17.7.13

IL MISTERO DELLE STRAGI IN ADRIATICO





di Sandro Provvisionato *

Un dato ormai scontato e' che la storia d'Italia piu' recente, diciamo dal dopoguerra ad oggi, e' piena di buchi neri. Molti sono i misteri a cui la Giustizia non ha saputo dare risposte, ma che la Storia ha ben inquadrato ed analizzato. Altri sono effettivamente dei grandi punti interrogativi.

Poi ci sono i misteri troppo a lungo ignorati, vuoi per una cattiva circolazione dell'informazione, vuoi perche' il fatto e i suoi protagonisti, ovvero le vittime del misfatto, non avevano per l'opinione pubblica una rilevanza degna di nota. Se cinque pescatori a bordo di un peschereccio finiscono in fondo al mare il cinismo dell'informazione li relega nella cronaca locale e nelle pagine interne della stampa nazionale.

Se poi, con la complicita' di magistrati non proprio motivati, periti che vogliono evitare grane e la strapotente forza di persuasione della Nato, il caso viene archiviato come incidente, quel fatto diventa un non-mistero, e quelle vittime vengono di nuovo uccise dall'indifferenza.

Di recente, per iniziativa di una piccola casa editrice, La Meridiana, e' uscito un bellissimo e documentatissimo libro intitolato Nato: colpito e affondato, scritto da un giornalista che questa volta davvero puo' essere definito investigativo: Gianni Lannes. Il libro ricostruisce, con pazienza certosina e la verve che guida i giornalisti migliori, la tragedia insabbiata (letteralmente) del Francesco Padre, un motopeschereccio italiano di Molfetta prima mitragliato e poi affondato con un missile nel mar Adriatico orientale, al largo del Montenegro, il 4 novembre 1994 ad opera di unita' navali che sotto l'egida della Nato gestivano lo scenario marittimo della sporca guerra che portera' da li' a poco alla dissoluzione della Jugoslavia.

Che quell'attacco selvaggio ad un'innocua imbarcazione da pesca sia stato generato dal solito eccesso di zelo guerriero da parte di una nave in pattugliamento nell'Adriatico, per garantire il mantenimento dell'embargo e a guardia delle coste, non lontano dalle quali era in corso uno scontro fratricida tra croati, bosniaci e serbi, e' fuor di dubbio. Che all'origine della tragedia ci si stata la fretta e comunque un grave errore di valutazione anche. Quello che lascia interdetti e' che attorno ad una vicenda come questa negli anni si sia alzato il solito muro di gomma stile strage di Ustica che in qualche modo, con tutte le debite proporzioni, ci riporta al mistero ancora fitto sugli effettivi esecutori della strage di Bologna, alle verita' negate per l'assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, alla tragedia del Cermis, al disastro della Moby Prince, fino al sequestro dell'imam Abu Omar. Con in piu' la grave diffamazione che quei cinque innocui pescatori non fossero li' per procurarsi con la pesca di che vivere, ma che fossero trasportatori clandestini di esplosivo. Con un filo rosso che lega tutte queste vicende nere: il fatto che l'Italia sia stata e sia inesorabilmente ancora un paese a sovranita' limitata.

PIETRA TOMBALE

Gia' perche', nel silenzio dei media, con un decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 6 luglio 2009, il governo in carica ha di fatto messo, sulla scomparsa del Francesco Padre e su vicende simili che vedono compromesse le forze armate della Nato o di Paesi amici, il segreto di Stato. Dopo che i governi che l'hanno preceduto hanno sempre ostacolato la ricerca della verita' su questa specifica vicenda.

Il contenuto del decreto del 6 luglio 2009 e' quanto mai interessante. In parole povere stabilisce che nulla possa essere rivelato in merito alle attivita' che coinvolgano la Nato o Paesi aderenti alla Nato. Come dire che i militari della Nato, se commettono reati nell'esercizio delle loro funzioni, non sono ne' indagabili, ne' processabili. Una sorta di rivoluzione nell'opposizione del segreto di stato che, se finora era opponibile su fatti specifici concernenti la sicurezza nazionale, ora diventa automatico, al di la' dei fatti specifici, per determinate categorie di persone: i militari.

Oggi una pietra tombale e' stata messa definitivamente sulle cinque vittime di un tragico errore, sempre negato con ostinazione degna di miglior causa.

Il libro cerca di penetrare, nell'immediatezza dell'accaduto, ora dopo ora, la coltre di spessa nebbia che nasconde cio' che e' successo: perche' un peschereccio possa essere esploso all'improvviso. Fin da subito cio' che ancora sorprende e' la capacita' di mentire, senza sbavature, di un'intera catena di comando militare.

MARE NERO

Come il Dc9 di Ustica non volava in un cielo deserto, cosi' il Francesco Padre non navigava in acque solitarie. Il motopeschereccio pugliese era finito dentro un triangolo di mare dove era in corso un'esercitazione militare dell'Alleanza Atlantica non denunciata da alcun bollettino. Qualcosa di assolutamente segreto.

Il primo ad avvistare la esplosione del Francesco Padre fu un aereo americano. La prima nave ad arrivare in pochi istanti nell'area dell'esplosione fu una fregata spagnola. Quel tratto di acqua pullulava di imbarcazioni superprotette da radar. Eppure nessuno vide quello che era successo al motopeschereccio. Nessuna unita' navale. Neppure italiana. Perfino il sommergibile olandese Walrus ed il sottomarino iberico Tramontana non videro nulla, pur essendo entrambi specializzati nella guerra elettronica e benche' fossero operativi nella zona del disastro. E i resti recuperati vennero immediatamente distrutti. Proprio come si cerco' di fare - ma senza riuscirci - nella tragedia di Ustica con il Mig 23 precipitato sulla Sila.

C'e' poi il capitolo piu' spinoso. Quello del comportamento della magistratura di Trani che, a differenza di quella romana su Ustica, ha preferito chiudere in quattro e quattro otto l'inchiesta. Del comportamento di quei magistrati, procuratore e sostituto, Lannes fa un'analisi molto attenta per giungere a conclusioni degne di un intervento, anche a distanza di anni, del Consiglio superiore della magistratura. Con una domanda forse ingenua: possibile che esistano magistrati tanto tremebondi e cosi' coercibili?

L'aspetto del libro che piu' mi ha allarmato e' l'elenco spietato che Lannes fa degli altri incidenti ad opera di unita' navali militari avvenuti nel corso degli anni in quel piccolo mare che e' l'Adriatico.

11 luglio 1993, nelle reti calate del Francesco Padre, impegnato in una battuta di pesca, si impiglia un sommergibile della marina statunitense, l'Uss Belknapp. Il giorno dopo il comandante del peschereccio, Giovanni Pansini, che 16 mesi dopo restera' ucciso nella tragedia, denuncia l'accaduto ma viene subito indagato dalla procura di Trani. Poco piu' di un mese dopo gli americani lo indennizzano con un assegno di 9.554 dollari chiedendo in cambio il silenzio piu' assoluto.

30 novembre 1994, appena diciannove giorni dopo l'annientamento del Francesco Padre, un altro peschereccio molfettese, il Modesto Senior, viene fatto segno da raffiche di mitragliatrice sparate da un elicottero francese della Nato.

Meno di un anno piu' tardi, a fine settembre 1995, al largo delle coste del Montenegro, un peschereccio molfettese, il Sirio, viene travolto da un sommergibile dell'Us Navy che si incaglia nelle sue reti. La tragedia, solo sfiorata, avviene sotto gli occhi dei marinai di altri cinque pescherecci che si trovano in zona.

Tragedia dolorosa invece nemmeno quattro anni prima, il 12 dicembre del 1991, quando in pieno giorno si inabissa senza alcun motivo apparente al largo di Gallipoli il San Cosimo II, trascinando con se' tre uomini. Un'inchiesta dimostrera' che il fasciame del peschereccio era intatto e quindi non ci fu alcun cedimento strutturale.

Ma veniamo ad anni piu' vicini. 22 giugno 2001, ore 14.03. Il peschereccio San Pietro di Monopoli viene agganciatoda un sommergibile americano a propulsione nucleare, il piu' piccolo della flotta Usa, ad appena 11 miglia dalla costa di Brindisi.

Vogliamo ricordare le vittime innocenti del mitragliamento e del siluramento del Francesco Padre. Sono: Giovanni Pansini, comandante, 45 anni; Luigi De Giglio, 56; Saverio Gadalta, 42; Francesco Zaza, 31; Mario De Nicolo. 28. A bordo c'era anche un cane lupo. Si chiamava Leone.

*fonte: La Voce delle Voci 4 marzo 2010

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