9.7.13

LA BASF A ROMA AVVELENA E UCCIDE ANCHE I BAMBINI

Roma: industria pericolosa Basf - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)




di Gianni Lannes

Un’industria pericolosa con licenza di ammazzare impunemente gli esseri umani, ovviamente tutto impeccabilmente a norma di legge. Il 30 dicembre 2011 la Provincia di Roma presieduta da Nicola Zingaretti del partito democratico, ha concesso incredibilmente l’Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.) definitiva per 6 anni allo stabilimento di Roma della Basf Italia srl (Basf) ed al suo inceneritore per rifiuti pericolosi. 

 
Roma: industria pericolosa Basf - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)

L’A.I.A. ha rappresentato l’esito finale di una controversia durata 10 anni tra l’Azienda, le autorità istituzionali, i cittadini e i comitati. In pratica la sua concessione era prevista entro il settembre 2007, ma l’istruttoria si è conclusa solo il 30 dicembre 2011, dal momento che l'A.I.A. concessa l’11 dicembre 2009 era provvisoria e a tempo determinato perché condizionata dai risultati del Piano di monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità (I.S.S.) che il Comune non ha mai realizzato. 


 Roma: industria pericolosa Basf - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)


L’A.I.A. è stata concessa senza avere prima accertato i rischi a cui sono esposti, per primi, le 335 famiglie e l’asilo nido attigui allo stabilimento e, a seguire tutti gli altri abitanti di Case Rosse e Settecamini, nonché i lavoratori del Polo Tecnologico.

Nel maggio dello scorso anno un blitz della polizia locale di Roma Capitale è stato effettuato nell'industria chimica Basf in zona Case Rosse, alla periferia est della città. I controlli sono stati decisi solo in seguito agli esposti presentati dai residenti dei quartieri Settecamini, Case Rosse e Ponte di Nona. I cittadini in alcuni esposti in particolare, hanno fatto riferimento ad una analisi condotta nel 2004 in cui si è rilevato nell'area una concentrazione di diossina dalle 5 alle 20 volte superiore alla media.

 
 Roma: industria pericolosa Basf - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)

Odori nauseabondi fin dentro casa che in alcuni casi hanno causato forme di irritazione alla gola e bruciore agli occhi. A puntare il dito contro l'inceneritore dell'industria chimica sono i residenti dei quartieri limitrofi: «Sono anni che va avanti questa storia - ha commentato Rocco Margapoti che abita a due passi dall'azienda chimica - siamo davvero stufi. I cattivi odori entrano in casa e alcuni di noi oltre al bruciore degli occhi hanno avuto anche forme di irritazione alla gola. Per non parlare poi delle sostanze pericolose che continuamente vengono sprigionate nell'aria: 150-200mila metri cubi di fumo al giorno. Le case stanno a 68 metri dall'industria - ha puntualizzato - e ci abitano circa 120 famiglie. Come si fa? La Basf in questa zona è incompatibile. Non capiamo come abbia fatto la Provincia, che è l'autorità competente, a rilasciare l'Aia (Autorizzazione integrata ambientale) concessa proprio a dicembre 2011».

Roma: asilo nido vicino all'inceneritore Basf


Gli fa eco Emilio Montuori, coordinatore del comitato di quartiere Settecamini: «Per noi la Basf è un'industria insalubre di prima classe. Ha un inceneritore con cui brucia catalizzatori industriali esausti per creare metalli preziosi, come il rodio e il palladio, per i nuovi catalizzatori   - da anni lanciamo l'allarme diossina. Finalmente qualcuno ci ha ascoltato. Abbiamo paura anche per l'incidenza dei tumori. Nel 2007 l'Asl RmE ha accertato che in questa zona c'è un 30 per cento in più di quelli linfatici negli uomini».
E va in scena il solito scaricabarile. Da Palazzo Valentini non si è fatta attendere la risposta: «La Provincia di Roma su proposta del Comune di Roma Capitale, ha rilasciato nel 2009 l'autorizzazione all'impianto per una durata di 12 mesi, poi prorogati per un ulteriore anno, per un periodo limitato al tempo strettamente necessario all'attuazione delle procedure che il Comune di Roma, il cui sindaco è autorità sanitaria locale, si era formalmente impegnato a porre in essere e che non sono state più realizzate, al fine di adottare un sistema di monitoraggio ambientale permanente sotto il coordinamento dell'Istituto Superiore di Sanità».

Come si può autorizzare un inceneritore privato a poche decine di metri dalle abitazioni e come abbia fatto la Provincia a rilasciare l'autorizzazione integrata ambientale affinché tale inceneritore potesse funzionare?  

 E’ una tortuosa vicenda di permessi pubblici "provvisori" per smaltire rifiuti speciali e di perenni emergenze ambientali legate all'attività dell'azienda che estrae platino dai catalizzatori e brucia metalli pesanti nella Tiburtina Valley, alle porte della capitale.
 Non basterebbe un volume di almeno un migliaio di pagine per ripercorrere la vicenda della Basf in via di Salone a Roma, l’unica industria pesante nella zona del Polo Tecnologico Tiburtino, ma non l’unica fonte di inquinamento e di pericolo per la cittadinanza: proprio tra le borgate di Case rosse, Setteville e Settecamini e vicino allo stabilimento della divisione italiana della multinazionale tedesca si trovano altri impianti come la “Mit Nucleare” che trasporta merci pericolose, e il campo-ghetto rom. 

Lo stabilimento della Engelhard nasce nel 1956 e viene chiamato la “fabbrica dell'oro”: 
si pensava che fosse un' industria galvanica. All'epoca era presente un unico insediamento abitativo, cioè la borgata di Settecamini, distante circa 1500 metri dall'impianto. Sono gli anni del boom economico e la produzione di merci esplode, ma mancano norme per lo smaltimento dei rifiuti. Producendo di più si accumulano anche più scarti, e si esauriscono i “catalizzatori chimici”, che non sono solo quelli che si trovano nelle marmitte delle automobili ma sono anche strumenti utilizzati dalle industrie che producono i diversi beni di consumo, in particolare quelle farmaceutiche e petrolchimiche. Per questo la multinazionale americana (che faceva lo stesso lavoro che fa attualmente la Basf, la multinazionale tedesca), oltre a produrre i “catalizzatori chimici” e a stipulare contratti per riavere indietro i catalizzatori, una volta esausti li prende di nuovo, poi li tratta recuperandone i metalli preziosi e bruciando gli scarti.

 Nel 1982 e nel 1988, vengono emanati due decreti del Presidente della Repubblica in materia di rifiuti, alcune norme vengono introdotte e altre cambiano: i catalizzatori esausti sono dei rifiuti speciali tossici e nocivi (secondo la definizione della legislazione allora vigente mentre oggi alcuni di quei rifiuti, cioè quelli contrassegnati da un apposito asterisco nell’elenco che comprende tutte le famiglie di rifiuti, possono essere definiti “pericolosi”) ma, nel caso della Engelhard, sono considerati una semplice risorsa dell'intero “ciclo di produzione”.

Nel 1993 arriva la prima autorizzazione “provvisoria” (sarebbe dovuta durare sei mesi) della regione Lazio che dava l’autorizzazione a smaltire, stoccare, trattare e recuperare i catalizzatori. Fino al 1996, scaduti ampiamente i sei mesi dell’autorizzazione del ‘93, i cittadini hanno più volte chiesto di sapere quali autorizzazioni siano state date all'industria pesante, ma non c'è stata risposta. A febbraio del '96 la Engelhard richiede l' “autorizzazione sindacale per attività insalubre”. Nella domanda si parla della produzione di catalizzatori ma non si parla di rifiuti pericolosi e della presenza di quello che, di fatto è un inceneritore che smaltisce e fonde a elevate temperature metalli pesanti.

A marzo del ‘96, un mese dopo la richiesta della Basf, il Comune e l'Asl danno l'autorizzazione e classificano lo stabilimento come una “industria insalubre di prima classe” e per questo non potrebbero esserci insediamenti nelle vicinanze (e a circa 300 m dello stabilimento è stato costruito perfino un asilo nido.  

Nel Febbraio del ’98 un decreto ministeriale stabilisce che i catalizzatori possono essere definiti rifiuti “non pericolosi”, a patto che siano trattati debitamente per “disattivarli”... Nel 2000 l'azienda viene iscritta dalla Provincia nel registro delle imprese che trattano rifiuti, e deve comunicare informazioni sulla tipologia e sulla provenienza dei rifiuti e delle attività svolte, come previsto dal decreto succitato: se non fossero state rispettate tutte le regole stabilite nell’atto, la Provincia avrebbe dovuto bloccare l'attività.
L'azienda ammetterà solo successivamente di aver trattato anche materiali “tossico-nocivi” (secondo l’attuale legislazione possono rientrare tra i cosiddetti “pericolosi”) e i comitati in varie occasioni, come nel loro ricorso al Presidente della Repubblica contro una precedente autorizzazione della Provincia (a maggio del 2010), hanno depositato diverse denunce sulla tipologia e sulla maniera in cui questi materiali venivano trattati.
Nel 1999 avviene un primo incidente nello stabilimento: si guasta un contenitore di acidi; l’anno successivo scoppia un incendio.

 
  Roma: industria pericolosa Basf ed edilizia resienziale - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)

Nel 2000 la vicenda sbarca in Parlamento, ma invano. Le autorizzazioni “provvisorie” continuano a essere rinnovate in deroga alle nromatove di protezione sanitaria e ambientale. E anche le emergenze, che dovrebbero essere un evento straordinario, si protraggono per decenni.

Infatti a marzo del 2002 il vice-commissario delegato all'emergenza rifiuti, Marco Verzaschi (un ex democristiano passato da Forza Italia all'UDEUR e dimessosi da tutti i suoi incarichi tre giorni prima di essere arrestato per un'inchiesta sull'ASL di Roma) firma un documento che permetterà alla Engelhard la continuazione delle sue attività modificando, dove necessario, gli impianti per le diverse tipologie di rifiuto.
Nell'ottobre 2002 gli abitanti della zona vengono a sapere che quella vicina a casa loro non è l'innocua fabbrica dell'oro ma uno stabilimento che smaltisce rifiuti speciali appena regolarizzato dalla Regione nell’ambito della cosiddetta “emergenza”.
Nel 2003 arriva anche una prima analisi epidemiologica dell'Asl: vengono studiate le malattie che hanno colpito la popolazione nella zona e si scopre che alcuni tipi di tumori potrebbero essere collegati con l'inquinamento dell'impianto, in quanto in quella zona risultano più frequenti della media capitolina.
  
Poi nel pomeriggio del 9 febbraio 2004  arriva “il botto”, poi le sirene e poi il fumo denso che esce dall'impianto.  Un forno si è surriscaldato ed è scoppiato.  
Il 14 maggio 2006 stavano terminando i primi cinque anni dell'amministrazione Veltroni. Quel giorno, in piena campagna elettorale, esce un articolo in prima pagina sul quotidiano “La Repubblica” che titolava: “Tiburtina Valley, via il colosso USA”, con riferimento alla Engelhard.  

  Roma: industria pericolosa Basf - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)


Il volantino e il quotidiano si riferiscono a un protocollo firmato tra la Engelhard e l'ex assessore all'urbanistica Morassut che prevedeva la delocalizzazione dell'impianto in cambio della concessione a costruire sul terreno della fabbrica 50 mila metri cubi di palazzine e uffici.
  
A fine mese di quell'anno Veltroni è per la seconda volta sindaco di Roma. Nei mesi successivi la Basf rileva l'attività dell'Engelhard Internazionale: deciderà che da quel posto non ha intenzione di spostarsi e nemmeno di dare seguito al protocollo d'intesa firmato con il riconfermato assessore all'urbanistica (ex Ds e attualmente deputato del Pd).

  Roma: industria pericolosa Basf - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)


Dopo quella del 2002 firmata da Verzaschi, sono seguite uno dietro l'altra fino al 2009 le proroghe fuorilegge della Regione, prima della AIA concessa dalla Provincia nel 2009 con il parere favorevole del comune di Roma. E’ infatti con questa autorizzazione che la divisione italiana della multinazionale ex-farmaceutica, le cui radici storiche sono intrecciate al nazismo e al fascismo (originariamente la Basf produceva il pesticida usato nelle camere a gas), continua le sue attività “insalubri” in un centro abitato.

Centro, destra e sinistra: nessuna differenza. Alla multinazionale nessun politicante mette i bastoni tra le ruote, né il sindaco Veltroni e né il sindaco Alemanno. Alla luce dei fatti, evidentemente, la casta politica se ne frega della salute della gente comune.

 



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