A Milano da una fabbrica abbandonata è stato ricavato un
enorme spazio espositivo di arte contemporanea, che ospita artisti di fama
internazionale sempre molto attesi durante gli eventi di apertura. C’è un’area didattica
dedicata unicamente ai bambini, chiamata “l’Accademia dei bambini”, con laboratori
settimanali e attività libere condotte da maestri, pedagogisti, architetti e
artisti che si alternano di volta in volta in progetti che coinvolgono i
piccoli. Da questo complesso architettonico, commissionato dalla Fondazione Prada
all’architetto olandese Rem Koolhaas, spicca una torre dorata che rappresenta
la parte più insolita del Museo. Orde di visitatori da tutto il mondo sono
mossi alla ricerca di questo enorme spazio e dalla curiosità di vedere dal vero
quella torre, che risulta irreale e metafisica già solo se vista in foto. Il
racconto dell’esistenza di una torre tutta ricoperta di foglie d’oro zecchino
suscita in mia figlia di 4 anni attesa ed entusiasmo, l’emozione di luogo
fiabesco al cui interno vive un altrettanto dorata principessa.
L’arte immersiva è un business che cresce sempre più,
opere ambientali che interagiscono con gli spettatori, oggetti fuori scala,
proiezioni multimediali che sostituiscono le opere originali; giganteschi
gonfiabili che riproducono in scala 1:1 il sito archeologico di Stonehenge,
progetto ideato dall’artista Jeremy Deller, i Sette Palazzi Celesti di Anselm
Kiefer, i luna-park ‘intellettuali’ di Carsten Holler; mostre espositive che si
espandono fino all’assuefazione sensoriale. Le opere d’arte sono sempre più dei
miraggi fumosi, l’esperienza del colore diventa esperienza dei pixel, come “The
Caravaggio esperience”; nascono le Factory che assemblano il lavoro di centinaia
di persone al servizio della costruzione di questi grossi eventi, dove il
pubblico è invitato a interagire, ma le sue risposte sono già messe in conto e
previste.
Ecco come passare una spensierata domenica con la famiglia
nelle visioni aumentate. Impossibile sottrarsi ai mega schermi e al marketing
immersivo, che non sono più ritenuti ausiliari solo ai musei. Anche le piazze,
le stazioni, le facciate di edifici ospitano installazioni e proiezioni
immersive. Ma niente è perduto: anche dopo esserci inabissati in questi
“contenuti”, con l’espressione di ghiaccio o gli oculus che ci bloccano la
circolazione, per la durata che riusciamo a tollerare, con piedi e sguardo
addormentati e osservando le cose di internet muoversi intorno a noi, non si sa
in che sorta di campo vitale, possiamo sempre fare le nostre riflessioni. Ma i bambini
NO!
Una volta che il bambino sperimenta l’immaginazione
pensata per lui c’è un rischio di fargli imboccare una strada di non ritorno. È
opportuno rispettare i suoi tempi e se vogliamo che faccia parte del pubblico
dell’arte dobbiamo interpolare il suo sguardo con le opere che osserva,
chiederci se è il caso di inondarlo di stimoli sensoriali e percettivi così
forti, i quali possono impedire che venga messo in condizione di sviluppare un’immaginazione
attiva. Questa condizione si ottiene se lo si mette di fronte ad un foglio
bianco, con il minimo di indicazioni e limiti, o di fronte alla distesa di un
prato con l’erba alta, su cui gli viene voglia di rotolare, con le scarpe o i
piedi nella terra nuda, in cui inevitabilmente si sporcherà. L’arte ai bambini si
da’ con il gioco e con la libertà di muoversi sicuro nello spazio. Il bambino
abituato all’eccesso di stimoli svilupperà solo paura del vuoto, paura della
noia, che è il momento più prolifico e propedeutico allo sviluppo della sua
creatività. L’arte è vicina al bambino che “pensa” con le sue mani, che
imbratta i fogli come le pittrici sciamaniche nelle grotte, abbozza il gioco
delle scritture che somigliano a geroglifici, accartoccia, taglia, bucherella
il foglio.
L’arte è degli adulti quando si sviluppa come linguaggio e
va oltre il linguaggio; serve ad avere consuetudine con le visioni, con il
senso critico, a creare delle verità invece che subirle, a far proprie le idee
degli artisti o a respingerle e spesso è all’infanzia che questa si rivolge. Capita
di riconoscere Picasso nei disegni dei bambini, come quando di una casa
disegnano sul piano del foglio tutte le facce nascoste, perché la prospettiva
non è un loro problema, come non lo era di antichi uomini.
Una mattina mia figlia ha distribuito tra le varie stanze
quelle che lei chiama trappole per gazze ladre, fatte di nastri, spaghi, legni;
sembravano i meccanismi cattura topi dell’artista tedesco Andreas Slominski,
trappole reali o fantasiose, piccole, innocue, grandi, inquietanti. A volte la
osservo mentre dal caos dei giocattoli cerca di disporre gli oggetti sulle
mensole e riscopro la pratica dell’artista israeliano Haim Steinbach, che con
il rituale dell’ordine agli oggetti pop e di uso comune ha costruito tutta la
sua poetica.
Tutto è già stato fatto in arte.. sì, dai bambini!. Appassionarsi
all’arte significa prendere parte ad un ‘gioco di società’ che accresce la
consapevolezza preservando l’infanzia, il cui nucleo profondo va protetto da
quell’incalzare pervasivo di informazioni inutili.
Lo sguardo puro dei bambini aiuta noi che quella purezza
non l’abbiamo più, quello che aiuta i bambini invece sono le fiabe che gli
raccontiamo, con tutte le sue componenti magiche e le sue metamorfosi: il re,
la regina, principi, principesse e ondine, che altro non sono che funzioni e
parti del bambino stesso e della sua interiorità in divenire. Ascoltare le
parole di un racconto e come vengono pronunciate erige gli anticorpi della sua immaginazione.
È importante quel C’era una volta che induce a sognare il
percorso di una storia che non ha un tempo
preciso e ha sempre un lieto fine. Tutto sta alla nostra capacità, di parlare
la lingua degli angeli, di saper presentare il mondo con i suoi cambiamenti
repentini alle nostre creature e avere sempre delle chiavi per interpretarlo.
*artista
*artista