Lo studio
“Thanatotranscriptome: genes actively expressed after organismal death”,
pubblicato su bioRxiv da un team
dell’università statunitensi di Washington-Seattle e dell’Alabama e del Max
Planck Institute for Evolutionary Biology e del Ruđer Boskovic Institute, cerca
di rispondere scientificamente all’eterna domanda dell’umanità: «La morte in
realtà significa la fine della nostra esistenza?» La risposta è che «Almeno un
aspetto della vita continua: i geni rimangono attivi per giorni dopo che gli
animali muoiono».
Secondo i ricercatori questa attività post-mortem potrebbe
portare a scoprire modi migliori per preservare gli organi donati per i
trapianti e metodi più precisi per determinare quando sono state uccise le
vittime di omicidio.
Il leader del team di ricerca, Peter Noble, un microbiologo
dell’università di Washington, Seattle, e i suoi colleghi non stavano cercando
di scoprire gli zombie, volevano solo testare un nuovo metodo che avevano
sviluppato per calibrare l’attività dei geni.
Ma la loro ricerca aveva già preso una piega “macabra” due anni fa,
quando avevano pubblicato uno studio sull’abbondanza di microbi in diversi
organi umani dopo la morte, quindi hanno deciso di applicare il loro metodo a
campioni post-mortem. Un esperimento dettato dalla curiosità scientifica «Per
vedere cosa succede quando si muore» dice Noble.
Anche se, analizzando del sangue e del tessuto epatico di
cadaveri umani, gli scienziati avevano
già precedenza l’attività post-mortem di alcuni geni, Noble e il suo team ne
hanno sistematicamente valutato più di
1.000, analizzando quali di questi geni funzionassero nei tessuti di topi e
pesci zebra morti da poco, von
rilevamenti delle modifiche durati 4 giorni nei pesci e 2 giorni nei roditori.
Inizialmente i ricercatori avevano ipotizzato che i geni
avrebbero cessato ogni attività poco dopo la morte, «Come le parti di una
macchina che è a corto di benzina». Invece, quel che hanno scoperto è che
centinaia di geni hanno aumentato la loro attività, la maggioranza nelle prime
24 ore dopo che gli animali erano deceduti, per poi diminuirla gradualmente».
Nei pesci zebra sono rimasti attivi 548
geni, alcuni per 4 giorni dopo la morte. Nei topi i geni attivi post-mortem
erano 515.
Alla Washington University spiegano che «Molti di questi
geni post-mortem sono utili in caso di emergenza; svolgono compiti come
stimolare l’infiammazione, infiammando il sistema immunitario e contrastando lo
stress. Altri geni erano più sorprendenti».
Ma Nobel dice che «Quel che lascia a bocca aperta è che i
geni dello sviluppo siano in funzione dopo la morte. Questi geni normalmente
aiutano a scolpire l’embrione, ma non sono necessari dopo la nascita. Una
possibile spiegazione per il loro risveglio post-mortem, è che le condizioni
cellulari nei cadaveri appena morti siano simili a quelle negli embrioni». Il
team ha anche scoperto che anche diversi geni che promuovono il diventano più
attivi e secondo loro «Questo risultato potrebbe spiegare perché le persone che
ricevono un trapianto da una persona recentemente scomparsa hanno un rischio
maggiore di cancro».
Nerina Negrello, presidente
della lega nazionale contro la predazione di organie la morte a cuore battente
avverte:
«La ricerca su DNA, l'organismo vive 4 giorni dopo la
morte" può apparire un messaggio che mette in discussione le certezze
fasulle sulla "morte cerebrale" e sulla morte in arresto
cardio-circolatorio-respiratorio precoce ed invece si profila l'ennesimo sfruttamento
dell'essere umano. Il timore è che in nome della ricerca questo studio vada a
sostenere la Proposta di legge per la donazione dei corpi per sperimentazione
“post mortem”, ovvero sui vivi che hanno perso la coscienza dichiarati in
"morte cerebrale" e sulle persone in arresto cardiaco e respiratorio
di pochi minuti, nonché il rischio di inediti abusi autoritari: ALLERTA!».
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