Gargano - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) |
di Gianni Lannes
C’era una volta un’antica isola nel bel mezzo dell'Adriatico. Qui Oriente e Occidente si mescolano, si compenetrano e convivono da sempre. Un luogo incantato del Mediterraneo, unico al mondo.
Argentea la pietra abbacinante che riveste il promontorio, dirupa dentro il mare e si lascia scolpire dai venti di terra che ammantano i suoli ed arroventano le foglie degli alberi.
E’ solo un attimo ma lo spirito del luogo ti
accarezza l‘anima, suonando le corde dell’indifferenza. E’ una primitiva
bellezza di colline increspate sull’infinito. Le acque color indaco della
nebbia scivolano nei giardini dai frutti aurei, arruffano gli oliveti pietrosi,
solcano il terreno dei carrubi contorti, millenari e rugosi.
Chi attraversa il Gargano, sia pure in un rapido
viaggio ha modo di intravedere la sua diversità. Questo è il Gargano, o forse
dovremmo dire, “era” dopo l’avvenuta privatizzazione e conseguente
cementificazione dilagante. Per la montagna del sole, infatti, la trama si
rovescia: si cancella il passato in nome del presente, incerto e rovinoso.
Ecco la descrizione realistica e l’affresco preveggente
di Antonio Cederna, sulle pagine - dimenticate o proprio ignote ai contemporanei
- del quotidiano Il Corriere della Sera dell’11 giugno 1971, mentre da allora lo stupro
ambientale continua con il sostegno delle istituzioni:
«… I guasti visibili sono ormai molti. Tutto il
litorale di Siponto e Manfredonia è invaso da una crosta edilizia intensiva…
Gravi minacce gravano sul litorale di Mattinata: nella Baia delle Zagare, tra i
giganteschi promontori ricoperti di boschi, un frivolo pacchiano quartierino di
lusso schiaccia uno spalto roccioso a picco sul mare: un esempio classico di “stupro”
paesistico naturale. Più avanti, Pugnochiuso: l’ENI che inquina Manfredonia si
presenta in veste “turistica” col suo insediamento d’alto bordo, di cui nessuno
conosce le dimensioni future. Superata la testa del Gargano, un villaggio
turistico di bassa lega, quasi un cimitero di vacanze, degrada il promontorio
di Gattarella: un cartello, sul manomesso litorale di Vieste, annuncia la
lottizzazione “Lido di Portonuovo”, mentre verso l’interno sta prendendo corpo
un altro “villaggio”, dal tristo nome di “Paradiso Selvaggio”. Tra Vieste
(orrendamente sfigurata) e Peschici le lottizzazioni realizzate, in corso o in
programma, non si contano, generalmente ottenute con singole licenze e quindi
illegittime; i pericoli maggiori verranno dalla "Manacore del Gargano” che
investe quasi 400 ettari e prevede addirittura 6.000 posti letto… Dopo Peschici
ci appare lo sfacelo costiero di San Menaio-Rodi Garganico… poco prima di Foce
Varano la lottizzazione “Lido del Sole” prevede una colmata di 500.000 metri
cubi ( i prezzi già vanno da 2.000 a 7.000 lire al metro quadrato); Foce Varano
una vergognosa torvaianica annienta il litorale e parte della duna; presso
Torre Mileto la duna è distrutta da un’autentica, sudicia bidonville balneare;
all’estremità occidentale del lago di Lesina un’altra lottizzazione è in atto,
che compromette tutto il tratto tra foce del Fortore e Punta delle Pietre Nere…
ogni metro di territorio (come vorrebbe il Comune di Vieste) dovrebbe essere
lottizzato, privatizzato e cementificato…».
Parole d’ordine, dunque, depredare, violare,
devastare. Un attentato ininterrotto che ha inferto ferite profonde e cicatrici
non rimarginabili. Oggi frotte di turisti entrano, scrutano, consumano, lasciano
un obolo e se ne ripartono. Non comprendono nulla e nulla chiedono se non di
consumare la bellezza. Ma poi il raro viaggiatore che si immerge a volo radente, accarezza la magia. Chi riflette percepisce i segni di un’aura antica. Emerge un luogo
vitale in cui tutto ciò che altrove è ormai perduto, si presenta non passato,
piuttosto futuro. Nulla farebbe presagire l’esistenza di territori naturali, scampati allo sfruttamento spietato che distrugge la sua stessa ricchezza paesaggistica.
Chi pedala o da viandante attraversa il Gargano su
arcaici sentieri, oppure veleggia sulle coste, si addentra in scenari
inimmaginabili dalla modernità. I ritmi evidenti sono quelli lenti di
ecosistemi complessi e diversificati, ma a rischio di estinzione. Questo è un
territorio fiero e vivace che non merita l’oblio delle origini e il triste
destino coloniale che gli hanno somministrato i suoi amministratori pubblici e
privati. Eppure al pericoloso andazzo non si oppongono neppure più per finta i
cosiddetti ambientalisti, intruppati in note associazioni ormai silenti come
Legambiente, ma non solo.
Cala il sipario ma ancora non si tirano le somme.
Lo spettacolo è insostenibile: il cemento armato misto all’asfalto piomba e
dilaga ovunque, con una particolare predilezione per gli spazi ancora liberi e
incontaminati. Il presidente dell’ente parco, tale Stefano Pecorella, reclama a
gran voce addirittura un'inutile e distruttiva superstrada nel cuore del promontorio,
soltanto per guadagnare qualche minuto sui tempi di percorrenza stradale. Lo Stato
e la Regione sovente avallano le illegalità degli enti locali. Negli anni, a volte,
sporadicamente, le costruzioni abusive sono state formalmente poste sotto sequestro,
ma ai sigilli non sono mai seguiti gli abbattimenti. Così grazie a questo
andazzo tollerato dalle distratte autorità che dovrebbero far rispettare la
legge, i cantieri avanzano
sulle aree demaniali, anzi proliferano travolgendo ambiente e popolazioni, coi
poteri mafiosi a dettar legge.
Bretelle, viadotti e nastri d’asfalto con cui
tangentopoli ha strangolato l’Italia. Contro falansteri cementizi, spiagge
ormai precluse all’uso pubblico, aree comunali rapinate da criminali ambientali,
gli amministratori locali fingono di essere disarmati. E la primigenia bellezza
se ne va per sempre.
riferimenti:
Gianni Lannes, La montagna profanata, Edizioni del Rosone, Foggia, 2015.
Nessun commento:
Posta un commento
Gradita firma degli utenti.