Garigliano: centrale nucleare |
di Gianni Lannes
Le incognite atomiche incombono sugli ignari
abitanti del Belpaese. A 50 chilometri dalla centrale nucleare di Fukushima,
dopo il disastroso “incidente”, il 27 marzo 2011 la dose giornaliera rilevata
dalle autorità nipponiche era di 3,6 millisievert (mSV). Oggi in Italia,
ufficialmente, la dose media annua dovuta all’esposizione alla radioattività è
di 2,4 millisievert (mSv). Giusto per un raffronto: la dose massima rilevata
all’esterno della centrale di Three Mile Island, dopo l’incidente del 28 marzo
1979 era di 1 millisievert (mSv). C’è un rischio cancro nello Stivale?
Qual è il limite di sicurezza assoluta? Attenzione, le
normative di cosiddetta “protezione” non sono tarate sulla soglia biologica,
bensì su quella economica: 20 millisievert all’anno per i lavoratori ed 1
millisievert per la popolazione. Gianni Mattioli, docente di Fisica alla
Sapienza non ha dubbi:
«Il
danno sanitario da radiazioni è un danno senza soglia. Dosi anche
infinitesimali di radioattività innescano processi di mutagenesi e patologie
tumorali tant’è che la definizione di dose massima ammissibile fornita dalla
Commissione internazionale per la radioprotezione, invece di essere “quella
particolare dose al di sotto della quale non esiste rischio”, è invece quella
dose cui sono associati effetti somatici, tumori e leucemie, che si considerano
accettabili a fronte dei benefici economici associati a tali attività o
radiazioni».
In Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto, e in determinate zone di Sardegna
e Sicilia la concentrazione radioattiva tocca, e a volte supera i 50 mila
Becquerel al metro quadrato. E il radon non c’entra, questo piuttosto è un
inquinamento di origine bellica, come ben sanno gli esperti nazionali ed internazionali.
Qualcuno avrà pure sentito parlare di una base United States of America (Sesta
Flotta) - insediata senza una ratifica parlamentare, operativa dal 1972 al 2008
con relativi incidenti come quello del sommergibile a propulsione ed armamento
nucleare Hartford nel 2003 - all’isola di Santo Stefano. Nell’Arcipelago della
Maddalena a parte i numerosi casi di cancro, purtroppo si annoverano anche
gravi malformazioni nei nascituri. Oppure, delle leucemie fulminanti che
aggrediscono e uccidono dal 1987 prevalentemente i bambini nei paesi agricoli
di Lentini e Carlentini, dove precipitarono in periodi differenti, ben due
aerei militari di Washington con carichi segreti.
Santo Stefano alla Maddalena: nave balia per sommergibili nucleari sesta flotta Usa fino al 2008 (tutti i diritti riservati) |
Il popolo italiano con due referendum ha rinunciato
all’energia nucleare. Le cinque centrali atomiche (4 civili e 1 militare) sono
state disattivate ma non ancora bonificate dalla Sogin (incaricata nel 1999). E
così i depositi, le officine e i centri di ricerca. In Italia, tuttavia, si
continuano a produrre rifiuti radioattivi di origine industriale e sanitaria
che prendono in prevalenza strade occulte (suolo, sottosuolo, mare, laghi,
cantine, capannoni di cartongesso. Una precisazione: al Cisam (ex Camen, poi Cresam), una base militare in quel di San Piero a Grado in Toscana, anche se il reattore è stato spento (e non rientra più nella contabilità atomica nazionale, grazie ad un provvidenziale decreto di Berlusoni), in passato l'area è stata trasformata dal ministero della Difesa in una discarica militare, anche se figura un centro di ricerca.
Come risulta dai documenti ufficiali reperiti presso l’Unione europea a Strasburgo, lo Stato tricolore, come alcuni altri Stati occidentali, ha inabissato a partire dal 1967, scorie nucleari di terza categoria (le più pericolose) con l’ausilio della Marina Militare. I mari dello Stivale, inoltre, negli ultimi 40 anni, sono stati trasformati in un immenso cimitero chimico e nucleare. Prima di tutto gli affari. Dopo sempre e solo il profitto economico. Nel Mediterraneo sono state deliberatamente affondate - grazie alle multinazionali del crimine e alle molteplici coperture dei servizi segreti - centinaia di navi a perdere e migliaia di container imbottiti di sostanze tossiche, cancerogene, e mutagene; e perfino qualche sottomarino nucleare è colato picco compreso di armamenti atomici. Non hanno risparmiato il Mar Jonio.
Come risulta dai documenti ufficiali reperiti presso l’Unione europea a Strasburgo, lo Stato tricolore, come alcuni altri Stati occidentali, ha inabissato a partire dal 1967, scorie nucleari di terza categoria (le più pericolose) con l’ausilio della Marina Militare. I mari dello Stivale, inoltre, negli ultimi 40 anni, sono stati trasformati in un immenso cimitero chimico e nucleare. Prima di tutto gli affari. Dopo sempre e solo il profitto economico. Nel Mediterraneo sono state deliberatamente affondate - grazie alle multinazionali del crimine e alle molteplici coperture dei servizi segreti - centinaia di navi a perdere e migliaia di container imbottiti di sostanze tossiche, cancerogene, e mutagene; e perfino qualche sottomarino nucleare è colato picco compreso di armamenti atomici. Non hanno risparmiato il Mar Jonio.
La biologa marina Rachel Carson nel saggio IL MARE
INTORNO A NOI ha così argomentato:
«La concentrazione e la distribuzione di
radioisotopi ad opera degli organismi marini può forse avere un’importanza
ancora maggiore dal punto di vista del rischio umano … gli elementi radioattivi
depositati nel mare non sono più recuperabili. Gli errori che vengono compiuti
ora sono compiuti per sempre».
Numerosi epidemiologi sono convinti che anche
concentrazioni modeste di radiazioni possano essere responsabili di leucemie e
tumori. Alcuni studi hanno documentato un eccesso di leucemie nei bambini che
vivono nei dintorni delle centrali nucleari in Europa. Il più noto è lo studio
Kikk (Kinderkrebs in der Umgebung von
Kernkraftwerken (Tumori infantili in prossimità di centrali nucleari),
commissionato dal governo tedesco all’università di Mainz. La ricerca mostra un
incremento del 2,2 per cento delle leucemie infantili e dell’1,6 per cento dei
tumori solidi - quasi il dopo del previsto - in chi vive entro 5 chilometri
dalle 16 centrali nucleari germaniche.
Il cesio 137 ha un tempo di dimezzamento intorno ai
30 anni. Ben prima: altro che effetto Chernobyl. Un’indagine dell’Enea datata
1980 rilevò una contaminazione radioattiva non solo nella zona in prossimità
della centrale del Garigliano (in riva al Tirreno, ai confini di Campania e
Lazio), ma anche in una vasta porzione di mare. Fu scoperto che il cobalto 60 e
il cesio 137, rispetto agli anni ’70 avevano raddoppiato i valori. Artificialmente,
decisamente prima dell’incidente di Chernobyl del 26 aprile 1986. Le autorità,
tuttavia, si sono girate dall’altra parte. E hanno sigillato gli occhi istituzionali,
anche quando fu verificato che dal 1972 fino al 1978 l’incidenza di tumori e
leucemie nell’area del Garigliano - che comprende il Basso Lazio come le
province di Frosinone e Latina e 1700 chilometri quadrati di costa balneabile
risalendo dal Volturno al Circeo - era del “44 per cento contro una media
nazionale del 7 per cento”. Nei comuni di Formia, Minturno, Sessa Aurunca, San
Cosma e Damiano, Roccamonfina e Castelforte ci furono novanta casi di neonati
malformati tra il 1971 e il 1980. Solo nel 1984 l’Usl Latina 6 di Formia ne
registrava il 19,57 per cento. Agli ospedali di Minturno e Gaeta furono
numerosi quelli di encefalici, e si verificò anche un caso di ciclopismo.
A tutt’oggi
non è mai stata realizzata un’indagine epidemiologica. Chissà perché.
Inquinamento irreversibile. In due relazioni
ufficiali dell’Enea (“Influenza dei
fattori geomorfologici sulla distribuzione dei radionuclidi. Un esempio: dal M.
Circeo al Volturno” nonché in “Studio
preliminare dei sedimenti sulla piattaforma costiera della zona della foce del
Garigliano”) risulta che: «le attività del Cesio 137, nei primi due
centimetri dei fondali antistanti il golfo di Gaeta, nelle aree di maggiore
concentrazione, corrispondono a 7 millicurie/kmq (259 Mbq/kmq)». In particolare
nella relazione di Brondi, Ferretti e Papucci si rileva che:
«complessivamente
la zona interessata dalla contaminazione da Cobalto 60 nei supera i 1700 kmq».
Come se non bastasse, qualche anno dopo ecco
apparire fra gli addetti ai lavori i dati sulla contaminazione da plutonio. In
una ricerca effettuata per la Cee di Delfanti e Papucci (“Il comportamento dei transuranici nell’ambiente marino costiero”)
viene tracciata una mappa della contaminazione da plutonio nel golfo di Gaeta
da 2 a 4 volte la deposizione da fall-out.
Il plutonio non esiste in natura: è una sostanza altamente tossica dal punto di
vista chimico, è pericolosamente radiotossica e di elevata rilevanza
strategico-militare. La radioattività del plutonio si dimezza dopo 24 mila anni
ed esso rimane pericoloso per oltre 400 mila anni. Secondo l’Istituto Superiore
di Sanità:
«0,25
milionesimi di grammo sono il massimo carico ammissibile di plutonio in tutta
la vita per un lavoratore professionalmente esposto».
Bastano infatti pochi microgrammi di plutonio
immersi nel condizionamento di un grattacielo per condannare alla morte rapida
tutti coloro che si trovano al suo interno.
Sull’aumento della radioattività nei sedimenti
marini del golfo di Gaeta ha scritto il 4 agosto 1984 anche l’Istituto
Superiore di Sanità:
«Per
una serie di ragioni descritte in notevole dettaglio nella letteratura tecnica,
si sono prodotti fenomeni di accumulo del Cobalto e del cesio, scaricati nel
fiume Garigliano, all’interno del golfo di Gaeta. Ciò è indubbiamente legato
all’insediamento della centrale».
Helen Caldicott è australiana, pediatra, specializzata
nello studio sulle conseguenze delle radiazioni sul corpo umano, in particolare
sulle donne e i bambini. Nei suoi libri (La
follia nucleare: è l’unico saggio tradotto e pubblicato in Italia dalla Red)
dimostra cose non facilmente digeribili. Ad esempio:
«Il plutonio produce terribili malformazioni, ma non
si ferma ad una generazione, continua a colpire per mezzo milione di anni. E
ogni maschio adulto occidentale ha già una piccola quantità di plutonio
racchiusa nei testicoli, per colpa dei test atomici degli anni ’50 e ’60».
Elenca nomi di sostanze che dopo io disastri di Three Mile Island, Chernobyl e
Fukushima erano diventate familiari nel senso comune, e che lentamente si
cancellano dalla memoria collettiva. «Eppure, in Italia ancora ci sono. Il
vento le ha trasportate fino a noi, le piogge le hanno fissate al terreno
avvelenando alberi, frutta. Hanno vite millenarie. In termini umani sono eterni».
La sua requisitoria lucida, rigorosa e documentata, giustamente non fa sconti:
«Le radiazioni spaccano i cromosomi, provocano il
mongolismo. Non sono percettibili dai sensi umani, non hanno odore, colore,
sapore. E’ una tragedia silenziosa, sotterranea. I medici dovrebbero spiegare
ai cittadini, spiegare quello che sta accadendo. La maggior parte dei politici sono
scientificamente degli illetterati» continua la Caldicott, e affronta il
problema irrisolto delle scorie radioattive che provocano il rilascio nella
biosfera di tonnellate di sostanze radioattive che incontrandosi nel corpo
umano con altri veleni producono una reazione sinergica, esaltando
vicendevolmente le loro proprietà mortifere e nocive. «I bambini sono particolarmente
sensibili - dice la Caldicott - questo vuol dire che le future generazioni
dovranno aspettare solo 20 anni di vita prima di essere colpiti da un cancro».
Un panorama desolante e agghiacciante. E allora come dimenticare il famigerato caso del centro Enea (Cnen + Eni), a Rotondella in Basilicata? I governi italiani non hanno mai provveduto a bonificare le aree contaminate del territorio nazionale, bensì ad occultare i rischi a danno della salute della popolazione e delle future generazioni.
PRONTUARIO SCIENTIFICO INTERNAZIONALE:
Che cos’è la radioattività? Un radionuclide (un
nucleo atomico instabile) per stabilizzarsi emette energia (radiazione). Il
fenomeno viene definito decadimento radioattivo, ed è di tre tipi che si
differenziano a seconda della particella emessa a seguito del decadimento: alfa
(emessa da un nucleo di Elio), beta (da un elettrone e un antineutrino) e gamma
(la radiazione elettromagnetica).
La radioattività si misura rilevando quanti decadimenti
del radionuclide avvengono ogni secondo. Nel sistema internazionale si impiega
come unità di misura il Becquerel (Bq), che equivale a un decadimento al
secondo. Per indicare invece la quantità di radiazione che viene assorbita dalla
materia, si utilizza il Gray (Gy) che corrisponde a una quantità di energia di
1 joule assorbita da un 1 chilogrammo di materia.
I diversi tipi di radiazione possono essere più o
meno dannosi. Perciò è stato adottato il concetto di dose equivalente, che si
ottiene moltiplicando la dose assorbita per un fattore che tiene conto del tipo
di radiazione. L’unità di misura di questa dose equivalente è il Sievert (Sv)
Nel caso di raggi X, gamma o beta, 1Gy di dose assorbita equivale ad 1 Sievert
(Sv) di dose equivalente, mentre per i più dannosi raggi alfa 1 Gy equivale a
20 Sv. Per i fascio di neutroni 1Gy può equivalere da 3 a 11 Sv a seconda dell’energia
del fascio.
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