di Gianni Lannes
Questa interrogazione parlamentare indirizzata al
ministro dell'Ambiente Clini e al ministro dell’interno Maroni il 28 marzo
2011, nonostante numerosi solleciti non ha mai avuto una risposta dal Governo
italiano. Eppure tocca temi legati alla salute della collettività. Anche nella
legislatura in corso (XVII) sono state presentati altri atti parlamentari, ma
sia il governo Letta che quello Renzi non hanno fornito risposte. Perché?
Qualche anno fa due giovani giornalisti siciliani hanno insistito per avere informazioni che poi hanno inserito nel loro documentario "Miniere di Stato". Mi hanno intervistato ma poi nel documentario mandato in onda dalla Rai, ho notato, però, che è stato incredibilmente tagliato il 70 per cento del mio racconto, ovvero il succo della scottante situazione. E stendo un velo pietoso sul solito copia&incolla dei giornalai italidioti di carta stampata modello internet.
Qualche anno fa due giovani giornalisti siciliani hanno insistito per avere informazioni che poi hanno inserito nel loro documentario "Miniere di Stato". Mi hanno intervistato ma poi nel documentario mandato in onda dalla Rai, ho notato, però, che è stato incredibilmente tagliato il 70 per cento del mio racconto, ovvero il succo della scottante situazione. E stendo un velo pietoso sul solito copia&incolla dei giornalai italidioti di carta stampata modello internet.
Sepolti nel ventre della terra. La verità è nascosta
sotto tonnellate di detriti e milioni di metri cubi d’acqua. La miniera di
Pasquasia, tra Enna e Caltanissetta, dopo l’improvvisa chiusura nel 1992, nonostante fosse altamente
produttiva, è stata volutamente "tombata", imbottita di detriti e
quasi del tutto allagata. Un’operazione strana e dispendiosa, in teoria, per
metterla in sicurezza ed evitare crolli. Ma a sigillare i fatti è arrivato anche,
nel 2008, il silenzio di Stato. Il 16 aprile di quell’anno venne pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il decreto che regolava, fra l’altro, i criteri per
l’individuazione dei «luoghi suscettibili di essere oggetto di segreto di
Stato».
Al punto 17 della normativa firmata dall’allora
primo ministro Romano Prodi, si fa riferimento oltre che agli «impianti civili
per produzione di energia», anche ad «altre infrastrutture critiche». Tra
questi i centri esplorati dall’Enea, l’Ente per la verifica energetica, per studiare
la possibilità di stivare i fanghi e le scorie delle centrali nucleari.
La documentazione degli enti ambientali incaricati di verificare l’eventuale presenza di radioattività, contiene affermazioni ambigue. Il livello di radiazioni esterno alla miniera di Pasquasia, dunque in superficie, viene «verosimilmente» attribuito al tipo di potassio presente nel sottosuolo. E con quel «verosimilmente» i tecnici non hanno voluto escludere altra e ben più preoccupante origine. Inoltre nessun carotaggio è stato effettuato in profondità. Lo strumento usato per rilevare la radioattività «non permette - si legge ancora nella relazione sulle ricerche condotte a Pasquasia - di identificare l’emettitore o le emettitrici della radiazione ionizzante prodotta».
Non si conosce con certezza assoluta, dunque,
l’origine della radioattività e non è possibile, allo stato attuale, togliersi
ogni residuo dubbio. Colpa della sepoltura ordinata all’indomani
della chiusura del giacimento. E merito forse del segreto di Stato che
impedisce di andare a fondo. La logica ci dice che se le radiazioni sono a un
livello considerato non allarmante in superficie è perché nel sottosuolo c’è
qualcosa di davvero scottante. Un nocciolo che viene schermato dalla miniera,
ma nonostante questo riesce ad affiorare.
Nessuno, però, ha svolto indagini scientifiche sui
corsi d’acqua e i terreni agricoli. Quelle stesse radiazioni così come sono in
grado di scalare la miniera dall’interno, emergendo in superficie in quantità
limitata rispetto all’energia originaria, possono spargersi ancora più in
profondità, infiltrandosi nei corsi d’acqua e dunque nel ciclo vitale. Ipotesi,
solo ipotesi. Ma che certo potrebbero essere una spiegazione ai tassi di tumore
che colpiscono la popolazione della zona meno industrializzata d’Italia, ma
nella quale, incomprensibilmente, si registrano malattie ematiche che superano
del 108 per cento la media nazionale.
Dal convegno “Miniere: problema o risorsa”, tenutosi
a Serradifalco emergerebbe che per gli abitanti dell’area aumenta il rischio di
ammalarsi di tumore: almeno 9 decessi su 19 nell’ultimo anno a Serradifalco
sono dovuti a malattie tumorali e neuro-linfatiche degenerative. Il registro
dei tumori ha consentito a “Cittadinanza attiva” di rilevare che nei “comuni
del Vallone” in provincia di Caltanissetta l’incidenza tumorale nel triennio
2007-2009 ha registrato 3.278 casi. “Il rischio di contrarre un tumore a
Serradifalco, comune agricolo - ha denunciato il sindacalista Salvatore
Pasqualetto - è stato accertato pari al 43 per cento rispetto al 12 per cento
di Gela dove ci sono raffinerie ed industrie. La causa è da ricercare nelle
miniere dismesse divenuti siti di stoccaggio di rifiuti pericolosi se non
radioattivi”. I dati sui malati di
cancro nell’ospedale di Enna sono più significativi.
Prima o poi bisognerà scavare nei giacimenti
abbandonati e nel passato delle istituzioni. Come avevo già scritto alcuni anni
fa, nel 1977 l’allora Comunità europea annoverava nell’elenco dei 134 siti
italiani idonei ad ospitare un deposito geologico per i rifiuti radioattivi,
una dozzina di località siciliane. C’erano diverse miniere tra Enna e
Caltanissetta, tra cui Regalbuto, Agira, Assoro e Villapriolo, oltre che
Salinella e Pasquasia. Proprio in questo sito furono svolti dall’Enea esperimenti
per testare la resistenza alle scorie radioattive.
Ecco in sintesi i fatti rilevanti: tentativi di
occultamento, quali il riempimento del pozzo grande, ossia lo sfiatatoio
profondo 1000 metri; la presenza di Cesio-137, rilevato nei dintorni della miniera, potrebbe
essere dovuto ad «un inaspettato incidente nucleare verificatosi probabilmente intorno
al 1995 durante una fase sperimentale di laboratorio da parte dell'ENEA. Infatti
l'ENEA con il professore Enzo Farabegoli, aveva studiato la fattibilità dello
stoccaggio di scorie nucleari nel sito di Pasquasia: un sito che era già stato
censito come idoneo allo stoccaggio in una conferenza tenutasi a Washington,
D.C. il 15-16 luglio 1989. Inoltre, la presenza del Cesio-137 nelle vicinanze
di Pasquasia, venne riscontrata, dall'Usi nel 1997, «in concentrazione ben
superiore alla norma». Forse, lo
Stato ha seppellito scomode verità?
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