventura terminata anzitempo. Agli altri, dico e lo ripeto a me stesso: sognate ad occhi illuminati, amate immensamente la vostra vita e fatene buon uso, dura sempre troppo poco. Io non dimentico: ogni giorno faccio i conti con il dolore che non non ha unità di misura comuni, non conosce tregua e riaffiora ad ogni pensiero...

 

1 commento:

  1. Buon Anno Gianni Lannes; sei una gran bella persona. Con stima

    RispondiElimina