nave CUNSKI (ex Lottinge, ex Samantha M., infine Shahinaz) |
di Gianni Lannes
Dottor Giordano grazie alla sua testardaggine, dopo
anni di inquietanti silenzi le indagini sulle navi dei veleni sono approdate alla
prima pistola fumante delle centinaia sparse sui fondali mediterranei. Come ha
concretizzato la sua azione investigativa in un ufficio giudiziario privo di
risorse elementari e di magistrati?
«Il
collega che mi aveva preceduto aveva già fatto dei tentativi e ci fu un primo
momento di confusione. Perché si pensò che questa nave a largo di Cetraro
coincidesse con un relitto che si sapeva essere naufragato ed esistere in
quelle acque. In realtà, il relitto originariamente individuato era la motonave
Federico, affondata per cause belliche durante la seconda guerra mondiale. L’anno
successivo arrivarono le dichiarazioni di Fonti, ricevute dal dottor Luberto
della Dda di Catanzaro che le trasmise alla Procura di Paola. Il collega cercò
pure di contattare infruttuosamente la Marina Militare, fece una delega che poi
venne revocata senza alcun esito. A questo punto si rivolse alla Regione e
chiese all’Arpacal, che aveva un progetto di monitoraggio dei mari antistanti
la Calabria, di effettuare una rilevazione in un determinato punto che indicò
con delle coordinate. Nel frattempo, infatti, una serie di voci confidenziali,
pescatori ed altri avevano segnalato al nostro personale che ad una certa
latitudine e longitudine e a certe coordinate sarebbe stato opportuno cercare
perché c’era un relitto che non risultava né dai registri navali né da altro. Nel
frattempo ero subentrato io. Decisi di raccordarmi direttamente con l’Assessorato
all’Ambiente della regione Calabria. Mi rivolsi al dottor Greco, un biologo
marino. E allora congiuntamente abbiamo fatto ricorso ad una società privata per
mandarla sul posto. La commissione è stata fatta direttamente dalla regione e
sul posto ci è andato anche il personale di polizia giudiziaria che fa riferimento
a me. In quell’occasione è stato accertato che l’impronta era lunga 110/120
metri e larga 20 e due o tre giorni più tardi, quando il mare lo ha consentito,
è stato calato il robot e quel punto l’evidenza ha parlato con la sua eloquenza».
Ho
ritenuto di inviare alla Dda il fascicolo riguardante il mare per tre ragioni:
in primo luogo il collaboratore di giustizia Francesco Fonti si è rifiutato di
rendere l’interrogatorio finché non fossero state ripristinate le misure di protezione
nei suoi confronti. E la competenza a quel punto era della Dda. Poi, perché il
ritrovamento della nave quadrava un cerchio dal punto di vista probatorio e
logico. C’erano delle dichiarazioni del 2006, allegate al fascicolo, in cui
Fonti diceva: “abbiamo affondato una nave con determinate modalità e con certe
caratteristiche al largo di Cetraro. E che conteneva determinate cose”. Queste
affermazioni hanno trovato riscontro nel rinvenimento della nave e nelle
modalità del suo affondamento, primo perché sembrerebbe esistere uno squarcio a
prua provocato da un ordigno collocato all’interno della nave che ha proiettato
le lamiere verso l’esterno; secondo perché abbiamo visto adiacenti alla nave,
poggiata sul fondale, due fusti che dal tipo di chiusura rinforzata
sembrerebbero essere quelli adibiti al deposito di sostanze nocive o tossiche.
A questo punto siccome il Fonti descriveva quest’operazione come un affare di
tipo ‘ndranghetistico ho pensato che la competenza fosse della distrettuale. Si
trattava infatti di aprire uno scenario molto più vasto di quello che poteva
sostenere un ufficio come il mio che in quel periodo aveva un solo sostituto e
una limitata competenza funzionale e territoriale.
In questa vicenda la politica si è impegnata per far
luce?
La
politica regionale è stata presente. Quella nazionale ha forse avuto il timore
di affrontare conseguenze che richiederanno sforzi enormi dal punto di vista
logistico ed economico e riapriranno problematiche vastissime. Come riportare
in superficie queste navi, se sono effettivamente più navi e se sono imbottite
di rifiuti pericolosi o radioattivi, senza provocare danni per la salute
pubblica ulteriori rispetto a quelli che già si sono determinati nel mare? Dove
stoccare e smaltire poi queste sostanze? Ci sono una serie di problemi di vasta
portata. E a questo punto, se si è trattato di un metodo di smaltimento e non
di un episodio isolato, e tutto lascia supporre che possa essersi trattato di
un metodo di smaltimento appunto, il problema o è affrontato dalla comunità internazionale
oppure non sarà facile venirne fuori da parte della sola Italia.
Fonti ha fatto riferimento a responsabilità politiche
e dei servizi segreti. Che ne pensa?
E’
evidente che si tratta di problematiche gestite dal loro nascere al loro
epilogo dagli Stati, con una serie di garanzie di estrema sicurezza e con una
serie di accorgimenti, in funzione del riserbo dal quale questo tipo di cose
viene normalmente circondato.
Sono molti gli Stati che fanno parte di questo sistema
illegale di "smaltimento" rifiuti?
Direi
proprio di sì. Ripeto: la scoria radioattiva non può chiaramente circolare
senza la supervisione delle istituzioni di massima sicurezza. Parlo di circuiti
estremamente riservati, e sottoposti alla vigilanza degli apparati più segreti
dello Stato.
Secondo lei in Italia c’è la tecnologia per
riportare a galla queste bombe ad orologeria?
Certo.
Ho ricevuto tantissime offerte da parte di società private che si sono proposte
di risolvere il problema del recupero delle navi e di quello che c’è dentro. E
questo la dice lunga sull’affermazione dello Stato che dichiara se stesso come
impotente di fronte all’accertamento di determinati fatti. Quindi oggi si può
fare tutto, credo che il problema fondamentalmente siano i soldi e il che fare
dopo.
I bidoni
filmati dal Rov in che condizioni si trovano?
I
bidoni che sono all’esterno della nave sono aperti. Quelli ipoteticamente
presenti dentro la stiva, che potrebbe essere semipiena ma che è ricoperta da uno
strato melmoso che impone ulteriori accertamenti, dovrebbero essere chiusi.
Si giungerà mai alla soluzione del problema?
Non
importa arrivare a una verità quanto risolvere un problema. Fermo restando che
per quanto riguarda Cetraro c’è anche un elemento ulteriore: quelle due sagome
dietro uno degli oblò che sanno tanto di due teschi. Due teste mummificate. Ma potrebbe
anche essere un’impronta fallace. Siamo in emergenza e siamo tutti a rischio.
Non c’è famiglia senza lutti, senza leucemia, com’è possibile? Se un metodo c’è
stato sa di genocidio. Sa di vero e assoluto disprezzo, in una logica distorta
di ragion di Stato, per milioni di persone che si sono trovate malate, morte
senza aver avuto contatti con una realtà che potesse neanche lontanamente sapere di attività industriale. Ragazzi di
vent’anni morti di leucemia. Quindi, se una perversa logica c’è stata, è stata
una logica di genocidio, estremamente perversa, che secondo me qualunque persona
civile deve cercare di capire, di interrompere, di arginare.
Post
scriptum
Questa
intervista mi è stata concessa dal Procuratore capo di Paola nel 2010. Ho
incontrato il dottor Giordano a Paola nel suo ufficio, accompagnato all’epoca
dalla scorta della Polizia di Stato. Ho terminato il mio lavoro di scavo giornalistico e così la rendo pubblica. Soprattutto perché a largo di Cetraro c'è una nave imbottita di rifiuti pericolosi, a prescindere dallo sgangherato insabbiamento del governo berlusconiano.
Dal
documento firmato dal generale Sergio Siracusa, datato 11 dicembre 1995, risulta che
il Governo di Silvio Berlusconi (dall'11 maggio 1994 al 22 dicembre
1994) destinò una somma ingente al Sismi, il servizio
segreto militare, "per lo stoccaggio di rifiuti radioattivi e armi". Al
piduista tessera 1816 subentrò dal 17 gennaio 1995 al 17 maggio 1996 il
governo di Lamberto Dini. 500 milioni di lire nel '94 alla cosiddetta
"intelligence" militare tricolore per fare che? L'ex capo del Sismi alla Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti non ha fornito una risposta.
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