28.4.23

ACQUA IN ITALIA: BENE COMUNE O MERCE PRIVATA?

  

foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)

di Gianni Lannes

Limpida, cristallina, adamantina. Quando il sole accarezza la linfa vitale della Terra, lei zampilla e intona melodie universali. Azzurro nel verde: il principio della vita su Gaia. energia, movimento, evoluzione. Gocce, sorgenti, torrenti, fiumi, mari, oceani. Memoria ancestrale: colori, suoni, odori, sapori, saperi, ricordi, emozioni. In acqua si respira l'armonia gioviale espressione di bellezza naturale. Siamo d'acqua, impastati fin dalla nascita con la molecola primordiale. L'acqua è tutto e noi ne siamo parte. Acqua per pochi o per tutti? L'essere umano non produce l'oro blu: piove dal cielo e sgorga dalle sorgenti. L'acqua è pubblica o privata? La privatizzazione e' la nuova modalità di governo delle risorse universali?

Cosa è accaduto al referendum sull’acqua? La volontà popolare è stata rispettata? Esattamente il 12 e 13 giugno 2011, con un referendum nazionale, gli italiani avevano scelto in modo trasparente e cristallino l’acqua come bene comune e collettivo, contro la privatizzazione. Siccome i referendum in Italia sono di natura abrogativa, a quella consultazione non è seguita una legge. E senza una legge del Parlamento, ci ritroviamo oggi, nel 2023, con la stessa situazione del passato, però aggravata. Eppure sono moltissimi i governi e altrettante le maggioranze che da allora si sono susseguite, ma non hanno mai dato seguito all’esito referendario approvando una legge che ri-pubblicizzasse la gestione dell’acqua.  

In Italia l'ineletto governo Draghi ha presentato il 15 dicembre 2021 un emendamento notturno dell'ultimo secondo che impone una scadenza per valutare se i criteri in base ai quali ai Comuni è stata affidata la gestione autonoma del “servizio idrico” sono ancora validi. In caso contrario, questa tornerà nelle mani di un gestore unico il quale, nell’ottica del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” e delle politiche di privatizzazione propinate da mister Britannia, sarà una Spa ad azionariato privato. E il governo Meloni che fa? Niente, prosegue nella peggiore continuità.

Il referendum del 2011 ebbe l’effetto di fermare quel processo di privatizzazione, che ora si vuole completare. Il referendum non fu mai applicato del tutto perché, sotto la voce “oneri finanziari”, vennero reintrodotti i profitti dei privati in bolletta, pari al 7 per cento. Ora però, a voler completare quel piano di privatizzazione è il governo Draghi, che nel Recovery Plan ha introdotto l’indicazione per privatizzare la gestione del servizio idrico nel sud del Paese, in particolare, sospettano i movimenti per l’acqua pubblica, per cederla alle quattro grandi multiutility quotate in borsa: Iren, Hera, A2A e Acea.

 Sono molti i Comuni che in Italia godono di una amministrazione propria del “Sistema Idrico Integrato”, gestito da un servizio giuridico di diritto pubblico. Acqua pubblica gestita da enti pubblici. Nonostante si fosse già tentato di sfilarne loro la gestione con il decreto “Sblocca Italia” di Renzi (legge 133/2014), venne prevista una clausola di salvaguardia a tutela dei Comuni con meno di mille abitanti e il cui approvvigionamento provenisse da “fonti qualitativamente pregiate”, “sorgenti ricadenti in parchi naturali o aree naturali protette” o che presentino “utilizzo efficiente della risorsa e tutela del corpo idrico” (articolo 147, comma 2-bis del decreto legislativo 152/2006). Con la riformulazione dell’emendamento 22.6 al dl Recovery, alla fine del 2021 viene aggiunto un ulteriore comma a tale articolo, che prevede una data perentoria di scadenza, fissata per il 1° luglio 2022, per la rivalutazione di tali criteri: nel caso in cui i “requisiti per la salvaguardia” non venissero confermati, la gestione del Servizio Idrico confluirà “nella gestione unica” individuata dall’Ente di Governo dell’Ambito, che si occupa di affidare le gestioni.

Oggi la nostra rete idrica si trova in uno stato deplorevole, per non dire pietoso, e certo non per via degli sprechi domestici: secondo l’Istat infatti il 42 per cento dell’acqua in distribuzione si perde per l’inefficienza dei sistemi, per la mancanza di manutenzione, ma anche a causa di impianti obsoleti. Questo significa che per ogni 1000 litri immessi nel sistema, 420 vengo dispersi.

Altro luogo comune da sfatare. Il costo delle bollette nel Belpaese ha subito un aumento di quasi il 90 per cento negli ultimi dieci anni. Costi che restano bassi rispetto ad altri paesi Europei, ma sono pur sempre un aumento di quasi il doppio. E per cosa? L’aumento progressivo delle bollette cela il fatto che sia l’attuale sistema di gestione privatistico o di commistione tra pubblico e privato a produrre questi pessimi risultati. Il vero e proprio tradimento del referendum del 2011, sta nel fatto che la dispersione dell’acqua nella rete non costituisce un problema per le Spa, in quanto le perdite vengono spalmate sulle bollette dei cittadini. Che pagano l’inefficienza di un servizio privato o a partecipazione privata. E c’è di più, come testimonia il rapporto del Forum italiano dei movimenti dell’acqua: in molti casi non sono stati fatti neppure gli investimenti che erano in programma perché già approvati e di fatto già pagati in bolletta dai cittadini, per alimentare gli utili dell’impresa che di volta di volta “cura” l’apertura dei rubinetti dell’acqua sui territori. Insomma, questo è un modello che arricchisce i gestori con i soldi pubblici a danno del sistema idrico, del servizio pubblico e della collettività. La realtà odierna mostra che i profitti sull’acqua si realizzano e si distribuiscono sotto forma di dividendi – sullo stile delle aziende –, quel sistema abolito proprio dal referendum, che in questo campo vengono chiamati “oneri finanziari” del gestore: da qui alla quotazione dell’acqua in borsa non si è così lontani.

 Nel Bel Paese l’unico “retaggio attivo” del referendum è il seguente: tutti i gestori, pubblici, privati e privati a partecipazione pubblica, devono seguire una precisa indicazioni di Arera (l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) e imporre una tariffa agevolata ad utenti per almeno 90 litri d’acqua al giorno per persona. 

 Crisi climatica? Sulla base dei dati elaborati dall’Agenzia Europea per l’Ambiente e dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico l’Italia, e in particolare le regioni del Sud, saranno sempre più colpite da periodi di siccità, e di conseguenza da eventi estremi come gli incendi che sono già “protagonisti” in estate. Nello stato attuale, il sistema idrico non è pienamente in grado di assicurare la presenza stessa dell’acqua e meno che mai la sua sicurezza in quanto a salubrità, a causa della mancanza di pianificazione. La gestione dell’acqua impatta sul suo uso civile, ma anche industriale, e agricolo. Sullo sfondo, c’è un altro problema: l'inquinamento. Le risorse idriche stanno peggiorando la loro qualità. Nei ghiacciai, nei laghi e nelle falde. E di conseguenza i costi di potabilizzazione sono destinati a crescere.

 Il Pnrr, per quanto riguarda l’acqua, la sua gestione e chi ne gestisce il servizio, prevede sulla carta investimenti per “garantire la gestione sostenibile delle risorse idriche lungo l’intero ciclo e il miglioramento della qualità ambientale delle acque interne e marittime”. Ma la cosiddetta riforma del settore idrico contenuta nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur essendo stata presentata all’Europa come un modo per rafforzare la tutela dell’acqua, in realtà nella pratica prepara la definitiva spallata al referendum del 2011, pianificando la privatizzazione del servizio idrico attraverso la conquista del Sud Italia da parte delle società private del Centro Nord Italia. Insomma, si tratta di un rilancio dei processi di privatizzazione o di unione tra pubblico e privato che mirano ad allargare i territori di competenza di alcune grandi aziende che gestiscono già i servizi pubblici fondamentali - come la rete dell’acqua, ma anche i rifiuti, la luce e il gas. Mentre il Pnrr tace su ciò che sarebbe prioritario, ovvero approvare una legge attuativa dell’esito referendario del 2011.

 Secondo i dati di Utilitalia (la federazione che rappresenta la quasi totalità degli operatori dei servizi idrici in Italia), nel 2017 - dati più aggiornati - oltre la metà degli abitanti residenti nel nostro Paese (il 53 per cento) riceveva un servizio erogato da società interamente pubbliche. Poco più di tre italiani su 10 invece (il 32 per cento) lo riceveva da società miste a maggioranza o controllo pubblico, mentre un 12 per cento direttamente dall’ente locale (la cosiddetta “gestione in house”, possibile solo a determinate condizioni, tra cui il capitale interamente pubblico della società affidataria). Del restante 3 per cento, un 2 per cento della popolazione italiana era servita da società private e l’ultimo 1 per cento da società miste a maggioranza o controllo privato.

Dalla legge Galli al decreto Ronchi. Nella gestione dell’acqua in Italia, il ricorso a soggetti, procedure, strumenti del mercato, nonché la delega a essi di funzioni tradizionalmente attribuite alla sfera pubblica, è stato introdotto nel 1994 dalla legge Galli. Il sistema idrico italiano, frammentato in precedenza in 13 mila gestori, è stato affidato a un unico gestore per ciascuno dei 92 ambiti territoriali ottimali (ATO) in cui è stata ridisegnata la mappa dell’acqua italiana. Fatte salve la proprietà della risorsa - secondo l’ordinamento giuridico italiano l’acqua è bene demaniale e perciò inalienabile - e la responsabilità pubblica della programmazione, la riforma è ispirata dalla volontà di promuovere una logica industriale nella gestione del settore attraverso l’introduzione di dispositivi propri del mercato, quali: la gara come strumento per la scelta del soggetto cui affidare la gestione del servizio; i contratti che regolano le relazioni tra soggetti chiave; l’introduzione delle tariffe, con l’idea di sottrarre alla fiscalità generale la spesa per investimenti nel settore idrico (contenuta in piani regionali). Attualmente, 69 ATO si sono dotati di un piano d’ambito e hanno identificato il gestore: in tutto 114 società, di cui 7 private, 22 a capitale misto con partner selezionato tramite gara, 9 controllate da società quotate in borsa e ben 58 interamente pubbliche. Fin dall’inizio della sua applicazione fu scelto di privilegiare gli affidamenti su base locale, che facilitavano la spartizione tra i partiti della rendita politica, economica e clientelare della filiera dei lavori pubblici collegati ai servizi idrici. La privatizzazione dei servizi idrici ha finito così per alimentare nuove forme di interventismo da parte del pubblico, e in particolare degli enti locali, che hanno scelto di sfruttare le differenti opzioni di affidamento previste dalla legge Galli in base a una pluralità di logiche economiche e imprenditoriali.

Spesso percepita come «ultima trincea» di fronte alla mercificazione della vita, quella dell’acqua è diventata una battaglia paradigmatica sugli «usi civici dei beni comuni», facendo da collettore, grazie alla sua efficacia simbolica, dei timori e dell’insoddisfazione diffusi di fronte alla ridefinizione dei rapporti tra Stato e cittadino nell’erogazione dei servizi e nella gestione della res pubblica. L’insieme di queste istanze contribuisce a delineare i contorni di «un’economia morale dell’acqua pubblica» che sarebbe riduttivo ricondurre a mero risultato di rigidità ideologiche o disinformazione.

  

foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)

ORO BLU

 Circa 100 miliardi di tonnellate di acqua cadono annualmente sulle terre emerse. Sotto forma di pioggia e di neve, l’acqua si riversa sulla terra, corre nei fiumi e raggiunge il mare: da qui tornerà a evaporare alla fine del grande ciclo. In realtà solo il 3 per cento di questa gran massa di liquidi è composta di acqua dolce. Il 70 per cento della superficie terrestre è ricoperta d’acqua, ma si tratta per il 97,5 per cento d’acqua salata. Del restante 2,5 per cento, l’acqua dolce da cui dipende l’umanità, tre quarti è condensata in calotte di ghiaccio. E mentre la popolazione di Gaia è triplicata nel corso dell’ultimo secolo, la domanda dell’acqua si è moltiplicata per sette e la superficie delle terre irrigate per sei. Nell’ultimo mezzo secolo l’inquinamento delle falde acquifere ha ridotto di un terzo le risorse idriche. “1 miliardo e 400 milioni di persone vivono già oggi senza acqua potabile. Sono costretti a ricavarne da pozzi salini, putridi o inquinanti. E il loro numero potrebbe raddoppiare nei prossimi anni: entro il 2025 saranno 2 miliardi e 300 milioni”. E’ l’ultimo l’allarme lanciato dalla Commissione mondiale delle Nazioni Unite. L’Onu (UNEP) calcola che “nel terzo Mondo la sete uccida ogni anno oltre 4 milioni di persone”, mentre lo sfruttamento dell’acqua si sta trasformando nel ricco business dell’oro blu.

 

Riferimenti:

 https://www.agi.it/fact-checking/acqua_pubblica_gestione-6170340/news/2019-09-12/

 https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2013/02/acqua-privatizzata-e-sempre-piu-cara_2000.html

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2013/06/italia-dai-rubinetti-acqua-tossica.html

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2012/07/laghi-in-fin-di-vita.html

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2012/04/acqua-avvelenata-in-puglia-e-basilicata.html

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2014/03/taranto-pappadai-diga-di-rifiuti-invece.html

 https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2014/05/in-piemonte-inquinamento-radioattivo.html

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2017/05/gran-sasso-morte-preannunciata.html

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2022/01/draghi-privatizza-lacqua.html

 




 

 

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