ET SUYO MARU (già EDEN V) - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) |
http://vimeo.com/9184356
https://www.youtube.com/watch?v=bFYwsqILxio
https://www.youtube.com/watch?v=z1AQt5goHdM&feature=youtu.be
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(LA SEGUENTE INCHIESTA ERA STATA PUBBLICATA NEL 2009, MENTRE L'INTERVISTA VIDEO RISALE AL GENNAIO 2010).
di Gianni Lannes
Come si fa a smaltire un carico di rifiuti tossici e
magari radioattivi? Elementare Watson: basta stivarlo su una nave in pessime
condizioni e poi venderlo a qualche signore della guerra che in cambio chiede
solo una buona partita di armi. Oppure comprare una carretta e affondarla
insieme ai veleni. Dunque, si acquista un mercantile, si imbottisce di rifiuti
pericolosi dichiarando un carico di materiale innocuo e, infine, si inabissa il
natante o almeno si tenta; male che vada il relitto viene abbandonato alla
deriva. Soltanto negli ultimi 25 anni sono state affondate misteriosamente
circa una sessantina di navi nei mari a ridosso della penisola italiana (in
particolare Tirreno, Jonio e Adriatico); ma la stima è errata per difetto,
anche se soltanto i Lloyd’s di Londra ne certificano 40. Si tratta di
imbarcazioni in condizioni disastrose da far sparire sia per truffare le
compagnie assicurative sia per smaltire illecitamente sostanze pericolose.
Parecchie di queste navi sono state utilizzate prima dell’inabissamento, sia
per portare rifiuti verso paesi del Terzo mondo sia per il traffico di armi.
La concomitanza fra lo smaltimento illecito di rifiuti e il traffico di armi appare ormai come un dato fondante e svela lo scenario di un doppio coinvolgimento della mafia, ma soprattutto di governi, multinazionali e faccendieri in particolare dei nostri servizi segreti (ex Sismi e Sisde). Ecco un esempio a portata di binocolo. Un ras bellico di un paese africano (ad esempio la Somalia) ha bisogno di molto denaro per comprare armi e munizioni per equipaggiare le proprie milizie; per questa ragione viene contattato dai trafficanti, sovente in alta uniforme. In cambio della possibilità di scaricare in mare davanti alla costa o sulla terra ferma nel territorio controllato da questi, verranno forniti denaro, in parte, e direttamente armamenti. Un “prenditore” del ramo raccoglie rifiuti e scorie in qualche paese industrializzato dell’Occidente, offrendo tariffe per lo smaltimento (a buon mercato) molto più basse dell’usuale.
Questi materiali, spesso dichiarati come inerti o
come rifiuti non pericolosi, vengono stoccati in qualche deposito temporaneo
ben collegato con qualche porto (prevalentemente La Spezia, Civitavecchia,
Trieste, Ortona, Manfredonia, Brindisi, Taranto, Crotone, Gioia Tauro). Si
acquista una nave, meglio in pessime condizioni e si assoldano un comandante
spregiudicato e un equipaggio alla fame. Nel frattempo un altro manager tratta
con qualche signore della guerra, il prezzo del terreno o del tratto di mare dove
scaricare i rifiuti. Ad accordo concluso, la nave raggiunge il porto di
partenza, viene caricata e si allontana rapidamente. Prima di raggiungere la
destinazione finale fa una breve sosta: carica le armi che, al confronto dei
rifiuti, sono molto meno voluminose.
Raggiunta la costa del paese di destinazione finale,
iniziano gli scarichi a mare, mentre emissari del leader locale salgono a bordo
per ritirare armi e denaro. L’Italia è il porto finale europeo per navi
sbarcate in Libano, Nigeria, Venezuela, Somalia, Romania. Fino a non molto
tempo fa era prassi usuale di tutti i paesi nuclearizzati, Italia compresa,
smaltire direttamente in mare i rifiuti nucleari. Con la firma del trattato
internazionale London Dumping Convention del 1972 e del successivo (1976)
Barcellona Dumping Protocol, che vietano lo smaltimento in mare di rifiuti in
particolare di origine radioattiva, il problema delle scorie atomiche viene
aggirato con i traffici illegali. A questo quadro di illegalità bisogna
aggiungere un altro dato. La comunità europea in seguito alla Convenzione di
Londra non può più eliminare parte delle sue scorie in mare. Questo impedimento
sembra del tutto inaccettabile per i nuclearisti europei e per gli industriali
senza scrupoli che pur di non sborsare i corretti oneri di smaltimento si
sbarazzano dei propri residui dove capita. Ergo: si aggira l’ostacolo con il
finanziamento di uno studio di smaltimento, sotto fondali marini argillosi
precedentemente individuati, attraverso contenitori speciali detti penetratori.
Una sorta di siluri sganciati da navi attrezzate in modo speciale dette Ro Ro e
successivamente controllati via satellite.
Lo studio, finanziato per 120 milioni di dollari sia
dalla Cee che da altri paesi come Usa, Svizzera e Giappone, viene terminato, ma
non si passa mai, almeno ufficialmente, alla fase esecutiva. Nel 1986 scoppia
il caso Chernobyl. E si fanno due valutazioni, una politica e una strategica:
se si attua il progetto dei penetratori si rischia una sollevazione
dell’opinione pubblica e in ogni caso un deposito sottomarino è difficilmente
sorvegliabile. Il progetto dei siluri di scorie sembra essere definitivamente
abbandonato: poi, invece, ricompare improvvisamente in modo del tutto
imprevedibile. Febbraio 1995.
Il Corpo forestale di Brescia (un nucleo di
investigatori altamente qualificato, inspiegabilmente sciolto per disposizioni
superiori) ferma tal Ripamonti che si stava recando in Svizzera per incontrare
a Lugano l’avvocato Forni. Ripamonti è un emissario di Giorgio Comerio. Questo
ingegnere – gli inquirenti hanno scovato
nella sua dimora il certificato di morte di Ilaria Alpi – è il factotum
e principale artefice del progetto dei penetratori per la Odm, società che
sostiene di aver ingegnerizzato il progetto dei penetratori lanciato dalla Cee
nel 1989. La proposta di Comerio aveva come fine la realizzazione di enormi
contenitori cilindrici, i penetratori, nei quali stivare altri 40 contenitori
più piccoli pieni di scorie nucleari. L’avvocato Forni avrebbe dovuto fare da
intermediario con il governo elvetico, mentre un altro personaggio di nome
Convalexius, avrebbe dovuto svolgere lo stesso ruolo con il governo austriaco.
L’Odm propaganda anche su Internet il suo progetto di smaltimento di rifiuti in
mare, siano questi radioattivi o tossici. La società prospera: negli anni apre
nuove sedi oltre a quella principale di Lugano risulta avere una rappresentanza
a Mosca, il controllo di società in Lussemburgo e Lettonia, rapporti
commerciali con Russia, Ucraina, Bulgaria, Romania, Adzerbaijan, Turkmenistan,
Crimea, Kirgyzistan, Sudafrica, Gambia, Sierra Leone. Si apprende dai documenti
di una commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti che Comerio avrebbe
avviato contatti con i leader somali per l’utilizzazione dei penetratori nella
parte di fondale davanti alla costa nord-occidentale della Somalia nei pressi
di Bosaso. La stessa Odm asserisce di intrattenere relazioni con oltre 50 paesi
e non specificate “Nuclear national authority”.
La società ha individuato almeno 100 siti di
inabissamento fra i quali sono state selezionate 30 zone ottimali. Tra queste è
indicata proprio l’area somala già citata. La commissione presieduta da Massimo
Scalia riporta come segnalazione accreditata dalle denunce di Unicef, Oms,
Organizzazione marittima internazionale e Greenpeace, un’attività di
trivellazione e di successivo inabissamento di containers in mare proprio nei
pressi di Bosaso. Nella relazione conclusiva della Commissione si legge:
“Peraltro la Commissione ritiene doveroso segnalare un’altra coincidenza:
proprio nell’area in questione, e in particolare a Bosaso, ha svolto i suoi
ultimi servizi televisivi prima di essere uccisa (a Mogadiscio il 20 marzo
1994, ndr) la giornalista della Rai Ilaria Alpi, impegnata, secondo quanto
emerso finora, in un’inchiesta giornalistica relativa a presunti traffici di
armi”. Quanto a Comerio è inserito a pieno titolo nelle indagini sugli
affondamenti delle navi nel Mediterraneo. Su una sua agenda, alla data
dell’affondamento della “Rigel”, è scritto “la nave è affondata”. Una
coincidenza? A bordo della “Rosso” vengono trovati dei documenti e delle mappe.
Copia delle stesse vengono trovate da Comerio. Vi sono segnalati alcuni punti e
due di questi corrisponderebbero agli affondamenti nell’’Adriatico centro-settentrionale
di altre due navi, la “Anni” e la “Euroriver”.
Un’altra coincidenza? La Odm in un modo o nell’altro
figura in numerose inchieste sui traffici, in particolare internazionali, di
rifiuti radioattivi. Comerio poi viene arrestato su ordine della magistratura
di Bolzano, per tutt’altra vicenda. La notizia è dell’ottobre 1996: si tratta
di una mazzetta di trenta milioni di lire per una perizia aggiustata su alcuni
lavori eseguiti sulle nuove linee ferroviarie dell’alta velocità. Da quanto si
apprende dal lancio Ansa che segnalava il caso, Comerio è stato arrestato
mentre ritirava la tangente dalle mani di un imprenditore che stava
collaborando con gli inquirenti.
Ma torniamo alle navi affondate nello Jonio e nel
canale di Sicilia. Per alcuni le indagini sono state condotte in un clima di
forte tensione. La morte improvvisa e misteriosa del capitano di corvetta
Natale de Grazia nel ’95, uno degli investigatori di punta che collaborava con
i magistrati di Reggio Calabria, in particolare Francesco Neri e Nicola Maria
Pace a Matera, si è andato a sommare ai numerosi casi di intimidazione
denunciati negli anni. Uno dei più gravi problemi che la magistratura ha dovuto
affrontare è stata la scarsità dei mezzi necessari per poter effettuare
ricerche, rilievi e analisi per accertare la verità sugli affondamenti. Il
calendario segna il primo marzo 1994, quando dal porto di Durazzo salpa la
motonave “Korabi Durres” battente
bandiera albanese. I documenti di carico indicano un trasporto di rottami di
rame. La nave si dirige verso le coste italiane, sfiorando il litorale
pugliese. Il 2 marzo raggiunge l’area dell’antiporto di Crotone; il giorno
seguente la locale capitaneria portuale, sospettando la presenza di immigrati
clandestini, sale a bordo per un’ispezione; nella stiva, però, si trovano
soltanto rottami metallici gettati alla rinfusa: 1.200 tonnellate di carico.
Il 4 marzo la “Korabi” giunge a Palermo, nuova
ispezione al largo con rilievi più approfonditi fra i quali alcuni specifici
per verificare la presenza di eventuali tracce di radioattività. Che vengono
puntualmente riscontrate. Alla nave sono negati l’accesso al porto e il
permesso per scaricare il carico a terra. Il 9 marzo alle ore 11,30 la “Korabi”
lascia la rada portuale di Palermo diretta a Durazzo. Il 10 naviga nelle acque
di Pentimele vicino a Reggio Calabria e le autorità marittime effettuano una
nuova ispezione, ma questa volta, al contrario di quanto riscontrato in
Sicilia, non viene rilevata alcuna traccia di radioattività. Scattano indagini
giudiziarie per scoprire se la “Korabi” ha scaricato in mare parte del carico,
ma nel frattempo la nave si è allontanata e se ne perdono le tracce, nonostante
la presenza di una flotta Nato per l’embargo alla Jugoslavia. Ricompare più di
un anno dopo a Pescara, il 20 aprile ’95, dove viene sequestrata e nuovamente
controllata a fondo. Il capitano Curri Hysen Hajri, viene trattenuto in
arresto. Effettuati tutti i controlli, non vengono trovati picchi di
radioattività a bordo e la nave, dissequestrata riprende il largo. Che fine ha
fatto il carico che il 4 marzo 1994 risultava contaminato?
Aprile 1994. Al largo delle coste della Campania,
davanti a Salerno, si segnala la presenza di radioattività da torio 234, primo
prodotto del decadimento dell’uranio 238, su campioni di alghe e materiale
ferroso prelevati a seguito del rinvenimento in mare di alcuni container persi
nel naufragio della nave “Marco Polo”. La nave si era inabissata nel maggio del
1993 all’altezza del canale di Sicilia. Le analisi relative a uno di questi
containers superano di 5 volte i valori “normali”.
L’affondamento della “Marco Polo”, sul quale è stato
aperto un procedimento della Procura di Reggio Calabria ha diverse analogie con
un altro affondamento avvenuto nelle acque di Ustica, quello della
“Koraline”. Anche in questo caso, a
seguito del rinvenimento di alcuni container, è stata segnalata la presenza, in
concentrazioni anomale, di torio 234. Altra nave altra storia. Nel dicembre
1990 al largo di Vibo Valentia la “Rosso” si trova in difficoltà e richiede
assistenza. Viene trainata per un tratto e in breve finisce per arenarsi a Capo
Suvero. La Capitaneria di porto, che sale a bordo, trova alcuni elementi
sospetti, e si affretta a richiamare i vigili del fuoco per rilevare la
radioattività del carico. Gli elementi rinvenuti a bordo sono dei documenti che
richiamano i trasporti di scorie radioattive e indagini già in corso su
auto-affondamenti nel Mediterraneo. Le operazioni di recupero vengono attuate
dalla società Castalda e da un’altra società. Olandese, specializzata nel
recupero di scorie radioattive. Quest’ultima, la “Smit Tak”, divenne celebre
nel 1981 per il complesso recupero, del carico di una nave affondata nella
Manica che trasportava scorie radioattive. Le operazioni di recupero sulla
“Rosso” durano due mesi, poi, nonostante la nave risulti essere in buone
condizioni, viene rottamata in tutta fretta. Una parte del carico, definita
“materiale putrescente” dalle autorità, finisce in discariche calabresi. Ma
sulle operazioni di recupero sorgono altri dubbi: perché è stato aperto un varco
nello scafo nel lato non visibile da terra; fra l’altro, vista l’inclinazione
dello scafo, il meno idoneo per operazioni di scarico?
La “Rosso” era già salita agli onori della cronaca
alcuni anni prima con il nome di “Jolly Rosso”, una delle famigerate “navi dei
veleni” che transitarono per i porti di mezzo mondo prima di essere bloccate o
bonificate del loro carico illecito di rifiuti tossici e nocivi che
spregiudicati faccendieri italiani cercavano di scaricare sulle spalle di
alcuni paesi del terzo Mondo. Nomi come “Koko” (in Nigeria), “Jolly Rosso”,
“Karin B.”, “Deep Sea Carrier”, “Lynx” e
“Zanoobia” sono legati all’emergere di traffici illeciti di rifiuti dal nord al
sud della Terra. In quel frangente l’opinione pubblica cominciò a percepire che
l’Italia era al centro di attività illecite e di giri di affari colossali nel
settore dei rifiuti pericolosi. Un’altra nave ancora.: il 21 settembre 1987 fa
naufragio la “Rigel” al largo di Capo Spartivento (a 54 miglia dalla costa). Si
tratta di un affondamento entrato nelle cronache giudiziarie grazie a un
procedimento per truffa ai danni della compagnia assicuratrice. Sui documenti
di carico, secondo gli inquirenti, era dichiarata merce mai salita a bordo
della “Rigel” ma registrata per ottenere il risarcimento del danno. La “Rigel” affonda
nello Jonio senza lanciare alcun “May Day”. Dopo l’affondamento, l’equipaggio
sparisce e non si riesce neppure a rintracciare il comandante. Il viaggio della
“Rigel” era iniziato a Marina di Carrara dove, secondo le accuse formulate
dalla magistratura spezzina, era stato corrotto un funzionario per evitare
l’ispezione del carico. La magistratura di Reggio, intanto, avanza il sospetto
di un trasporto pericoloso inerente il traffico illecito di scorie radioattive.
Si è trattato un auto-affondamento effettuato per ottenere due vantaggi
illeciti: truffa alla compagnia assicuratrice e smaltimento illegale di rifiuti
nucleari. Lo stabilisce la sentenza della Corte di cassazione del 10 maggio 2001
dopo le sentenze di condanna della Corte d’Appello di Genova (10 novembre 1999)
e La Spezia (20 marzo 1995).
Versante orientale del Mediterraneo. I fondali e i
litorali del Gargano e delle Isole Tremiti ospitano alcuni relitti abbandonati
con le scorie e addirittura un cimitero subacqueo di containers, una sorta di
bomba ecologica ad “orologeria.” Per 4 lustri l’Eni (stabilimento Anic-Enichem
di Manfredonia) e la Montedison
(stabilimento Saibi non ancora bonificato a Margherita di Savoia, nel
cuore delle saline più grandi d’Europa) hanno sversato al largo del promontorio
garganico e delle Isole Diomedee migliaia di tonnellate di rifiuti chimici
(fatti acclarati in tribunale: la vicenda delle navi “Irene” e
“Isola Celeste”). Un altro esempio per tutti: i mercantili “Et Suyo
Maru” e “Panayiota”. A 12 miglia al
largo di Vieste esiste sui fondali un cimitero subacqueo di containers. Nel
luglio del 1998 i cosiddetti “cassoni”
metallici che hanno causato la morte del pescatore Cosimo Troiano (26 anni, di Manfredonia) vengono filmati dai
sub del Comsubin (Marina militare). Nel
lago costiero di Varano (comunicante mediante due canali con l’Adriatico)
recentemente il Cnr ha trovato il cesio 137, un radionuclide artificiale.
Allora, è tutto normale e sotto controllo?
L’opinione pubblica è disinformatata
a puntino? C’è una nave in fondo al mare, anzi ce ne sono tante, troppe. Navi
cariche di morte. E c’è un paese, l’Italia, con la sua lunga e antica
tradizione marinara, che è fin troppo abituata a veder transitare al largo
delle sue coste e nei suoi porti ogni tipo di traffico illegale. Al massimo se
ne parla ma non si fa niente per combattere un consolidato sistema di
esportazione istituzionale degli scarti mortali di origine industriale e sanitaria.
Non c’è da stare allegri: il Mediterraneo (ma non solo) è stato trasformato in
una pattumiera industriale con esiti imprevedibili sulla vita che lo popola e
che da esso dipende, compreso l’essere umano. Che fare nell’immediato? Almeno
il minimo in uno Stato di diritto: monitoraggio, recupero, bonifica a carico
dei (spesso) noti responsabili e indagini epidemiologiche sui territori. I vari
governi (di centro destra e centro sinistra) sono responsabili di questo
disastro ambientale e sanitario. Nei palazzi del potere sanno ma tacciono. Da
tempo sono stati contattati i ministri
italiani della Difesa e dell’Ambiente e loro, nemmeno rispondono, alla stregua dei
latitanti sindaci garganici del presidente della provincia di Foggia.
Qualcuno
per fortuna si è fatto vivo: Jerzy Buzek,
il presidente del Parlamento europeo ha promesso un interessamento dell’Ue e
sulla base di una nostra inchiesta è stata appena depositata un’interrogazione
a Strasburgo. Nel frattempo, come è noto alle autorità sanitarie locali e
nazionali, nella popolazione della montagna del sole si registra un
impennamento di neoplasie maligne e malformazioni nei bambini. Esiste un nesso
di causalità con l’evidente inquinamento marino della costa? Qual è il grado effettivo di contaminazione
ambientale? Perché in nessun ospedale della Capitanata esiste un registro
tumori? Per le autorità è come al solito “tutto a posto”? I parlamentari
pugliesi seguiteranno a dormire sonni beati scaldando le agognate poltrone o
preferiranno dimettersi e andare a lavorare? Il governatore Vendola, da anni
ben informato, ora farà finalmente qualcosa? Il prefetto Nunziante potrebbe
adottare qualche provvedimento risolutivo in tempi rapidi prima che qualcuno
perda la pazienza dinanzi a tanti morti e malati di cancro? In materia
imperversa l’improvvisazione. Legambiente, ad esempio, almeno per
l’Adriatico nonostante il transito continuo e ben sponsorizzato di Goletta
Verde alle Tremiti e nel Gargano, stranamente non si è resa mai conto del
fenomeno, ma ora ha addirittura scopiazzato integralmente lo stralcio di alcune
inchieste giornalistiche senza citare la fonte (vedi elenco navi affondate
1979-2001). Il Gargano non è il terzo mondo europeo e tantomeno una discarica.
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