foto Gilan |
di Gianni Lannes
Opere d'arte della Natura che si sciolgono come neve al sole. In Abruzzo, sul Gran Sasso, il ghiacciaio del Calderone, ormai non esiste piu'.
Il crollo di un pezzo del ghiacciaio della Marmolada e' costato la vita, in un bilancio non ancora definitivo, a tante persone. La valanga di ghiaccio e roccia causata dal distacco del seracco dalla calotta sommitale ha interessato il versante di Punta Rocca e Punta Penia sfiorando il Rifugio Capanna di ghiaccio e non sono esclusi ulteriori cedimenti.
Secondo gli esperti quanto accaduto è imputabile a una condizione climatica e atmosferica di totale disequilibrio ecologico. Dopo un inverno con scarse precipitazioni nevose, nei mesi primaverili le temperature in quota sono state molto al di sopra dei valori normali, e la nuova ondata di calore estremo avrebbe prodotto una grossa quantità di acqua liquida da fusione glaciale alla base del ghiacciaio, causando il cedimento del seracco.
Basti considerare che nel giorno in cui si è verificato il crollo, la temperatura massima registrata sul ghiacciaio è stata di +10,7 gradi. Tuttavia da un punto di vista glaciologico è necessario sottolineare come crolli di questo tipo risentano in maniera solo parziale delle temperature registrate a livello giornaliero, poiché la risposta dei ghiacciai a variazioni di temperature e le risposte in termini di fenomeni di questo tipo necessitano di tempi lunghi e di persistenti condizioni sfavorevoli. Come noto, condizioni del genere si stanno verificando ormai da anni. Il periodo riferito all'ultimo bimestre evidenzia temperature più calde perfino rispetto all'anno 2003 da tutti considerato l'annus horribilis per le temperature estive registrate.
Un indizio importante è inoltre l'isoterma zero, ossia l'altitudine minima alla quale la temperatura raggiunge zero gradi e che attualmente sulla Marmolada si trova circa mille metri più in alto rispetto alla vetta più elevata, a circa 3.300 metri. In altri termini il punto di congelamento si trova molto al di sopra del ghiacciaio.
Il ghiacciaio della Marmolada ha perso il 30 per cento della massa e il 22 per cento della copertura in un solo decennio, dal 2004 al 2014, e come rilevato da uno studio internazionale del 2019 (Cnr-Ismar) è destinato a sparire nel giro di 25-30 anni.
La fusione dei ghiacciai è significativa su tutto l'arco alpino, dove si registrano tassi di assottigliamento doppi rispetto alla media globale, ed è ormai evidente che le condizioni instabili dell'alta montagna siano imputabili ad una accelerazione dei cambiamenti climatici e a uno stato di progressivo deterioramento dell'ambiente che richiede interventi urgenti volti a intensificare la protezione degli ecosistemi.
Gli studi e le analisi più recenti confermano, inoltre, che le complesse dinamiche connesse al cambiamento in atto degli ambienti alpini e allo scioglimento dei ghiacciai impongano maggior cautela nella definizione dei protocolli e delle abitudini che riguardano la sicurezza in montagna, soprattutto in considerazione del ripetersi di condizioni meteorologiche anomale, come quella in corso.
Le strutture tecniche del Cnr della regione Valle d'Aosta e della Fondazione Montagna Sicura, il 24 settembre 2019, hanno lanciato l'allarme sul rischio di crollo di una parte del ghiacciaio Planpincieux, sulle Grandes Jorasses, lungo il versante italiano del massiccio del Monte Bianco.
Gli esperti glaciologici che da diversi anni effettuano studi sperimentali e monitoraggi costanti sul ghiacciaio Planpincieux hanno evidenziato che vi è stato un aumento di velocità di tutta la porzione inferiore del ghiacciaio che a cavallo tra la fine agosto e il mese di settembre 2019 ha registrato una velocità media di picco tra i 50 e 60 cm al giorno.
La massa a rischio di collasso sarebbe di circa 250 mila metri cubi e potrebbe crollare all'improvviso e finire a valle, raggiungendo case, ville, alberghi e ristoranti.
A seguito di questa situazione di potenziale pericolo, il sindaco di Courmayeur ha emesso ordinanza indicando una serie di divieti tra i quali gli sgomberi delle case più vicine alle zone a rischio e la chiusa di alcuni tratti di strada.
Tale evento non rappresenta, purtroppo, una situazione isolata, con riguardo agli effetti del cambiamento sui ghiacciai; studi e ricerche hanno indicato, infatti, che il cambiamento climatico si inasprisce con il salire della quota, con innalzamenti di temperature superiori in montagna rispetto alle pianure.
Nel 2010 un rapporto del Comitato glaciologico italiano ha definito preoccupante la situazione dei ghiacciai in Italia. Già dimezzati negli ultimi ottant'anni, i ghiacciai italiani rischiano la stessa sorte in un futuro molto prossimo (una ventina di anni), e la cosa più preoccupante è che la tendenza di assottigliamento e fusione si sta accentuando. Un processo veloce e nefasto che non ha sviluppi negativi soltanto sul panorama alpino e di ghiacciai considerati opere d'arte naturali e patrimoni dell'umanità, ma sul bilancio energetico (si perdono miliardi di litri d'acqua, che possono trasformarsi in energia elettrica), sulla falda acquifera che è anche la risorsa primaria di molte industrie di acque minerali, sul dissesto della montagna (frane, smottamenti, slavine) e sull'equilibrio sociale e antropologico dei centri abitati alpini. In Italia esistono più di mille ghiacciai e tutti sono a rischio. La scomparsa dei ghiacciai è un problema che il Belpaese non affronta seriamente.
Secondo il Comitato glaciologico italiano i ghiacciai non solo arretrano il fronte, ma si assottigliano perdendo milioni di metri cubi di acqua. Il dato, come un bilancio economico, viene calcolato sulle entrate e le uscite. Le entrate sono la neve precipitata, le uscite lo scioglimento. Ciò che viene denunciato dai responsabili del Comitato glaciologico è una mancanza di investimenti per cercare di monitorare al meglio questa risorsa naturale, unica e imperdibile, aumentando il numero dei volontari, per far partire attente analisi satellitari e lavorare al catasto dei ghiacciai per un continuo aggiornamento.
Addirittura i cambiamenti climatici (indotti dalle attivita' belliche tese alla manipolazione del clima) potrebbero determinare entro il 2100 lo scioglimento di tre quarti dei ghiacciai alpini nonché, secondo le previsioni più drammatiche, la dissoluzione di buona parte dell'Antartico entro il 3000, con il conseguente innalzamento del livello del mare di ben 4 metri. Questo scenario è stato rappresentato da due ricerche pubblicate dalla rivista Nature Geoscience, che mettono in risalto due degli aspetti meno noti della mutazione climatica: i suoi effetti sui ghiacciai e il suo impatto a lungo termine. Il primo studio, ad opera delle geofisiche Valentina Radic e Regine Hock dell'università dell'Alaska, stima che i ghiacciai si apprestano a perdere tra il 15 e il 27 per cento del loro volume entro il 2100, cosa che, ammonisce la ricerca, «potrebbe avere effetti sostanziali sull'idrologia regionale e la disponibilità di risorse in acqua». Alcune aree saranno più a rischio di altre, in funzione dell'altezza dei loro ghiacciai, della natura del terreno e della loro localizzazione, più o meno sensibile al riscaldamento del pianeta. In base a queste variabili, i più a rischio sembrano essere i ghiacciai alpini: potrebbe sciogliersene in media il 75 per cento (tra il 60 e il 90 per cento), a seguire quelli della Nuova Zelanda con un rischio medio del 72 per cento (tra il 65 e il 79 per cento).
Ancora in Italia. I cambiamenti climatici sono causa ciclicamente di trasformazioni paesaggistiche e mutamenti di ecosistemi che vanno comunque difesi. In particolare un aumento delle temperature ha portato a scioglimenti di ghiacciai e al prosciugamento di laghi anche in alta quota. Tali fenomeni sono preoccupanti sotto molteplici aspetti e da non sottovalutare anzitutto per l'ecosistema della montagna. Infine, merita di rilevare il caso del lago artificiale di Ceresole reale che, a seguito di siccità, è divenuto ormai una distesa di sabbia anziché di acqua. Questo lago artificiale di Ceresole reale fungeva inoltre da bacino per la produzione di energia idroelettrica.
Il clima e' un'arma insospettabile: non a caso esiste dal 1978, almeno sulla carta, la convenzione Enmod dell'ONU. Il costo dell’impatto di eventi meteorologici estremi nel solo 2021 e' stato stimato in 329 miliardi di dollari a livello globale. Dal 2000, circa 3,9 miliardi di persone nei paesi a basso e medio reddito sono state colpite da disastri climatici, spesso provocati o indotti dall'uomo.
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